Di un “sostegno” abbiamo tutti bisogno

Di PAOLA NAVOTTI

La condizione umana è indubbiamente misteriosa: pur trovandoci addosso alcune peculiarità che non dipendono dalla nostra volontà (basti pensare all’aspetto fisico, alla salute, all’intelligenza, o al carattere), tuttavia il destino di queste stesse peculiarità dipende da noi e da chi ci sta intorno. Solo nella specie umana, infatti, un limite – una fragilità – può non essere la tomba di chi ne è caratterizzato; o, altrettanto incredibilmente, una grandezza può rimanere sterile.
Ma come può accadere questo imprevisto? Cos’è un limite? Cos’è una fragilità? Dove sta la grandezza umana, la “specialità” … della nostra specie?

Andrea Canevaro (1939-2022)[1] ha dedicato la vita a rispondere a queste domande e ci ha fatto scoprire come nuovo il significato del termine “speciale”. I suoi studi lo hanno portato non solo ad essere il padre della cosiddetta Pedagogia speciale – l’ambito di ricerca pedagogica focalizzato sul fenomeno della disabilità – ma ad andare oltre, illuminando per tutti la più generale categoria della fragilità umana. Docente emerito dell’Università di Bologna e studioso di fama internazionale, Canevaro ha indagato la persona, prima che i suoi deficit: il suo valore, prima che il suo recinto. E così ha contribuito ad arricchire il nostro vocabolario con parole nuove: inserimento, entrare in un mondo che già esiste; integrazione, nostro adattamento all’ambiente e dell’ambiente a noi; inclusione, continua tensione a condividere, a rafforzare i legami con gli altri, non a romperli. Parole nuove nate dal coraggio di farsi interpellare dal significato della presenza dell’altro, prima che dalle diagnosi di cui è affetto. Lasciarsi interrogare in questo senso, è uno sguardo tanto umano quanto raro, perché contrapposto alla logica selettiva della mondanità, al culto della performance, alla concezione di una vita piena in quanto somma di trofei.

Ma chi tali trofei non può raggiungere è destinato ad una vita minore? Nessuno in coscienza risponderebbe cha una vita è minore di un’altra, ma… è difficile spiegarne il perché! Per Canevaro è molto semplice. Lui non parte da un ragionamento teorico, ma da una constatazione lampante: «Siamo 7,2 miliardi di diversità. Potremmo dire 7,2 miliardi di fragilità differenti. Nasciamo fragili. E forse crediamo che la fragilità umana sia una malattia infantile che passa crescendo. È come se si potesse dire tu sei fragile perché hai la tale diagnosi; io non ho quella diagnosi, e quindi non sono fragile»[2]. È proprio così. Tutti siamo stati neonati, cioè siamo nati fragili, non autosufficienti. Non solo: tutti – chi più, chi meno; chi direttamente, chi indirettamente – abbiamo vissuto una malattia, quell’esperienza di somma fragilità legata alla precarietà della vita, alla sua durata o alla sua qualità. Tutti siamo fragili. Se ce ne dimentichiamo, o se abbiamo paura di farci interrogare da ciò, inevitabilmente dividiamo le persone in due categorie: regolari e irregolari. Sani e patologici.

Si pensi all’ambito scolastico, dove un giovane trascorre la gran parte delle giornate in anni decisivi per la formazione della propria personalità: guardare uno studente limitandosi a misurarne le “irregolarità”, le fragilità diagnosticate o non diagnosticate, orienta verso quella che Canevaro chiama una logica della sottrazione. «Chi è intelligente va al liceo; chi è scarso va alla formazione professionale; chi non è intelligente va da qualche altra parte… Questa impostazione può portare due derive e una conseguenza. La prima deriva è lo specialismo… La seconda deriva riguarda la possibilità che i soggetti non diagnosticati abbiano sostegni di seconda categoria, contenitivi e non compensativi… La conseguenza è la diffusa convinzione che l’integrazione scolastica sia un diritto realizzabile unicamente grazie al sostegno»[3]. Per essere educato, e quindi integrato, protagonista del proprio ambiente, ogni individuo – a maggior ragione se è giovane – ha bisogno di essere stimato prima di essere dispensato da qualcosa. Ha bisogno che qualcuno creda in lui, così com’è. È la pedagogia della prossimità, capace di aggiungere, non solo di togliere e, così, capace di conquiste inimmaginabili: «Chi inciampa e rischia di cadere si appoggia alla prima cosa che trova. Senza chiedere il curriculo o un attestato professionale, un’età o un genere, se inciampo cerco di aggrapparmi a chi è vicino a me in quel momento… Non si tratta, avendo inciampato, di appoggiarsi un istante e poi scostarsi, dopo aver recuperato l’equilibrio. Si tratta di fare la strada insieme»[4].

Ecco il più grande imprevisto: qualcuno che cammina insieme a noi perché ci stima. Questo imprevisto è il sostegno di cui ognuno ha maggiormente bisogno nella propria vita, non solo se ha una fragilità diagnosticata. «Senza stima non abbiamo speranza. Con la stima, invece, la speranza arriva»[5] ed incredibilmente arrivano anche i trofei: per cui ragazzi affetti da disturbi dell’apprendimento, o da patologie croniche, perfino da disabilità invalidanti, riescono a conseguire importanti titoli di studio; o ad esercitare una professione consona alle proprie attitudini; ad essere – come efficacemente suggerisce Canevaro – protagonisti e non comparse. In una parola, ad essere felici. Come scriveva Eugenio Montale in una delle sue più luminose intuizioni poetiche, «un imprevisto è la sola speranza»[6].

La stima è il principale fattore educativo, prima di qualsiasi specialismo. Ma cosa innanzitutto stimare nell’altro, quando le sue capacità rimangono nell’ombra? Ciò che si ha più profondamente in comune: il fatto che «ciascun confusamente un bene apprende nel qual si queti l’animo e disira; per che di giugner lui ciascun contende»[7].

Andrea Canevaro ha dedicato la vita a dettagliare questo bene da tutti desiderato: come principio educativo, come metodo pedagogico, come… specialità della specie umana.

[1] Pedagogika ha avuto l’onore di avere Andrea Canevaro tra le proprie firme. Ai seguenti link si possono rileggere i suoi interventi sulla nostra rivista:

https://www.pedagogia.it/blog/2018/07/13/diagnosi-per-difendersi-o-per-conoscersi-e-accompagnarsi/

Chi ha sbagliato? Intervista ad Andrea Canevaro

[2] Cfr. Andrea Canevaro, Nascere fragili, EDB (Edizioni Dehoniane Bologna), 2015, pagg. 5-7.

[3] Ibidem, pag. 62-63.

[4] Ibidem, pag. 72-33.

[5] Ibidem, pag. 35.

[6] Cfr. Eugenio Montale, “Prima del viaggio”, in Satura.

[7] Cfr. Dante Alighieri, Purgatorio XVII, 127-129.