100 linguaggi per l’educazione (2° premio)

A cura di MICHELA BRUGALI

“Cento linguaggi per l’Educazione” è un premio biennale che la Cooperativa Stripes ha inaugurato nel 2019, in occasione del suo trentennale e in memoria del suo fondatore, Salvatore Guida. L’iniziativa è nata dal desiderio di promuovere, attraverso molteplici linguaggi artistici, la produzione culturale, la fruizione e la divulgazione del tema dell’educazione.
La seconda edizione del concorso, nel 2021, è stata dedicata al linguaggio della scrittura: con il titolo “Sono qui. Piccole e grandi storie di cura”, 20 partecipanti si sono cimentati, tramite la forma letteraria del racconto breve, a descrivere cosa significhi avere a cuore il destino di un altro. Pubblichiamo il racconto del secondo classificato, premiato il 6 maggio 2022 a Bollate.

Storia di una locanda
Di EMANUELE RIZZI

L’ammasso di assi e calcinacci che riposava sulla collina, si trovava al confine tra il regno di Levrovia e quello di Ulner. Abbandonata con l’arrivo della guerra, altro non ne era rimasto che un cumulo di pietre barcollanti e legname talmente fradicio da essere inutilizzabile persino come cibo per il camino.
Chi vi passava accanto neanche la notava e se, per caso, a qualcuno invece cadeva l’occhio sul cadavere di una vecchia locanda dell’anteguerra, era solo per domandarsi quale povero diavolo avesse deciso di erigerla proprio lì.
Con l’imperversare delle battaglie e con il continuo spostamento dei confini, un giorno i resti si trovavano sul territorio di una nazione, il giorno dopo sul territorio dell’altra, ma tanto a nessuno importava.
A nessuno, tranne che a Lena.
Dall’interno provenivano le vivaci voci degli avventori, di certo stonate quanto il suono dei sassi contro i secchi, ma altresì meno morte di quando Tristan aveva percorso quella strada l’ultima volta.
Scese dal cavallo e passò le redini al garzone, che si diresse verso la stalla.
«Senti, giovane» disse Tristan, sistemato il corpetto «sono dieci anni che non passo di qui, ma la mia memoria non è così malandata da convincermi che quella locanda ci fosse già».
Indicò con il capo il grande edificio, e il bracciante mostrò la sua dentatura giallastra in un sorriso.
«È opera di Lena. Ha messo giù ogni singola pietra e tirato su ogni asse di legno. Una vera opera d’arte, la definiscono alcuni».
Poi salutò toccandosi il cappello e scomparve oltre le porte della stalla.
L’interno della locanda scoppiettava di vita e di allegria.
Tristan sfilò la cinta da cui pendeva la spada e la appoggiò sul tavolo solitario a cui decise di accomodarsi. Passarono diversi minuti, durante i quali ebbe il tempo di osservare i volti spensierati dei soldati, prima che una ragazza robusta andasse a prendere l’ordinazione.
«Un boccale di birra e un tozzo di pane» comandò.
Ciò che gli faceva storcere il naso, era che gli uomini armati di Levrovia cantavano e ballavano insieme a quelli di Ulner, nuotando in fiumi di alcol, come se fuori da quelle quattro mura non si stesse combattendo una guerra.
«Posso?». Un uomo paffuto, senza stemmi e senza araldi, si era avvicinato con l’intenzione di prendere posto al tavolo di Tristan.
«Sono tentato di rifiutare, ma non credo farei bella figura».
Lo sconosciuto sorrise e lasciò che il suo fondoschiena facesse scricchiolare la panca di legno.
«Cosa è successo qui?». chiese Tristan, dopo aver bevuto il primo sorso.
«Un miracolo, oserei dire» rispose l’altro. «Dieci anni fa, i soldati di passaggio non volgevano neanche lo sguardo verso quella che una volta era una catapecchia, mentre adesso… guarda che spettacolo».
Donne provenienti da ogni parte del mondo, ballavano e cantavano insieme agli ormai ubriachi soldati. Nessuno si preoccupava delle armi, poiché non ce n’era di bisogno.
«È zona franca» continuò l’uomo.
«Zona franca?». Per poco Tristan non sputò fuori tutta la birra.
«Già, zona franca. La locanda di Lena è un’istituzione… diciamo che entrambi gli schieramenti usano questo luogo per rifocillarsi, senza interrogarsi se il proprio compagno di bevute sia amico o nemico… quello che succede nella locanda di Lena, resta nella locanda di Lena».
Tristan continuò a guardarsi intorno ed ebbe l’impressione di trovarsi in un sogno. Com’era possibile che, dal nulla, si potesse ottenere una pace – seppur temporanea – che neanche i re potevano permettersi?
«Te lo leggo in volto, mercenario… vuoi sapere come è successo, vero?».
Lui annuì, quindi l’uomo si pulì la barba e riprese a parlare.
«Si dice che Lena abbia tirato su questa locanda da sola, lavorando come se ne dipendesse della sua stessa vita. Ha dato da bere agli assetati, ha curato qualunque ferito che passasse per questa strada, finché alla fine nessuno ha più voluto incrociare le spade di fronte alla sua porta. Gira una voce che dice sia impossibile morire qui dentro».
Tristan sbarrò gli occhi, come a chiedere di continuare.
«Beh, nessuno conosce la vera storia, ma quel che è certo è che Lena sta facendo la sua parte per salvare il mondo. Ad alcuni sta passando la voglia di combattere, sai? Salvare se stessi, salvare gli altri, salvare il mondo. Io lo so bene» concluse. Poi indicò la collana nascosta sotto la tunica.
«Siete un prete?» sbottò Tristan, sbalordito.
«Non qui dentro, mercenario. Qui sono solo un uomo molto assetato».
Passarono i minuti, e con essi anche il viavai di persone che entravano e che uscivano aumentò.
«Questa locanda è davvero così importante?» chiese il mercenario.
«Diavolo, certo che lo è! Un barlume di speranza in questo mondo pazzo, una goccia di gentilezza in un oceano di peccati, il sorriso di una donna quando…».
«Ho capito, ho capito» replicò Tristan, alzando una mano.
Il prete allora si fece serio.
«Lena ha dedicato la sua vita a questo posto, a quello che c’è dietro… è molto più che importante».
Fece una pausa, si alzò dalla panca e fece segno che sarebbe andato a farsi un altro giro di birra.
«Alcuni dicono che la guerra finirà tra gonne e boccali, proprio nella locanda di Lena. Ma lascia perdere, è solo la storia di una locanda. Nulla di più, e di certo nulla di meno».
Tristan sospirò.
«Non sembra neanche di essere in guerra…».
Una voce femminile si fece largo nella baraonda.
«Infatti, mercenario… qui dentro, alla locanda di Lena, non lo siamo».