Smart community

Di IGOR GUIDA
Vicepresidente Cooperativa sociale Stripes e Direttore Scientifico Stripes Digitus Lab


L’aggettivo inglese smart – nel suo significato letterale sia di efficace ed efficiente sia di raffinato, elegante – ricorre frequentemente nel nostro lessico comune, soprattutto giovanile. Ma non si può dire sia altrettanto nota l’accezione evolutiva di smart come aggettivo qualificativo di ogni realtà resa più efficiente dall’uso di soluzioni digitali. Infatti, il termine può anche assumere il significato di controllato e ottimizzato da una rete informatica. Tutto potenzialmente può diventare smart perché tutto, in effetti, è migliorabile dall’innovazione tecnologica. Dall’amministrazione (Smart Governance), all’economia (Smart Economy), alla qualità della vita (Smart Living), ai mezzi di trasporto (Smart Mobility), all’impatto ambientale (Smart Environment): tutto può concorrere a rendere il nostro luogo abitativo una Smart City[1]; e noi stessi Smart People, cittadini attivi e partecipativi nel contesto sociale. Si tratta di un processo lungo, ma in corso e – da questo punto di vista – rassicurante per il nostro domani.

A che punto siamo in Italia, per quanto riguarda tale consapevolezza? Il 2022 è stato un anno positivo perché i fondi impegnati per le Smart City hanno avuto una crescita del 23% rispetto al 2021 e il 39% dei Comuni sopra i 15.000 abitanti ha avviato almeno un progetto. Secondo una ricerca dell’Osservatorio Smart City della School of Management del Politecnico di Milano – presentata il 3 maggio 2023 – quasi tutte le amministrazioni che hanno avviato progetti negli ultimi anni (l’89%) vuole continuare a investire in nuove iniziative per la Smart City. Questi numeri sono – per l’appunto – positivi, ma occorre continuare a lavorare in tale direzione, perché è a tema una vera e propria sfida alla mentalità.

Come è possibile garantire la condivisione dei cittadini nella vita dei luoghi che abitano? Che ruolo giocano in questo, sistemi e piattaforme volte a produrre dati e ottenere informazioni? La dimensione tecnologica – unita a quella corporea e sociale – rappresenta un tassello fondamentale per far sì che ognuno trovi, nel proprio contesto abitativo, prospettive sostenibili anche dal punto di vista soggettivo dell’individuo. In una parola, inserita in una cultura di partecipazione e condivisione, la tecnologia contribuisce a trasformare gli spazi di vita in luoghi. Un luogo è molto più di uno spazio. Il primo è immobile, come un contenitore di corpi inanimati; il secondo, invece, è in continuo movimento: continuamente ripensato per quel processo irrefrenabile di trasformazione delle abitudini, degli usi e degli interessi che contraddistingue la nostra vita. L’aspetto dunque sociale, evolutivo, di ogni insediamento umano non può che essere il punto di partenza, anche per ragionamenti di tipo tecnologico.

Quanto un cittadino si sente smart? Quanto invece sente che deve esserlo per non essere inadeguato? Oltre a chiedersi come il terzo settore contribuisca ad una smart community, sia nel suo aspetto di ideazione sia nella fruizione dei servizi smart da parte della popolazione, occorre chiedersi anche se la smart city può rivolgersi effettivamente al sociale o se si tratta di due mondi paralleli.

La produzione dei dati che – grazie agli innovativi strumenti tecnologici – una smart city è in grado di raccogliere, rappresenta già di per sé una grande occasione per gli sviluppi della sfera sociale. Sfera sociale che, così sviluppata e valorizzata, può a sua volta divenire generativa di ulteriori modi per essere ancora più smart e, conseguentemente, interlocutrice delle agende tecniche e politiche. Come, nel concreto? Valutando quanto gli spazi dipendano dall’interazione fisica e affettiva tra un determinato ambiente e le persone: quanto cioè siano luoghi, o non-luoghi. Si tratta di una valutazione, di una misura non facile perché implica il parametro del senso di uno spazio, cioè della sua vocazione. Ecco perché non è scontato che gli spazi diventino luoghi. Non è cioè scontato che uno spazio esteticamente gradevole e accogliente, divenga un luogo apprezzato e vissuto realmente. Lo stesso si può dire di uno spazio virtuale. In uno spazio virtuale, che sia una stanza o un mondo, è facile arrivarci perché è accessibile a chiunque abbia una connessione: ci si può collegare da qualsiasi posto. Che tale spazio sia facilmente fruibile, curato e accogliente, non è necessariamente garanzia del fatto che diverrà un luogo apprezzato, nel senso di luogo virtuale vissuto effettivamente al quale un individuo sia legato da un trascorso, da ricordi, da significati.

Come allora si possono trasformare spazi fisici e digitali in luoghi fisici e digitali? Occorre innanzitutto comprendere che non vi è contraddizione: uno spazio virtuale non è necessariamente in contrapposizione ad uno esistente, esattamente come una smart city non si contrappone necessariamente ad una città esistente. L’importante è comprendere che per trasformare in luoghi gli spazi è sempre necessario valutare la relazione che con essi hanno le persone, le comunità che questi luoghi andranno a vivere e frequentare. Lo spazio è dunque un’entità geografica, mentre il luogo è un’entità socioculturale.

La scommessa di una interazione sempre più estesa – più smart appunto – tra comunità, è ciò che ha fin dall’inizio ispirato le mosse della Cooperativa Sociale Stripes. Dal 1989, Stripes progetta ed eroga servizi in ambito socio-educativo-pedagogico, le cui iniziative nel merito del discorso che stiamo facendo mi si affastellano in un lunghissimo elenco. Ne cito solo un paio: i podcast e i video finalizzati a creare tour cittadini e disseminati attraverso QR-CODE per la cittàrealizzati da bambini e ragazzi; i laboratori didattici di Stripes Digitus Lab (centro internazionale di ricerca e innovazione sulla robotica educativa e le tecnologie digitali) ed i progetti di Stripes Corporate (volti a realizzare per le aziende – sia profit, sia non profit – servizi di welfare e di corporate social responsibility) realizzati sia nei luoghi fisici che in quelli virtuali grazie alla Virtual Reality di https://virtualspace.ninja

Questi esempi suggeriscono che alcuni spazi fisici e virtuali possono diventare luoghi fisici e virtuali. Per rendere più comprensibile questo concetto vi racconto brevemente un’esperienza in corso in questi mesi e che si protrarrà fino alla fine del 2024. Il Comune di Calascio, in Abruzzo, conta oggi 130 abitanti circa. È ancora un luogo fantastico ma che rischia di diventare uno spazio inabitato in virtù dell’abbandono continuo che le aree interne del nostro amato paese subiscono ormai da molti anni. Il presidio medico, garantito una sola volta a settimana, non rassicura abbastanza le persone che quello splendido luogo vivono. Così è nata un’esperienza estremamente interessante e meglio narrata in altro articolo di questo numero di Pedagogika.it. Grazie alla infrastrutturazione dell’area che ha reso smart il paese, è stato possibile dotare un gruppo di cittadini di uno speciale wearable device – in questo caso una sorta di smartwatch – che ha reso possibile monitorare in maniera costante e continua i parametri indicati dal personale medico. Tutto ciò senza poggiare su tecnologie di tipo tradizionali in quanto inadeguate per costi, raggiungibilità/copertura del segnale, durata delle batterie etc. Ciò rende possibile a questa comunità, trasformatasi in smart community, di continuare a vivere quegli splendidi luoghi scongiurando il rischio che si trasformino in spazi belli ma vuoti. In merito ai luoghi virtuali non è semplice farvi un esempio perché, se è vero che tutti hanno avuto esperienza di cosa sia un luogo, non è necessariamente vero che lo stesso si possa dire in ambito virtuale. Nonostante sia innegabile che tutti, o quasi, ormai sappiano cosa sono i social media e quali le interazioni possibili in quegli ambiti, è pur vero che non necessariamente hanno esperito quel senso di appartenenza come accade per i luoghi fisici. Subito prima che internet sbarcasse in Italia, tra la fine degli anni ‘80 ed i primi anni ‘90, le BBS Bulletin Board System – social network ante litteram – hanno rappresentato, forse per la prima volta, il più chiaro esempio di uno spazio virtuale che diventa un luogo virtuale.

I pochi fortunati pionieri di quella rivoluzione – nel 1994 non più di 60 mila persone[2] – hanno sperimentato per la prima volta il senso di appartenenza ad un luogo che non esisteva nello spazio fisico. Eppure esso era tangibile, come tangibile era l’attesa serale di poter tornare nei canali dove ad attenderli c’erano comunità di persone che si conoscevano e riconoscevano e che assumevano ruoli sociali, proprio come avviene in qualunque gruppo umano che ha coinvolgimenti emotivi tra i propri membri. Ricordo in particolare una considerazione che facemmo in un canale, #notturnoitalia – i costi del telefono facevano sì che si privilegiasse la tarda serata – quando ci rendemmo conto che dal vivo avresti potuto non essere notato, essere nascosto dietro le spalle di qualcuno, mentre in un ambiente virtuale, invece, eri sempre presente, visibile, interrogabile dunque coinvolgibile e coinvolto. Allo stesso modo oggi la virtual reality permette alle persone di incontrarsi e muoversi attraverso avatar in spazi sì virtuali, ma che sempre più somigliano a spazi reali e che sono senza dubbio luoghi nei quali è possibile studiare, incontrarsi come fanno i ragazzi che frequentano i laboratori su virtual spaceo gli adulti che vanno a formarsi e a discutere in quei luoghi, virtuali, ma luoghi.

Conoscere e saper usare la tecnologia al fine di rendere più smart la propria città e comunità non basta se rimane un punto di orgoglio. Deve diventare una responsabilità sociale. Prima ancora, dovrebbe permettere di riscoprire quella passione educativa che ha reso chi ci ha preceduto, pur senza tecnologia, già da allora smart

 

Note bibliografiche

[1] L’Unione Europea definisce così la smart city: «Una città intelligente va oltre l’uso delle tecnologie digitali per un migliore utilizzo delle risorse e minori emissioni. Significa reti di trasporto urbano più intelligenti, impianti di approvvigionamento idrico e di smaltimento dei rifiuti migliorati e modi più efficienti per illuminare e riscaldare gli edifici. Significa anche un’amministrazione cittadina più interattiva e reattiva, spazi pubblici più sicuri e un migliore soddisfacimento delle esigenze di una popolazione che invecchia» (Cfr. https://commission.europa.eu/news/focus-energy-and-smart-cities-2022-07-13_it).
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Bulletin_board_systemhttps://www.peacelink.it/diritto/a/5728.htmlhttps://darkwhite666.blogspot.com/2016/01/la-storia-dei-bbs-e-della-rete-fidonet.html