Intelligenza artificiale ed educazione – Free

Cosa si intende per AI (Artificial Intelligence)? Intelligenza artificiale di chi? É estremamente entusiasmante sentire le risposte che danno a questa domanda sia i bambini che gli studenti di ogni ordine e grado che non abbiano avuto al riguardo una specifica formazione. Lo stesso si può dire per gli adulti che vedono questo termine mainstream invadere i notiziari da ormai una decade almeno. In realtà lo studio sull’intelligenza artificiale è riconducibile, per alcuni aspetti, ad oltre 60 anni fa. John McCarthy, uno dei pionieri dell’AI, già nel 1955 definì per primo l’intelligenza artificiale come: “The goal of AI is to develop machines that behave as though they were intelligent.”

Per verificare questa definizione, immaginiamo uno scenario nel quale una quindicina di piccoli veicoli robotici si muovono su una superficie delimitata da quattro pareti. Si possono osservare vari modelli di comportamento che i robot sembrano attuare.

Alcuni veicoli formano piccoli gruppi con movimenti relativamente ridotti mentre altri si muovono all’interno dello spazio evitando con grazia qualsiasi collisione tra loro. Altri ancora sembrano invece inseguire uno specifico robot come se fosse un leader.1 Quello che stiamo vedendo è un comportamento intelligente? Secondo la definizione di McCarthy, i suddetti robot possono essere descritti come intelligenti.

Valentino Von Braitenberg, specializzato in neuropsichiatria che ha intrapreso studi sulle strutture cerebrali e sulla teoria dell’informazione, ha dimostrato che questo comportamento apparente- mente complesso può essere prodotto da circuiti elettrici molto semplici.

Tra i 14 “veicoli pensanti”, descritti da Braitenberg, ve ne è ad esempio uno con due ruote, ciascuna delle quali è azionata da un motore elettrico in- dipendente e la velocità di ognuno è influenzata da un sensore che capta la luce e più luce viene captata, più velocemente gira il motore. Dunque, semplicemente programmando il robot per seguire o meno la luce, si riesce a simu- lare un comportamento che apparentemente denota intelligenza2.

Quindi, nonostante siano passati de- cenni da quando è stata introdotta, l’AI come disciplina, o meglio le discipline ad essa afferibili, erano relegate solAmente agli esperti di settore.

Il termine fuorviante in questo scenario è sicuramente “intelligenza” perché che sia artificiale non vi è alcun dubbio, dato che qualcuno deve provvedere a realizzare artificiosamente questi sistemi. Cercando una definizione al significato del termine ‘intelligenza’ troviamo diverse espressioni dalle quali partiremo per comprendere perché fu scelto come ter- mine da affiancare alla allora nuova branca di studio. Intelligenza dunque è, secondo l’Oxford Dictionary: la “Capacità di attribuire un conveniente significato pratico o concettuale ai vari momenti dell’esperienza e della contingenza”. Intelligenza, dal latino intelligentia derivato da intelligere «intendere», leggere dentro, comprendere la realtà non in maniera superficiale, ma in profondità, andando oltre per coglierne gli

aspetti nascosti e non immediatamente evidenti. Treccani  invece  riporta, in maniera più completa: “Complesso di facoltà psichiche e mentali che consentono all’uomo di pensare, comprendere o spiegare i fatti o le azioni, elaborare modelli astratti della realtà, intendere e farsi intendere dagli altri, giudicare, e lo rendono insieme capace di adattarsi a situazioni nuove e di modifica- re la situazione stessa quando questa presenta ostacoli all’adattamento; propria dell’uomo, in cui si sviluppa gradualmente a partire dall’infanzia e in cui è accompagnata dalla consapevolezza e dall’autoconsapevolezza, è riconosciuta anche, entro certi limiti (memo- ria associativa, capacità di reagire a stimoli interni ed esterni, di comunicare in modo an- che complesso, ecc.), agli animali …”.

Ecco dunque forse svelato l’arcano: si parla anche della capacità di elaborare modelli astratti della realtà; della capacità di adattarsi a nuove situazioni e di modificare la situazione stessa quando questa presenta ostacoli. Dunque l’intelligenza artificiale è quella scienza che tenta di creare delle macchine (software, hardware/software) che siano in grado di riprodurre o di simulare l’in- telligenza umana. Va inteso, fin da subito, che il fatto di avere come effetto un processo umano, che normalmente ci fa presupporre intelligenza, non vuol affatto dire che chi lo attua sia ricon- ducibile ad un umano. Quindi stiamo parlando di imitare in tutto o in parte l’intelligenza biologica e l’informatica lo fa attraverso lo studio di agenti intel- ligenti, o “agenti razionali”, dove per agente intelligente si intende un sistema che percepisce il suo ambiente ed attua le azioni che massimizzano le sue possibilità di successo.

Andreas Kaplan e Michael Haenlein definiscono l’intelligenza artificiale come “la capacità di un sistema di interpretare correttamente dati esterni, di capire questi dati e di utilizzare tale apprendimento per raggiungere obiettivi specifici e svolgere compiti, attraverso un adattamento flessibile”.3 Dunque dovremmo aver compreso che la fantasia spesso ispirata dai fumetti o da una certa fantascienza poco centra con il concetto di Artificial Intelligence e dovremmo pertanto cercare di contenere il più possibile tutti i timori che ci assalgono quando ci viene rappresentato un futuro in cui le macchine agiranno come noi, utilizzando appunto l’AI… casomai dovremmo preoccuparci del fatto che le macchine, intese come il connubio di hardware, sensori e software, saranno in grado di prendere decisioni per conto nostro. Ciò in realtà già acca- de, basti pensare a quando i social me- dia ci propinano un acquisto piuttosto che un altro, oppure la lettura di una notizia o di una fake news. Dunque l’intenzione non è ascrivibile all’algoritmo, ma casomai, a chi lo ha scritto e da quali intenzioni fosse mosso. Chiarito questo aspetto, proviamo ora a fare degli esem- pi pratici e semplici per cercare di capi- re cosa accade dietro le quinte. Diciamo che, semplificando al massimo, potremmo dire che l’AI, simulando il funziona- mento di un cervello umano, dovrebbe saper compiere funzioni e azioni tipiche dell’uomo quali ad esempio:

  • Agire umanamente (cioè in modo indistinguibile rispetto ad un essere umano).
  • Pensare come un uomo (essere cioè in grado di risolvere un problema pog- giando su funzioni cognitive).
  • Pensare in maniera razionale (cioè utilizzando la logica come farebbe un essere umano).
  • Agire in maniera razionale (attraverso processi orientati ad ottenere il miglior risultato possibile in base alle informazioni ed al contesto a disposizione).

Sulla base di questo elenco, possiamo ora classificare l’Intelligenza Artificiale in due grandi filoni di ricerca e cioè: quello dell’AI debole e dell’AI forte.

Nella AI debole rientrano tutti quei sistemi che possono agire in alcune funzioni complesse umane. Ci si riferisce ad applicazioni pratiche dove è richiesta la capacità da parte della macchina di comprendere e risolvere specifici problemi, come ad esempio il tradurre un testo da un’altra lingua, il gioco degli scacchi, oppure ancora, la capacità di leggere una radiografia per emette- re una diagnosi. Il software elaborato, in tutti questi casi, agisce come se fosse un soggetto intelligente e non ha assolutamente alcuna importanza che lo sia davvero o meno.

Nell’AI debole non esiste la necessità di comprendere totalmente quali siano i processi cognitivi dell’uomo perché si occupa esclusivamente della risoluzione di problemi. La velleità invece dell’AI forte è quel- la di raggiungere, se opportunamente programmata, una capacità cognitiva indistinguibile da quella umana. L’intelligenza artificiale forte si concentra in particolare su alcuni aspetti ritenuti fondamentali e cioè:

  • la logica matematica che rappresenta l’intero scibile umano;
  • il ragionamento e la dimostrazione automatica del problema;
  • l’analisi del linguaggio, elemento fondamentale per rendere semplice la comprensione delle espressioni linguistiche umane da parte della macchina;
  • la pianificazione, tramite gli algoritmi.

I sostenitori della concezione debole, come Dreyfus4, affermarono un concetto semplicissimo: l’Intelligenza Artificiale non è una vera e propria intelligenza, come faceva pensare invece il test di Turing5.

Dreyfus, in particolare, contestò nel corso degli anni, il concetto di AI forte sostenendo che fosse completamente errato. Un computer utilizza dati attraverso delle regole ben precise che gli permettono pertanto di considerare solo alcuni aspetti della realtà: quelli che il programmatore ha considerato, men- tre la mente umana ragiona cogliendo i vari elementi nella loro totalità.

John Searle ideò un test, denominato “test della stanza cinese” da contrapporre al rinomato test di Alan Turing. Lo studioso riuscì a dimostrare che una macchina, pur superando il test di Turing, non può essere definita intelligente. Alla base del ragionamento di Searle vi è l’idea che la sintassi non sia condizione sufficiente per la determinazione della semantica6. Il computer infatti, avvalendosi di uno specifico programma, manipola le parole ma non ne comprende assolutamente il senso, dato che esso si limita a svolgere un’azione su una serie di dati che gli sono stati forniti. La finalità di Searle (che coniò il termine intelligenza artificiale forte)7 era chiara: senza comprensione del significato del linguaggio, una macchina non potrà mai essere definita intelligente. Una macchina, nel senso di un calcolatore/computer, secondo le moderne teorie, potrà essere definita intelligente a prescindere dai concetti di AI debole o forte solo quando potrà riprodurre il funzionamento del cervello a livello cellulare8.

La classificazione AI debole e AI forte sta alla base della distinzione tra Machine Learning e Deep Learning (che rientrano nella più   ampia   disciplina dell’AI). Pertanto nel primo caso parliamo di apprendimento automatico, ossia l’abilità delle macchine di apprendere nell’accezione di un problem solver specifico e parzialmente intelligente. In sostanza, gli algoritmi di Machine Learning usano metodi matematico-computazionali per apprendere informazioni direttamente dai dati, senza modelli matematici ed equazioni predeterminate, ma adattandole, appunto, alla risoluzione di un problema. Gli algoritmi di Machine Learning migliorano le loro prestazioni in modo “adattivo”, mano a mano che gli “esempi” da cui apprendere aumenta- no (ad esempio, il riconoscimento di immagini, il gioco degli scacchi, etc.).

Da un punto di vista scientifico, potremmo dire che il Deep Learning è invece l’apprendimento da parte delle “macchine” attraverso dati appresi grazie all’utilizzo di algoritmi (prevalentemente di   calcolo statistico). Il Deep Learning (noto anche come apprendimento strutturato profondo o apprendimento gerarchico), infatti, l’esecuzione di task specifici. Le architetture di Deep Learning sono, per esempio, state applicate nella computer vision, nel riconoscimento automatico della lingua parlata, nell’elaborazione del linguaggio naturale, nel riconoscimento audio, nella bioinformatica (sequenze di geni, composizione e struttura delle proteine, i processi biochimici nelle cellule, ecc…). Dopo le opportune chiarificazioni, possiamo ora spingerci a definire l’intelligenza artificiale come la capacità delle macchine di svolgere compiti e azioni tipici dell’intelligenza umana (pianificazione, comprensione del linguaggio, riconoscimento di immagini e suoni, risoluzione di problemi, riconosci- mento di pattern, ecc.), distinguibile quindi, in AI debole e AI forte. Ciò che caratterizza    l’intelligenza    artificia- le da un punto di vista tecnologico e metodologico è il metodo/modello di apprendimento con cui l’intelligenza diventa abile in un compito o azione. Questi modelli di apprendimento sono ciò che distinguono Machine Learning e Deep Learning.

Negli ultimi anni sono stati presentati diversi progetti di giocattoli basati sulle tecnologie di intelligenza artificiale, ciascuno dei quali ha avuto come obiettivo quello di dimostrare come gli algoritmi possano migliora- re l’esperienza ludica del bambino in una prospettiva di crescita. In effetti gli esempi recenti mostrano come alcuni giocattoli di nuova generazione lascino intravedere elementi senza dubbio interessanti e positivi. Importante, a mio avviso, è l’essere soggetti attivi anziché passivi, affinché i bambini possano e debbano prendere confidenza con l’AI dato che già circonda il loro mondo e sempre più lo farà in futuro.

Esistono pertanto moltissime attività che si possono fare attraverso la robotica educativa che servono per introdurre i concetti che stanno dietro all’intelligenza artificiale. Un esempio del tipo di attività lo potrete trovare in questo stesso numero di Pedagogika.it “Poppy Station: una partnership che guarda all’intelligenza artificiale”. Volendo è anche possibile ed auspicabile che si proceda per gradi partendo da attività di tipo unplugged. Ho citato la Computer Vision e cioè la tecnica dell’elaborazione del- le immagini attraverso l’estrapolazione di caratteristiche. Queste tecniche sono utilizzate in un’intera gamma di sistemi di intelligenza artificiale che consento- no alle macchine di riconoscere gli oggetti nel mondo. Esistono centinaia di APP per smartphone, tablet o computer in grado di identificare piante o animali analizzando l’immagine inquadrata e dandone tutti i dettagli dal nome alla collocazione geografica e via dicendo. É possibile svolgere questa attività con l’o- biettivo di far comprendere ai bambini le “etichette” e le “caratteristiche” che potremmo usare per addestrare un’intelligenza artificiale a vedere gli oggetti nelle immagini.

L’estrazione delle caratteristiche è la conversione dei dati nel formato originale (ad esempio un’immagine) in una serie di caratteristiche quantitative (ad esempio numeriche) o qualitative (ad esempio descrizione del testo) che possono essere utilizzate per distinguere e confrontare diversi oggetti nei dati originali. Ad esempio, “SE l’animale ha le piume ALLORA va nel GRUPPO A (o UCCELLI)”. Nell’apprendimento automatico dell’intelligenza artificiale, questo processo di ricerca di modelli e di identificazione delle caratteristiche che emergono è ciò che è noto come una tecnica di apprendimento non supervisionato. I bambini, dopo aver provveduto ad indicare “etichette” e “caratteristiche” aiutati dagli educato- ri/insegnanti, potrebbero usarli per comprendere come funziona l’intelligenza artificiale, addestrando un’intelligenza artificiale a vedere gli oggetti nelle immagini. L’estrazione delle caratteristiche è la conversione dei dati nel formato originale (ad esempio un’immagine) in una serie di caratteristiche quantitative (ad esempio numeriche) o qualitative (ad esempio descrizione del testo) che possono essere utilizzate per distinguere e confrontare diversi oggetti nei dati originali. Ricordiamo la nostra immagine che rappresenta caratteristiche ed etichette.

Gli umani addestrano un sistema di intelligenza artificiale utilizzando l’apprendimento supervisionato fornendo etichette che identificano gli oggetti e contrassegnando le “caratteristiche” dell’oggetto. In alternativa, un sistema di intelligenza artificiale potrebbe scoprirli da solo cercando modelli nell’immagine utilizzando un approccio di apprendimento non supervisionato. I bambini svilupperanno anche le loro abilità e conoscenze nelle tecnologie di- gitali esplorando diversi tipi di dati e ordinando i dati per scoprire modelli(pattern). In particolare si può lavorare sui seguenti descrittori di contenuto:

  • Riconoscere ed esplorare modelli nei dati e rappresentare i dati come immagini, simboli e diagrammi
  • Riconoscere diversi tipi di dati ed esplorare come gli stessi dati possono essere rappresentati in modi diversi.
  • Seguire, descrivere e rappresentare una sequenza di passaggi e decisioni (algoritmi) necessari per risolvere semplici problemi.
  • Definire problemi semplici e descrivere e seguire una sequenza di passaggi e decisioni (algoritmi) necessari per risolverli

In tutte queste attività, i bambini sviluppano la loro comprensione che “Gli esseri viventi hanno una varietà di caratteristiche esterne” e che “Gli esseri viventi possono essere raggruppati sulla base di caratteristiche osservabili e possono essere distinti dagli esseri non viventi”.


IGOR GUIDA
Direttore scientifico di Stripes Digitus Lab, Vicepresidente, CTO e Responsabile del settore Comunicazione, Editoria e Marketing di Stripes Coop sociale

 

Note
1. Wolfgang Ertel. Introduction to Artificial Intelligence. Springer International Publishing AG 2017.
2. V. Braitenberg. Vehicles – Experiments in Synthetic Psychology. MIT Press, 1984.
3. Andreas Kaplan; Michael Haenlein (2019) Siri, Siri in my Hand, who’s the Fairest in the Land? On the Interpretations, Illustrations and Implications of Artificial Intelligence, Business Horizons, 62(1), 15-25, su sciencedirect.com.
4. https://www.intelligenzaartificiale.it/intelligenza-artificiale-forte-e-debole/
5. What Computers Can’t Do: The Limits of Artificial Intelligence. (revised) ISBN 0-06- 090613-8, ISBN 0-06-090624-3.
6. https://it.wikipedia.org/wiki/Test_di_Turing
7. https://it.wikipedia.org/wiki/John_Searle
8. John R. Searle, Is the Brain’s Mind a Computer Program?, in Scientific American, vol. 262, n. 1, genna Zacharias Voulgaris, Yunus Emrah Bulut, AI for Data Science: Artificial Intelligence Frameworks and Functionality for Deep Learning, Optimization, and Beyond, Technics Publications, 2018 Donald J. Norris, Beginning Artificial Intelligence with the Raspberry Pi, Apress 2017io 1990.