Camilla Boniardi, nome d’arte Camihawke (Personagge e personaggi)
Di REBECCA CONTI
Camilla nasce a Monza nel 1990 e dopo il liceo classico decide di fare l’università iscrivendosi alla facoltà di giurisprudenza. Presto capisce che forse quella della giurista non è la sua strada e, quasi per caso, comincia a dedicarsi ai social diventando sempre più conosciuta. Inizia con tumblr e snapchat, piattaforme usatissime fino a qualche anno fa. Poi spopola su instagram, dove i suoi contenuti spaziano da video comici a ricette di cucina, consigli di film, libri, viaggi.
Fin qui niente di speciale: come tanti altri coetanei intraprende una strada, ci ripensa e la cambia trovando un percorso più affine alle proprie inclinazioni.
Cosa la rende degna di nota e, a mio modesto avviso, diversa dalla maggior parte delle persone che lavorano sul web?
Credo che Camihawke sia riuscita a diventare famosa e fare della propria passione il suo lavoro per una ragione ben precisa. Certo, è molto bella e di una simpatia rara, ma quello che la contraddistingue di più è la sua spontaneità. La vita che mostra nei social, per quanto sia ovviamente frutto di una scelta consapevole, ha l’aria di essere qualcosa di squisitamente autentico.
Camilla offre nell’era dei social e del fittizio una rassicurante e familiare finestra di realtà.
Anche la doverosa privacy e la sana tendenza a non condividere “proprio tutto” ha molto a che fare con la vita quotidiana di chiunque, in cui il privato resta comunque una porzione di vita che pochi conoscono. La sensazione che emerge seguendo i suoi canali è di un personaggio pubblico, ma prima di tutto di una persona che porta come valore personale quello di essere se stessi, trasmettendo un messaggio chiaro: non ignorare mai la propria voce interiore che spinge ad esprimersi liberamente ed esporsi quando si desidera.
Camihawke fa ciò sempre accompagnata dalla profonda consapevolezza dell’impatto mediatico che i messaggi che condivide hanno sulle persone e sulle loro vite. Così fa diventare la sua risonanza mediatica un potere volto ad influenzare al meglio, e soprattutto ad informare in maniera più trasparente possibile. Parla di disagio, fisico o psicologico, ponendosi come esempio per chi, come tanti giovani di oggi oltre a lei, si sente nel posto sbagliato e decide di invertire la rotta della propria vita. Lo fa con un linguaggio sì forbito, ma che ha come scopo quello di esprimere il proprio modo di pensare e di posarsi sulle cose, più che quello di essere appetibile a più persone possibili.
Il risultato è un’educazione relazionale su più fronti: la relazione gentile con se stessi, da un lato; e quella positiva con il mondo, dall’altro.
La storia di Camihawke è interessante perché riflette in qualche modo una parabola del mondo moderno. Camilla è l’esempio di una ragazza semplice come tante, che ha scelto di intraprendere una strada difficile che la rendesse felice, rifuggendo da categorizzazioni ed etichette, ma soprattutto dalla necessità di essere perfetta.
Non si rivede nella definizione di “influencer” perché potrebbe essere riduttivo; nel frattempo scrive un libro, conduce programmi televisivi, diventa autrice di un podcast, crea una linea di rossetti, crea community di giochi di tavolo e, recentemente, dirige e recita in uno spettacolo a teatro.
Il suo eclettismo si pone anche in contrapposizione con la richiesta esasperata della nostra società, che ci chiede di essere perfetti in quello che facciamo: per esplicitare ancora di più, sembra che si possa davvero prendersi il lusso di esporsi solo quando siamo i migliori a fare quello che mostriamo. Per quanto questo approccio allontani un modo di fare non professionale e superficiale, sono convinta che più di tutto alimenti il timore di affermarsi, di essere se stessi e di essere imperfetti.
Non categorizzarsi è un atto estremamente difficile, soprattutto perché nel mondo contingente dei social esporsi vuol dire presentarsi come complessi. Vuol dire essere qualcosa che va compreso, qualcosa su cui bisogna soffermarsi. E più di ogni altra cosa vuol dire essere oggetto di giudizio da parte di qualcuno più bravo, più informato, più competente e magari anche più sfacciato di noi.
Fare tutto ciò con l’arma della modestia e dell’autoironia è risultato per Camihawke la carta vincente. L’autoironia è uno strumento tanto difficile da trovare quanto potente, perché ci permette di osservare le situazioni da una prospettiva che lima, ridimensiona e addolcisce le difficoltà della vita. E ci permette così di intuire che non esprimersi equivale a non respirare.
Non ho ancora avuto la possibilità di assistere al suo spettacolo “Il saggio di fine anno”, ma i pareri del pubblico non sono che dei migliori. Da seguace e ragazza della “generazione Z”, posso affermare che questo suo differente modo di essere influencer esprime un coraggio e un’ispirazione per tante persone.
Quello che mi sento di fare è ringraziare chi ci spinge a tentare, a sperimentarci, ricordandoci che non esiste un momento giusto per essere qualcuno, ma esiste sempre qualcuno disposto ad ascoltarci.