Occorre per forza salire su un podio?

Di Paola Navotti

Fin dai primi mesi di vita assorbiamo informazioni dal contesto in cui siamo inseriti e, così, cominciamo ad apprendere, a sviluppare competenze e a manifestare talenti. Questi ultimi possono essere misurati come performance, oppure guardati come un seme, la cui grandezza non sta evidentemente nella vistosità, ma nell’originalità che “porta” dentro di sé. Uno dei rischi su cui, fin dall’infanzia, occorre vigilare è proprio quello di intendere il percorso educativo come un talent show in cui primeggiare non sembra mai abbastanza: c’è consapevolezza oggi di questo? Perché, per esempio, ricorre facilmente nei genitori un senso di inadeguatezza quando i figli non manifestano particolari performance, o quando addirittura emergono difficoltà? Cosa significa educare anche i più piccoli ad osservare lealmente la propria esperienza, riconoscendo aspirazioni e predisposizioni? Un’ultima domanda per tutte: come ci si può liberare da una certa mentalità mondana secondo cui, per spiccare, occorrerebbe per forza salire su un podio? Lungi da ogni sforzo volontaristico o intellettuale, ciò che più serve per distaccarsi dalla rincorsa dei trofei è decidere di legarsi ad un contesto che abbia il coraggio di riconoscere sé e chi ha davanti come creatura: creata da altro da sé, qualsiasi nome si voglia attribuire a questo misterioso altro. Guardare una persona come creatura, ultimamente come donata, è il primo passo per imparare a non sovrapporsi alla sua personalità, alla sua unicità: a non pretendere che diventi a modo nostro, anziché a modo suo.

Per esplicitare maggiormente tutto ciò, ci viene in aiuto un esempio del mondo dell’arte che, come spesso accade, ha il pregio di “far vedere” ciò che si fa fatica ad esprimere. Si tratta di Paul Klee, uno dei più grandi pittori del Novecento, che ci ha lasciato quasi diecimila opere – tra acquerelli, disegni e dipinti a olio – oltre a tantissimi scritti. Nel corso di una conferenza a Jena del 1924, Paul Klee paragonò un artista ad un albero, più precisamente al suo tronco, che trasmette alla chioma la linfa vitale ricevuta dalle radici. Il passaggio di questa linfa non è un’azione automatica, ma dipende dalle caratteristiche di quel tronco e delle sue radici. Ecco: come per Klee dalla sensibilità di un pittore (il tronco) e dalla profondità delle sue radici, dipende un’opera artistica (la forma dei rami e delle foglie); nello stesso modo, dal nostro “tronco” e dalle nostre radici, dipende la fioritura o il congelamento dei talenti dei nostri figli.