Giovani e politica in Italia: un ossimoro moderno?
I giovani e la politica assumono sempre di più la connotazione di ossimoro. Con un misero 17% dei giovani tra i 14 e i 29 anni che si interessa attivamente di politica, l’Italia si colloca tra i paesi con i livelli di coinvolgimento giovanile più bassi in Europa (Osservatorio Censis – ital communications, La Repubblica, 09/02/2023). Questo dato allarmante sottolinea una profonda disconnessione tra la politica istituzionale e le nuove generazioni, che sempre meno riescono a trovare un senso di appartenenza nei partiti tradizionali.
Secondo un’indagine condotta da Changes-Unipol, solo il 33% dei giovani italiani dichiara di avere fiducia nella politica nazionale. Questa sfiducia nasce da una percezione di corruzione e inaffidabilità, caratteristiche spesso associate alla storia politica italiana. Molti giovani non riescono più a identificarsi nei valori della “destra” o della “sinistra” tradizionali, il che ha portati a una crisi di appartenenza ideologica. Oggi, i confini tra le diverse fazioni politiche appaiono confusi, incapaci di rispecchiare i valori e le aspettative delle nuove generazioni, che senza ombra di dubbio, come ciclicamente la storia ci ha insegnato, chiedono e pretendono. Pretendono maggiore libertà e flessibilità lavorativa nauseati dalle storie dei genitori Boomer che ci hanno cresciuto lamentandosi estenuati da un lavoro poco riconosciuto e gerarchico. Vogliono politiche di pace e chiedono uno stato che non finanzi e incentivi le guerre. Chiedono più riforme green perché l’ecoansia sta impedendo ai giovani di immaginarsi un futuro. Esigono da parte delle istituzioni un’apertura mentale verso la libertà di esprimersi sia ideologicamente sia rispetto i propri orientamenti sessuali. Reclamano sicurezza, indipendentemente da quello che si indossa. Chiedono protezione per i propri diritti, che sia quello di esprimere la propria opinione o quello di abortire in modo legale e sicuro. Pretendono un’istruzione adeguata e un impiego riconosciuto a livello economico. Nuove generazioni che danno “fastidio” a chi vede queste richieste come rumori di sottofondo disturbanti e ronzii da soffocare, perché insistenti e provocatori. Ed è così che il cratere tra la politica e i giovani si fa più sempre più profondo, scolpito da un sistema percepito come lontano, autoreferenziale e “sordo”.
Un altro problema odierno da non sottovalutare è il continuo tentativo dei partiti di adattarsi ai trend del momento, con l’intento di creare messaggi più accattivanti che possano attrarre voti rapidamente. Tuttavia, questi sforzi appaiono spesso superficiali agli occhi dei giovani, abituati a un flusso di informazioni rapido e a contenuti spesso privi di profondità. È come se la politica avesse adottato il linguaggio della comunicazione digitale — veloce, frammentario, e talvolta privo di sostanza — dimenticando però l’importanza di una narrazione autentica e coerente. I giovani percepiscono questi tentativi di “acchiappa-voti” come un ulteriore segno di disconnessione, un segnale che la politica cerca di parlare loro senza però comprenderli davvero.
Viviamo in un’epoca in cui le tecnologie digitali e la semplificazione delle risposte hanno reso molti aspetti della vita quotidiana “facilitati”, dove tutto richiede sempre meno sforzo, impegno, memoria e in cui il concetto di fatica viene demonizzato verso un mondo sempre più comodo. In questo modo, il nostro cervello diviene sempre meno abile nel processare e costruire un pensiero critico e complesso che sia frutto dello studio delle infromazioni raccolte, dalla rielaborazione di esse e infine della formazione sensata di una propria prospettiva e di un pensiero logico. La politica, infatti, richiede tempo, complessità e riflessione — tre elementi che entrano in contrasto con una società che tende a favorire la comodità e la gratificazione immediata. Di conseguenza, molti giovani ad oggi si sentono inadatti ad affrontare temi politici complessi o a sviluppare opinioni strutturate su di essi, soprattutto quando la stessa politica non parla un linguaggio chiaro e diretto.
Questo disinteresse è aggravato dal fatto che la politica italiana sembra comunicare principalmente a un pubblico più vecchio. I partiti e le istituzioni faticano a rendersi attraenti e rilevanti per chi non si sente rappresentato o ascoltato. La conseguenza diretta è la costante crescita del fenomeno della “fuga di cervelli”, che porta molti giovani italiani altamente istruiti a scegliere di andare all’estero, in paesi dove si sentono più rappresentati, riconosciuti -anche a livello economico- e dove ritengono di poter realizzare meglio le proprie aspirazioni. Questa tendenza comporta non solo una perdita di talenti preziosi per il paese e una perdita economica, ma anche un vuoto generazionale che restituisce un Italia sempre più vecchia, chiusa e conservatrice.
È dunque un punto di non ritorno o è possibile sanare questo enorme gap? Per riavvicinare i giovani alla politica credo sia fondamentale intraprendere un cambiamento culturale e istituzionale che riconosca il valore della loro voce e delle loro idee. Introdurre un’educazione civica più pratica e coinvolgente nelle scuole, che non si limiti a un’analisi superficiale delle istituzioni ma insegni ai giovani a partecipare attivamente e criticamente alla vita politica. A questo proposito, vorrei raccontare come il mio semestre in un’università spagnola mi abbia lasciato la consapevolezza amara di quanto in Italia sia -quasi- completamnete assente il coinvolgimento politico nei giovani. Nell’arco temporale dei sei mesi in cui l’università mi ha ospitato, ho assisto ad una decina di “rivolte” pacifiche organizzate dagli studenti di tutto l’istituto per esplicitare i priori diritti o per reclamare un sistema che non funzionava. Comitati studenteschi, parate di giovani donne, striscioni e megafoni dove a gran voce tutti, senza timore, gridavano ciò in cui credevano e difendevano apertamente i loro diritti. Tra me e me, ho riflettuto su quanto noi studenti italiani, pur essendo geograficamente e culturalmente vicini, fossimo in realtà abissalmente lontani da queste realtà. La grande differenza, forse, sta nel fatto che i miei colleghi spagnoli non urlano invano a un pubblico sordo, ma, dove possibile, vengono supportati e ascoltati.
Sarebbe opportuno, dunque, che la politica smettesse di considerare i giovani come elettori di serie B e che cominciasse a prendere in considerazione la nostra voce – che formerà i cittadini del futuro- e mettere in campo soluzioni tangibili. In questo momento storico, così delicato e complesso, si chiede di compiere piccoli passi verso un assetto meno conservatore. Con la pretesa che le nostre voci vengano perlomeno ascoltate e prese in considerazione e che ci sia l’intento di progredire, anziché, arretrare.
Come può un giovane rispecchiarsi in un governo che ostacola la strada verso l’indipendenza, dove il lavoro precario, l’impossibilità di permettersi una casa, le riforme ambientali fittizie e le scarse opportunità di formazione sono oramai un’abitudine consolidata?
La relazione tra i giovani italiani e la politica è senz’altro complessa e frammentata, ma non irrecuperabile. Per riconquistare la fiducia delle nuove generazioni, si ha la necessità di una politica che smetta di parlare dall’alto e inizi ad ascoltare davvero, costruendo un dialogo basato sull’ inclusione e la concretezza, in cui il nostro interlocutore ascolti attivamente i bisogni delle nuove generazioni e provi a colmare progressivamente l’enorme cratere che negli anni ha scavato. Allo stesso tempo, si chiede ai giovani di non lasciarsi attrarre dalla comodità illusoria di un mondo semplificato dai social media, ma più che mai a mettere in campo capacità di pensiero critico e spirito di iniziativa, accompagnati -perché no – anche da un pizzico di rivalsa.