Con l’art. 55 che nel 2017 è comparso nel Codice del Terzo Settore, il legislatore nazionale ha impegnato amministrazioni pubbliche e terzo settore ad attuare sistematicamente strumenti di co-programmazione e co-progettazione come “nuovo” paradigma della relazione tra amministrazione pubblica, cittadini e società civile. Tale normativa ha avuto il merito di traslare la propensione cooperativa in un vero e proprio strumento sociale, mettendo le basi per consolidare una concezione più collaborativa e paritaria dei rapporti tra Stato ed enti no profit. Tutto ciò ha davvero migliorato la costruzione del welfare locale?
Per il contesto assai problematico che il nostro mondo sta attraversando, la consapevolezza dell’importanza di agire insieme si sta affermando sempre di più, sia negli enti statali, che in quelli del terzo settore. Guerre, inflazione, cambiamento climatico, trasformazioni sociali, nuove povertà emergenti: tanti e tali sono i bisogni dell’oggi, che le risorse necessarie per affrontarli richiedono l’impegno di quanti più interlocutori possibili.
Il nome più adatto a significare tutto questo è “Amministrazione condivisa”: la sfida è collaborare fin dall’ideazione dei progetti, rendendoli generativi di politiche sociali che sappiano leggere i bisogni effettivi delle persone e obiettivi più equi ed inclusivi per affrontarli. A tutto ciò CultureLink ha dedicato un incontro dal titolo “Collaborare. Coprogrammazione e coprogettazione nei nuovi scenari di welfare”. Se ne è parlato sabato 5 ottobre 2024. Insieme a Fabio Degani (Responsabile Area Progettazione Stripes Coop), hanno dialogato numerosi relatori: Guido Ciceri (Direttore Azienda Speciale Consortile SER.CO.P.); Elena Meroni (Direttrice Azienda Speciale Consortile Comuni Insieme); Stefano Granata (Presidente di Confcooperative Federsolidarietà); Cecilia Guidetti (Direttrice dell’area Politiche sociali dell’IRS-Istituto di ricerche sociali).
Lo strumento della coprogettazione sta stimolando riflessioni e consapevolezze nuove in chi ne fa uso nel proprio lavoro sociale: l’insieme di norme a cui fare riferimento sono ancora relativamente “giovani” ed è necessario del tempo per poter assorbire la portata del cambiamento culturale promesso da un dialogo tra pubblico e privato.
Anche se con un quadro legislativo impostato, infatti, all’interno dei servizi socioeducativi ci si scontra con una normazione ancora piuttosto debole. La co-progettazione si fonda su un solido presupposto: insieme, è possibile rispondere meglio ai bisogni dei cittadini, cioè costruire servizi che risultino migliori. Passando dalla teoria alla pratica, emerge l’essenzialità di procedure amministrative che regolino e guidino la coprogettazione; nonché di linee guida, che aiutino a destreggiarsi tra gli interessi e i ruoli dei diversi enti in gioco. Il consolidamento di procedure “automatizzate” ha un rischio: perdere di vista la vera essenza del lavoro sociale, che è la collaborazione. Collaborare significa condividere i processi di pensiero, co-costruire progetti ma anche, in un secondo momento, co-gestire i servizi. È questo spirito di unione e alleanza a fare in modo che la progettazione si distanzi da altri strumenti più competitivi e procedurali come quello dell’appalto. Quest’ultimo, caratterizzato da logiche di committenza più competitive, esaurisce la sua dimensione sociale con la sua chiusura alla fine della gara o del bando. Differentemente, la coprogettazione si propone di essere uno strumento partecipativo di crescita sociale che si fa portatore, come afferma il giudice Antonini[1], di una vera e propria «inversione di pensiero nel rapporto tra stato e cittadini».
I servizi nascono, crescono e si evolvono gradualmente secondo un processo circolare e una continuità di valutazione e ri-progettazione: in tale processo si distingue l’interesse comune tra cittadino e stato.
La continuità di un lavoro congiunto comprende un inevitabile fattore di fatica, soprattutto perché in ogni dinamica di gruppo non si può non fare i conti con l’elemento fondamentale della fiducia: quest’ultima, in noi stessi e in chi lavora insieme a noi, è ciò che permette di fare un passo indietro quando necessario; di delegare certi compiti; e di scorgere all’orizzonte un obiettivo che si sente contemporaneamente come proprio e come comune. Ciò che contraddistingue la coprogettazione da altre azioni di gestione territoriale, è infatti quel tenace e permanente atteggiamento di relazione con l’altro, che proprio di fiducia si nutre. Quell’idea, profondamente democratica, di una società che sostiene la partecipazione attiva di tutti i soggetti protagonisti della vita sociale, siano essi rappresentanti di enti o singoli cittadini. Così il paradigma collaborativo assume la forma di un puzzle, dove ogni pezzo – ogni necessità, ogni comunità interna e ogni minoranza – finisce col trovare il suo posizionamento nel sistema ed essere arricchito dal disegno complessivo. Al centro del lavoro progettuale, fin dalla fase di ideazione, c’è la persona e, dunque, la valorizzazione delle sue unicità, indipendentemente da qualsiasi caratteristica demografica. Sia progettando servizi innovativi ex novo, sia svolgendo un’azione di riconnessione e ricomposizione di servizi già esistenti, il welfare collaborativo finisce per svolgere una funzione virtuosa per il territorio che serve.
In definitiva, oltre a una dose di corresponsabilità e un esauribile entusiasmo, l’ingrediente segreto per una coprogettazione di successo sembra essere un grande coraggio: il coraggio di portare sul tavolo del dialogo esperienze, risorse e strumenti nuovi, mettendolo il proprio sapere al servizio della comunità, anche se ciò significa talvolta rinunciare al guadagno di un vantaggio personale. Per chi pensa i servizi e li nutre col proprio lavoro è tutto molto chiaro: affinché la coprogettazione dispieghi le sue enormi potenzialità, occorre innanzitutto superare le logiche competitive dei singoli. Così si fa il primo passo verso un vantaggio sociale. Con questa disposizione d’animo, viene naturale identificare nelle integrazioni tra diverse realtà le opportunità più concrete di collaborazione. Il terzo settore e quello sociosanitario, ad esempio, in quanto estimatori di bisogni complementari se non sovrapponibili, sono chiamati a lavorare congiuntamente in vista di una progettazione più completa.
Costruendo legami proficui, innescando processi di stima tra chi utilizza i servizi e chi lavora al loro interno, si immagina attraverso quest’unione di realizzare una sanità territoriale basata su reti efficaci che coprano a 360° i bisogni degli utenti. Quest’integrazione – così come dichiarato dagli operatori – è possibile solo se si ascoltano gli interessi di tutti; se cioè si progetta insieme, senza perdersi d’animo di fronte a procedure che paiono lente e dense di inciampi: di limiti talvolta da attraversare e altre volte contro cui sbattere e magari cadere. Ciò significa anche scontrarsi con lo scarso riconoscimento sociale di alcune professionalità ad alta complessità, come quelle della sfera sociale e sanitaria. Pur di fronte a queste reali difficoltà, il lavoro di rete può essere una risposta che crea risorse di comunità e valorizza la società in cui è inserito, facendo in modo che ognuno lasci un “tassello” di sé agli altri. Ecco, per innescare processi di cambiamento positivo bisogna partire da sé, farsi per primi carichi dell’altro e prestare la propria professionalità a favore di un più grande disegno complessivo. Così la progettazione collaborativa riunisce un caleidoscopio di competenze e qualità professionali, spinta dal voler tessere progetti filantropici e soluzioni creative per problemi complessi. Risorse che fertilizzano un hummus comune, dove i nostri piedi tutti i giorni camminano saldi, e che rendono la terra generativa di benessere e di salute.
[1] Relatore della sentenza n. 131/2018 della Corte Costituzionale.
Tanti e tali sono i bisogni dell’oggi, che le risorse necessarie per affrontarli richiedono l’impegno di quanti più interlocutori possibili: c’è sempre più consapevolezza di ciò non solo nella gestione dei progetti sociali, ma soprattutto nella loro ideazione.
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