Adolescenti e salute mentale: la prospettiva pedagogica

Di STEFANIA SQUADRONI
Insegnante di filosofia e scienze umane presso istituti secondari di secondo grado. Pedagogista e dottoressa in psicologia clinica; esperta nell’analisi dei processi educativi e nella promozione del benessere psicologico con anni di esperienza nella formazione e nella consulenza individuale e a gruppi.

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INDICE
Introduzione
1. Adolescenti e salute mentale
1.1 Definire la transizione dall’adolescenza all’età adulta
1.2 La transizione come sfida a creare servizi integrati
1.3 Approccio multidisciplinare e reti di cura

2. Pedagogia e Psichiatria: possibili contatti
2.1 La cura nella pratica pedagogica
2.2 L’educatore socio-pedagogico nell’attuale panorama normativo
2.3  Il pedagogista: un possibile punto di raccordo nella rete di cura

 

1. ADOLESCENTI E SALUTE MENTALE

1.1 Definire la transizione dall’adolescenza all’età adulta
L’adolescenza è l’età del passaggio della trasformazione, della ridefinizione dell’identità spesso accompagnata da incertezza, insicurezza e fragilità, ma anche dalla possibilità di definire nuove traiettorie evolutive. Rappresenta quindi un’occasione particolarmente preziosa per potenziare i fattori protettivi e per rilevare segnali di rischio. In un contesto in rapido mutamento anche l’adolescente si è trasformato così come l’espressione del suo disagio che richiede un’attenzione tempestiva e risposte rapide ed efficaci. Diventa così cruciale per non essere travolti da scelte ispirate ad una mera razionalità economica e per uscire da meccanismi di delega nella gestione del disagio, riuscire a riformulare il modo di intervenire nei differenti contesti in cui ragazze i ragazzi vivono e si incontrano così come è fondamentale ripensare anche il modo di relazionarsi con tutti i soggetti implicati nella promozione della Salute Mentale delle persone di minore età il tema della Salute in adolescenza abbraccia un’area molto vasta che può assumere diverse sfumature che implica ruoli differenziati a seconda del punto di vista di chi osserva sia essa il ragazzo il genitore, l’insegnante, il pediatra, l’educatore, l’assistente sociale, lo psicologo, il neuropsichiatria infantile, il cittadino ecc.
È quindi indispensabile una attenta programmazione di interventi di promozione della salute mentale che coinvolgono i contesti scolastici, educativi e sociali, in associazione ad adeguate strategie di prevenzione diagnosi precoce intervento all’interno dei servizi specialistici del territorio. Per disagio psichico si intende tutta l’area del disagio caratteristico dell’età adolescenziale che in se può essere considerato fisiologico e che puoi volgersi, a seconda di una serie di fattori concatenati in disturbi. Questa accezione di per sé abbastanza ampia, permette di considerare anche tutta l’aria della promozione della salute intesa come stato di benessere psicofisico e sociale, consentendoci di soffermarci sull’importanza dello sviluppo neuropsichico del bambino a partire dalla nascita e nel contesto della sua crescita. per disturbi neuropsichici si intendono invece condizioni patologiche che interferiscono con lo sviluppo del minore di età sintomi neurologici comportamentali, relazionali, cognitivi e affettivi tali da condizionare in modo rilevante il funzionamento della persona in diversi contesti, casa, scuola, tempo libero, impedendole di svolgere a pieno i compiti evolutivi attesi per l’età. I disturbi neuropsichici rappresentano, quindi una realtà clinica articolata che vede coinvolte molteplici dimensioni della vita del minore di età e che necessita di approfondimenti scientifici aggiornati ai quali far corrispondere opportuni interventi tecnici. tali bisogni richiedono oltre la diagnosi tempestiva una presa in carico multidisciplinare e continuativa nel tempo da parte di servizi adeguati con interventi complessi e coordinati che coinvolgono la famiglia i contesti di vita integrati in rete con altre istituzioni e con il territorio[1].
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la malattia psichiatrica si manifesta in bambini e adolescenti con una prevalenza pari al 7-10%. In particolare, il 75% dei disturbi mentali si manifesta in maniera evidente entro i 25 anni e la maggior parte di essi ha origine in adolescenza. Se consideriamo la realtà italiana, l’8% dei ragazzi/e preadolescenti presenta disturbi neuropsichiatrici con una prevalenza delle difficoltà affettive rispetto alle difficoltà comportamentali[2]. Da una raccolta di cinquantadue studi internazionali sulla prevalenza dei disturbi psichiatrici (frequentemente si tratta di ansia e depressione) nell’infanzia e nell’adolescenza è emersa una media dell’8% nei prescolari, del 15% nei bambini delle elementari e del 18% negli adolescenti. Dal 2 al 4% degli adolescenti tenta il suicidio; ogni anno circa 7 giovani su 10.000 tra i 15 e i 19 anni si tolgono la vita.  I principali disturbi psichiatrici sono rappresentati dai disturbi d’ansia 7%, dal disturbo depressivo 1%, dal disturbo da deficit d’attenzione e iperattività 1-3%, disturbo della condotta 1%, disturbi di personalità…, schizofrenia…Dal 2 all’8% dei giovani sperimenta una depressione maggiore; circa l’1,9% sviluppa un disturbo ossessivo compulsivo; lo 0,5-1% dei giovani (per la maggior parte donne) tra i 12 e i 19 anni sviluppa l’anoressia nervosa e circa l’1% la bulimia nervosa. Anche la compresenza di più disturbi è frequente negli adolescenti. In questa età si riscontrano spesso problemi aggiuntivi quali difficoltà nel trovare un lavoro, cure parentali inadeguate, allontanamento dal percorso scolastico, difficoltà di apprendimento, uso e abuso di alcol e droghe[3].
La percentuale di rischio psicopatologico sembra aumentare nel corso dello sviluppo: da una prevalenza pari al 10% in età scolare si passa al 13,2% in età preadolescenziale e al 16,5% in adolescenza. Questi dati risultano d’interesse perché rendono evidente, da un punto di vista evolutivo, una continuità tra le difficoltà psichiatriche dell’età infantile e quelle dell’età adulta. Ciò significa che molti degli adulti con disturbo mentale hanno presentato un disturbo psichiatrico in adolescenza o durante l’infanzia. L’adolescenza e la preadolescenza rappresentano periodi sensibili rispetto alla possibile insorgenza di malattie mentali. Proprio in questa fase di vita il cervello subisce una forte spinta maturativa. In termini di modulazione comportamentale, invece, si tratta di una fase in cui le risorse di controllo e i inibizione degli impulsi non sono ancora completamente evolute e mature. Tutto questo rende l’adolescente e il preadolescente particolarmente vulnerabili alla comparsa di un disturbo psichiatrico[4].
Il concetto di transizione può essere analizzato secondo diverse prospettive, da una prospettiva evolutiva l’adolescenza è una tappa cruciale per lo sviluppo emotivo, psicosociale, personale e fisiologico poiché, attraverso compiti quali la separazione dalla famiglia, la scelta del percorso lavorativo o sociale e la definizione di sé con gli altri (sé sociale), il giovane sperimenta il ruolo di adulto. Da una prospettiva istituzionale, che tenga conto cioè dei percorsi di salute mentale, i giovani devono passare da un servizio ad un altro mentre stanno raggiungendo importanti tappe legate all’età. Sia per i giovani che per le loro famiglie, il passaggio all’età adulta determina profondi cambiamenti psicologici e sociali. Gli adolescenti hanno una maggiore propensione ai comportamenti a rischio (autolesionismo, sfide alcoliche, ecc.) e le spiegazioni di questo hanno radici non solo biologiche (influenze endocrine, eventi legati alla pubertà), ma anche psico-sociali (esplorazione, individuazione e raggiungimento dell’autonomia e delle capacità interne di controllare e direzionare gli eventi di vita). Si ribadisce pertanto che l’adolescenza è un periodo a rischio anche per quanto riguarda lo sviluppo di disturbi mentali. Con l’età, i problemi di salute mentale dei giovani tendono ad aumentare, divengono più complessi e possono comparire disturbi severi come la psicosi[5].

1.2 La transizione come sfida a creare servizi integrati
Infanzia e adolescenza si caratterizzano per la presenza di comportamenti disturbanti, non adesione alle regole, comportamenti a rischio, vissuti di ansia, depressione, attacchi di panico che possono essere comuni a molti ragazzi anche se in età matura questi non arrivano a sviluppare veri e propri disturbi, rappresentando quindi un passaggio obbligato verso l’acquisizione della maturità. Importante è saperli cogliere e riuscire ad instaurare un dialogo che porti alla comprensione di quello che il ragazzo, o la ragazza, sta attraversando. Anche i disturbi alimentari e i comportamenti autolesivi, dai tagli all’abuso di sostanze, hanno i loro picchi di insorgenza proprio in questa fase di estrema vulnerabilità. Non individuarli o sottovalutarli può portare a conseguenze serie, a volte anche drammatiche. Il disturbo che tratteremo in questo testo è molto più comune di quanto possiamo pensare: nella loro vita quasi tre ragazzi su cento possono andare incontro a vissuti di tipo psicotico. Negli ultimi anni, inoltre, la letteratura internazionale ha messo in luce come la ripresa dalla psicosi sia tanto migliore quanto più tempestivi sono il riconoscimento dei sintomi, la ricerca di aiuto e l’inizio della terapia.
La concomitanza di manifestazioni comportamentali estremamente complesse in minori e/o adolescenti normali spesso favorisce la mancanza di un chiaro approccio clinico-diagnostico, inoltre vi è una certa difficoltà nel riconoscere a questa fascia di età una sua specificità che, da un punto di vista accademico, è stata (e viene) contesa tra chi vorrebbe annetterla all’età adulta e chi vorrebbe mantenerla nell’alveo pediatrico, ciò ha determinato sia un ritardo e un’inadeguatezza delle istituzioni psichiatriche deputate alla diagnosi e alla cura, sia una carenza di ordine legislativo[6].
L’adolescenza e la prima giovinezza si collocano a cavallo tra i servizi per minori e quelli per adulti; ciò rende più difficile l’aggancio alle cure quando esse si rendono necessarie. I ragazzi con disturbi mentali possono perdersi nella transizione dai servizi per bambini e adolescenti, ai servizi per adulti (Centri di Salute Mentale). L’interruzione del percorso di cura in questo passaggio delicato non può che incidere negativamente sulla salute, sul benessere e sul potenziale di questo gruppo vulnerabile. Idealmente, la transizione dai modelli di cura adottati nei servizi per minori e adolescenti a quelli propri della salute mentale per adulti dovrebbe essere un processo di cambiamento pianificato, sistematico e propositivo, che tenga conto dei bisogni specifici sia dello sviluppo evolutivo sia del disturbo di ogni singolo ragazzo. La transizione indica però qualcosa di più rispetto al passaggio di una persona da un Servizio al successivo: questa implica infatti un percorso che abiliti e supporti un giovane nel passaggio ad una nuova fase della sua vita. Proprio i bisogni dettati da questo passaggio evolutivo rischiano di rimanere sconosciuti se questo percorso viene visto semplicemente come questione di carattere amministrativo tra Servizi per minori e Servizi per adulti[7].
Altro elemento di criticità riguarda il ricovero ospedaliero e cioè la difficoltà a trovare una pronta risposta nei casi di urgenza per le fasi acute. Tale carenza “costringe” a ricorrere a interventi di tipo improprio di “pronto soccorso psichiatrico” all’interno degli SPDC per adulti o a far un uso improprio delle strutture comunitarie costringendole a far fronte a situazioni di acuzie. Indiscutibile resta il fatto che la necessità di ricovero ospedaliero può essere in parte prevenuta se a livello territoriale e intermedio c’è la possibilità di effettuare, nelle situazioni di scompenso e sub-acuzie, interventi efficaci. La carenza di Strutture “intermedie” crea un vuoto tale da facilitare l’immediata escalation della crisi, non essendoci una risposta cuscinetto tra il polo ambulatoriale e il ricovero ospedaliero. E’ prioritario creare una forte integrazione delle risorse, attraverso lo studio e la condivisione di prassi e protocolli condivisi, per attivare un modello pluri-istituzionale e pluriprofessionale, in grado di consentire la gestione globale del percorso di cura, dalla fase di emergenza/urgenza a quella terapeutica/riabilitativa, integrando competenze e risorse clinico-sanitarie, sociali e di ricerca[8].

 

1.3   L’approccio multi-disciplinare
Si premette che il settore sanitario da solo non può fornire tutti i servizi necessari e non può rispondere a tutti i bisogni per la promozione della salute mentale e la prevenzione dei disturbi psichici. L’area dell’infanzia e dell’adolescenza richiede formazione, competenze e modelli di intervento multiprofessionali specifici, connessi alla peculiarità dello sviluppo e alla necessità di includere l’ambito della riabilitazione neuropsichica. Si conferma che i percorsi di cura devono essere realizzati sia da parte dei servizi specialistici per la salute mentale DSM e/o servizi per i disturbi neuropsichici dell’infanzia e dell’adolescenza, sia nel integrazione con la rete dei servizi sanitari, sociali e educativi, formali e informali, istituzionali e non. Sono due i principi guida da applicare: 1- Privilegiare la metodologia di partire dal basso, valorizzando le buone pratiche esistenti a livello locale oltre che regionale, avendo come cornice di riferimento la psichiatria e neuropsichiatria infantile di comunità.
2- Differenziare le tipologie dei bisogni e delle domande per individuare percorsi territoriali di cura diversificati, quali ad esempio, la collaborazione con altri servizi anche dell’area sociale ed educativa, la relazione di cura continuativa paziente-specialista, la presa in carico per i pazienti portatori di bisogni gravi e/o complessi con progetto terapeutico condiviso.
Molte patologie psichiatriche e neurologiche e neuropsicologiche hanno il loro esordio in età evolutiva e se non adeguatamente e tempestivamente trattate possono determinare conseguenze assai significative in età adulta sia per quanto riguarda la salute mentale che le condizioni di invalidità e non autosufficienza.
Si tratta di situazioni che richiedono una presa in carico multidisciplinare di lunga durata, con interventi complessi e coordinati di diagnosi, trattamento e riabilitazione che coinvolgono la famiglia e i contesti di vita, integrati in rete con altre istituzioni e con il territorio un sistema integrato e completo di servizi neuropsichiatria per l’infanzia è l’adolescenza. Richiede quindi la presenza di équipe multidisciplinari composte di tutte le figure professionali necessarie a garantire gli interventi ed un adeguato range di strutture. Vi è inoltre la fondamentale esigenza di una migliore e più funzionale organizzazione dell’integrazione tra i servizi salute mentale all’età evolutiva e dell’età adulta specie riguarda disturbi psichici adolescenziali e giovanili fascia d’età 15-21 anni con l’elaborazione di progetti sperimentali che prevedano la creazione di equipe integrate dedicate alla prevenzione al intervento precoce nei disturbi gravi ed emergenti[9].
La Regione Marche disciplina i criteri per la costituzione e dotazione del personale dell’Unità multidisciplinare dell’età evolutiva, previste dalla legge L.R. n. 18 del 4/06/1996, Promozione e coordinamento delle politiche di intervento in favore delle persone handicappate, è composta da un neuro-psichiatra infantile, uno psicologo, un pedagogista, un assistente sociale, uno o più tecnici della riabilitazione come logopedisti, fisioterapisti, psicomotricisti, musicoterapisti, uno o più consulenti nella patologia segnalata. All’interno dell’Unità multidisciplinare è individuato un coordinatore.
L’Unità di cui al comma 1 svolge le seguenti funzioni:
a) informazione, educazione sanitaria e attività di prevenzione;
b) consulenza e sostegno, anche psicologico, della famiglia;
c)collaborazione con enti ed istituzioni;
d) interventi per la cura e la riabilitazione precoce della persona in condizione di disabilità;
e) individuazione della disabilità e compilazione della diagnosi funzionale.
f) collaborazione con gli operatori della scuola e i genitori per l’elaborazione del profilo dinamico funzionale nonché del piano educativo individualizzato;
g) verifica del progetto educativo ai fini dell’inserimento sociale, scolastico e nelle strutture che favoriscono l’integrazione della persona in condizione di disabilità;
h) controlli periodici per una valutazione globale in itinere sull’andamento del soggetto nelle fasi evolutive dal punto di vista clinico, relazionale, delle capacità residue e delle potenzialità di apprendimento[10].
L’epoca nella quale viviamo è caratterizzata dalla paura dell’alterità, dell’altro che è diverso da noi per genere, età, cultura o disabilità, perché la differenza viene vissuta come disconferma identitaria. Nel nostro millennio c’è una sorta di smania tecnicistica che nell’ambito della salute mentale e della disabilità, si traduce nella tendenza a mettere al primo posto la dimensione biologica. Questa visione riduzionistica dell’alterità porta a ricercare come rimedio credibile quello farmacologico, la tecnica è sicuramente un elemento fondamentale per permettere il miglioramento della vita, tuttavia bisogna prestare attenzione a non darle un eccessivo potere, attribuendogli anche gli effetti positivi che le relazioni umane e di cura possono avere[11].
E’ da notare come l’area sociosanitaria abbia nel tempo orientato la costruzione delle équipe di lavoro verso una composizione multi-professionale, comprendendo però per lo più profili con background formativo sanitario, creando in tal modo una forte dominanza di alcuni professionisti rispetto ad altri. Proprio in relazione a un percorso culturale che ha attribuito prestigio e valore sociale a certe professioni piuttosto che ad altre, tutti questi aspetti rendono evidente la complessità della gestione di un gruppo multi-professionale. Tuttavia le politiche sociali italiane si sono orientate a costruire un settore socio sanitario improntato all’insegna della multi-professionalità anche per rispondere alla multi-fattorialità del disagio. In linea di questo principio è richiesta una nuova cultura della cura e della tutela della salute insieme a nuove metodiche di intervento che aiutino a far interagire gli apporti sanitario, psicologico, socio-assistenziale, educativo, costruendo un percorso unitario e specifico per ogni soggetto. L’intento è quello di porre al centro dell’azione di cura la persona nella sua globalità, per raggiungere tale obiettivo,la differenziazione professionale è sempre più auspicata, in riferimento però a una gestione unitaria del gruppo.
La tendenza alla medicalizzazione nei gruppi multi-professionali in area sociosanitaria pare infatti andare di pari passo con le scelte intraprese relativamente alla tipologia dei professionisti che in essa vengono inseriti, tale tendenza viene agita sia rispetto al controllo sulla pratica delle altre figure, sia sul posizionamento gerarchicamente più elevato che viene assunto, con la relativa conseguenza i una sempre crescente medicalizzazione dei servizi, della loro cultura e dei loro interventi.
Continuando a ragionare intorno ai temi dell’integrazione tra area sociale e area sanitaria e proseguendo verso una riflessione rivolta alla figura del pedagogista[12].

 

2.   PSICHIATRIA E PEDAGOGIA: POSSIBILI CONTATTI

2.1 Il significato di  cura in pedagogia
L’azione educativa assume i caratteri dell’aiuto alla persona, iscrivendosi nella categoria della relazione di aiuto. La maturazione bio-psichica, quale conseguenza della disposizione genetica e degli apprendimenti favoriti dall’ambiente, sintetizzabile nello sviluppo umano, in combinazione con l’educazione, quale azione ed intervento diretto e indiretto, genera e orienta la  formazione umana; questi sono gli interessi specifici della pedagogia clinica.
I processi sopra menzionati tendono a complessificarsi quando devono coniugarsi con la patologia di stati individuali, in uno o più aspetti, o in aree di funzioni. A fronte di patologie dello sviluppo, si impone l’esigenza di un adeguato aiuto allo sviluppo patologico, che si definisce educazione speciale:
SVILUPPO PATOLOGICO + EDUCAZIONE SPECIALE= FORMAZIONE[13]
Con riferimento all’handicap, l’approccio clinico in pedagogia effettua un lavoro di indagine sullo stato dinamico della persona nelle sue integrate dimensioni, bio-psico-sociale e familiare[14].
Secondo questo approccio la cura è sinonimo di sollecitudine umana per l’altro e per il suo maggior benessere, indipendentemente dall’esito. La cura così intesa non si può limitare alla somministrazione farmacologica o alla prestazione tecnico sanitaria, ma presuppone anche un coinvolgimento umano, e non è necessariamente guarigione poiché ci sono delle condizioni dell’esistenza in cui essa non è possibile, e l’unica possibilità è il miglioramento della qualità di vita. Una persona con disabilità non può guarire, ma può migliorare la qualità delle sue competenze e in generale della sua vita. Per occuparsi di disabilità quindi è necessario pensare la malattia non solo come evento di carattere tecnico scientifico, ma anche la soggettività dei sintomi e di come li percepisce e vive chi li possiede. La differenza fondamentale tra il punto di vista medico e quello pedagogico consiste nell’idea che, secondo la pedagogia, se l’oggetto di studio sono gli essere umani la conoscenza può avvenire solo con la relazione e il coinvolgimento. Essere disponibile al coinvolgimento implica la possibilità di vedere danneggiata la propria immagine di sé, mettondo a nudo debolezze, incorenze e aspetti meno nobili della propria personalità. Il coinvolgimento con chi è diverso da noi, soprattutto nell’universo della disabilità, genera paure, per lo più inconsapevoli. Nell’affrontare la tematica dell’inclusione ci troviamo di fronte a due atteggiamenti opposti possibili: il rifiuto e l’iperprotezione. Sia l’atteggiamento rifiutante che quello iperprotettivo cristallizzano la persona malata o disabile nel suo problema, identificandolo con esso e contribuendo a fissare la sua immagine come inadeguata. Il contatto con una persona malata genera inevitabilmente paure e angosce, la capacità empatica richiede prima di tutto quella introspettiva[15].
La  cura non è disimpegno, è  assunzione di responsabilità, ha il coraggio dell’esporsi, del mostrarsi, dell’esprimere le proprie idee, le proprie convinzioni, le proprie scelte, la propria morale, ma in modo non dogmatico, mai come certezze assolute di chi si è depositari e trasmettitori, ma come risposta ad un continuo ed inesauribile domandare, come mete provvisorie di un viaggio che anche per colui che offre cura non ha mai fine. Ed è proprio questo esporsi, la lealtà del mostrarsi, che favoriscono la relazione, l’incontro, la comunicazione, il dialogo, la reciprocità, perché in gioco non sono solo delle verità, dei principi guida, dei modelli astratti che trascendono lo stesso educatore il quale, attore più che autore è soggetto, li trasmetterà ad un allievo meramente recettore, ma due soggettività che incontrandosi danno vita ad una relazione, ad una relazione di cura. L’adolescente si affida all’adulto non per essere adeguato a un modello, ma per sentirsi in qualche modo protetto, per avere qualche punto di riferimento quando intraprende il suo cammino, quando cerca la propria strada, certo di trovare qualcuno che rappresenta ciò che è familiare, qualcuno che si rende responsabile di lui senza sostituirsi a lui, che lo aiuta ad orientarsi, che rappresenta in un certo senso la sua bussola, in modo che gli sia meno vascello, meno esposto al pericolo di smarrire se stesso, meno solo nel suo viaggio. dunque la cura, intesa come educazione, può e deve essere ancora normativa, ma nella dimensione della cura, la normatività non sarà mai riproduttiva, di un modello dato il di certezze assolute, ma produttiva, non escluderà la soggettività e l’intersoggettività ma le favorirà, non chiuderà alla relazione ma la aprirà, perché nell’offrirsi come esempio, nel proporre  norme, c’è sempre un mettersi in gioco, un esporsi, un mostrarsi, che sempre rende vulnerabili, un assumersi la responsabilità che chiama al dialogo, alla comunicazione, all’incontro e al confronto e talvolta anche allo scontro. Ancora una volta dunque, la cura risulta essere l’opposto del disimpegno, dell’assenza di regole, e assume la sua valenza pedagogica se diviene assunzione piena di responsabilità punto da questo rendersi responsabili discende l’autorevolezza che ci insegna e cioè la capacità di essere davvero educatore[16].
Le esigenze degli adolescenti collocati presso le comunità terapeutiche vengono interpretate in relazione all’assenza di un contesto educativo di base: affettivo, relazionale e normativo. Si tratta quindi di esigenze rielaborate pedagogicamente; poiché, le esigenze esplicite, si riducono a richieste quotidiane di carattere materiale ed esistenziale. Da qui il ruolo “interpretante” degli educatori, oltre che osservativo. Il rapporto educativo si configura anzitutto nell’assunzione di comportamenti coerenti, coerenze educazionali che il minore non è avvezzo a ritrovare in famiglia. Ciononostante, per gli educatori, è la relazione con tutte le sue modalità ad animare il contesto regolativo. Il contesto dunque, più che la norma verbalizzata, ingenera modificazioni; ma, nel contesto, è l’educatore il protagonista, il regista e attore della relazione; è colui che rappresenta una presenza costante ma non invadente, una presenza rassicurante, che sa soddisfare i bisogni affettivi e di guida e che sa gestire con tolleranza le emozioni e le esigenze collettive. Non esiste un educatore ideale, così come non possono esistere adolescenti ideali, ma alla luce di ciò emergono i bisogni di tipo professionale. Si dichiare che occorre conoscere sempre di più in un equilibrio tra esperienza diretta e cultura pedagogica, che troppo spesso ci si affida al buon senso, quando occorrerebbero strumenti più sofisticati per cogliere i bisogni più profondi, proprio perché la relazione con gli adolescenti prende tutta la vita. Il rischio della totalizzazione è sempre presente, per cui ogni forma di uscita verso l’esterno è vista con favore in quanto pone le premesse per la realizzazione delle comunità come centri aperti e del territorio. Per questo la programmazione e la verifica processuale diventano strumenti essenziali per proiettarsi all’esterno di un vissuto che non consente rispecchiamenti. Anche perché quello della relazione è “un lavoro che si porta a casa”, ci si scopre terapeuti senza volerlo o poterlo essere, e soli; quando non si dispone di altri colleghi e specialisti con i quali comunicare[17].
Cercando ora di comprendere la nozione di “salute mentale” che risulta più ampia e complessiva rispetto a quello di “psichiatria”, comprendendo al suo interno non solo le dimensioni patologiche della vita della mente. La disciplina di riferimento per la cura della salute mentale è oggi, la psichiatria, intesa per lo più quale branca della medicina specificatamente rivolta al trattamento delle dimensioni biologiche della malattia mentale, con tutte le contraddizioni che ciò comporta nel cambiamento di paradigma che l’affermazione del costrutto di salute mentale comporta. Intento della tesi è quello di tematizzare i possibili nessi tra la disciplina psichiatrica e quella pedagogica, per poter andare a evidenziare la possibilità del contributo del lavoro educativo all’interno dell’area della salute mentale.  Molte discipline hanno come oggetto di studio e interesse l’uomo, sia nelle scienze umane sia nelle scienze della natura, esplorandolo con sguardi e punti di vista differenti, speculari e complementari. La direzione di indagine della pedagogia, invece, vuole studiare lo sviluppo e la formazione dell’essere umano proteggendo, attuando, monitorando e valutando le condizioni e i processi che li favoriscono. La psichiatria, focalizzata sulla cura delle patologie psichiche dell’uomo da un punto di vista fisico e biologico, presenta certamente un campo di azione differente da quello pedagogico, ma, per il suo agire terapeutico, si trova a interfacciarsi con questioni molto vicine all’educazione e alla formazione, ponendosi il problema generale del come il soggetto si forma e delle modalità del suo costituirsi come soggetto nella totalità delle sue dimensioni. Seguendo questa direzione appare chiaro che la disciplina pedagogica possa offrire un significativo contributo alla psichiatria in relazione alla via di conoscenza basata sulla comprensione. Ecco quindi che si traccia una possibile vicinanza tra psichiatria e pedagogia, proprio intorno alla formazione esistenziale e globale dell’uomo. All’interno di questo orizzonte, la cura del disagio mentale si colloca in un’azione più ampia che comprende anche una direzione formativa ed educativa orientata a a far sviluppare a ogni uomo il suo più proprio poter essere. Il contributo della pedagogia risulta essenziale qualora la cura agita dallo psichiatra voglia indirizzarsi all’uomo nella sua globalità, considerando la dimensione del disagio e la possibilità della devianza da comportamenti giudicati “normali” come costitutive dell’esperienza esistenziale e non solo il disagio in quanto patologia o anormalità. La competenza pedagogica andrebbe a esprimersi proprio nella direzione, già delineata, di prendere in considerazione l’intera storia esistenziale e educativa di ogni soggetto, all’interno della quale trova il suo posto anche il disturbo mentale. Non solo, può riconoscere le condizioni e i processi, che hanno influito sulla formazione delle persone, dando luogo a un determinato modo di vivere, di comportarsi, di percepire e di dare senso al mondo, e generare percorsi educativi che, all’interno dell’area della salute mentale, sappiano costruire e aprire possibilità esistenziali a partire dalle condizioni date di ogni soggetto. Saper andare oltre le componenti fisiche e biologiche della diagnosi, senza ignorarla; per tracciare la via verso un percorso di recovery volto ad accettare e integrare l’esperienza del disagio psichico in una cornice che apra spazi di “vita buona” per ogni soggetto: ecco una direzione percorribile dell’agire educativo nell’area psichiatrica. In questo senso entra in gioco la competenza pedagogica, la capacità di leggere i processi di apprendimento formale e informale che soggiacciono a un modo di vivere, consente di progettare e realizzare percorsi attraverso cui si può imparare altro, come a vivere la propria condizione esistenziale in maniera diversa, magari con minor disagio. Educare alle dimensioni dell’abitare, educare alla costruzione e al mantenimento di una rete sociale, educare per poter gestire una propria occupazione, sono direzioni di possibile intervento pedagogico all’interno dell’area della salute mentale: direzioni che ampliano il campo di esperienza delle persone, consentendo loro di venire a patti con la loro condizione i partenza in maniera diversa, attraverso attività quotidiane, ma pensate ad hoc[18].

2.2 L’attuale panorama normativo: l’educatore socio-pedagogico
La riforma degli ordinamenti didattici universitari del 90, del 99, e del 2004 rispetto al comparto pedagogico, così come i provvedimenti legislativi emanati nello stesso arco temporale rispetto al comparto sanitario, hanno delineato una distinzione tra educatori professionali impegnati nell’area sociale ed educatori professionali impegnati nell’area sanitaria da cui emerge una debolezza dell’area socio-pedagogica.  La legge 205/2017 (commi dal 594 al 600) ha distinto la professione di Educatore professionale socio-sanitario di cui al DM 520/1998 da quella di Educatore professionale socio-pedagogico. Il comma 5941 e il comma 5172 della successiva legge 145/2018, attribuiscono al secondo la possibilità di operare nei servizi socio-assistenziali, nei servizi e nei presìdi socio-sanitari e della salute, limitatamente agli aspetti socio-educativi. In data 14 novembre 2019 la FNO, TSRM, PSTRP ha emanato la circolare 87/2019, all’interno della quale, riferendosi all’Educatore professionale socio-sanitario, si afferma quanto segue: “Ai sensi del predetto comma 517 della legge 145/20182 sono esentati dall’obbligo di iscrizione gli Educatori professionali socio-pedagogici, quale professione non organizzata (legge 4/2013) e, pertanto, impossibilitata a svolgere attività tipiche e riservate all’Educatore professionale di cui al DM 520/1998”. Con tale proposizione, che ha generato incertezze interpretative, si è voluto porre in luce sia che le competenze dell’Educatore professionale socio-sanitario sono quelle indicate dal DM 520/1998, sia che le attività tipiche e riservate allo stesso non possono essere svolte da altre figure, compresi l’Educatore professionale socio-pedagogico. La circolare non ha, perché non poteva, affrontato il tema della sovrapponibilità delle attribuzioni dell’Educatore professionale socio-pedagogico di cui al comma 594 della legge 205/2017 e s.m.i. con una parte delle attività dell’Educatore professionale socio-sanitario indicate nel DM 520/98, limitatamente agli aspetti socio-educativi. Appare, peraltro, impregiudicato il fatto che, in forza del comma 594 della legge 205/2017 e 1 594. L’educatore professionale socio-pedagogico e il pedagogista operano nell’ambito educativo, formativo e pedagogico, in rapporto a qualsiasi attività svolta in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, in una prospettiva di crescita personale e sociale, secondo le definizioni contenute nell’articolo 2 del decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, perseguendo gli obiettivi della Strategia europea deliberata dal Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000. Le figure professionali indicate al primo periodo operano nei servizi e nei presidi socio-educativi e socio-assistenziali, nei confronti di persone di ogni età, prioritariamente nei seguenti ambiti: educativo e formativo; scolastico; socio-assistenziale, limitatamente agli aspetti socio-educativi; della genitorialità e della famiglia; culturale; giudiziario; ambientale; sportivo e motorio; dell’integrazione e della cooperazione internazionale.
Ai sensi della legge 14 gennaio 2013, n. 4, le professioni di educatore professionale socio-pedagogico e di pedagogista sono comprese nell’ambito delle professioni non organizzate in ordini o collegi. 2 517. All’articolo 1, comma 594, secondo periodo, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, dopo le parole: «socio-assistenziale, limitatamente agli aspetti socio-educativi» sono inserite le seguenti: «nonché, al fine di conseguire risparmi di spesa, nei servizi e nei presidi socio-sanitari e della salute limitatamente agli aspetti socio-educativi». s.m.i., limitatamente agli aspetti socio-educativi, un Educatore professionale socio-pedagogico possa svolgere le attività di cui al predetto comma senza doversi iscrivere all’albo di cui al DM 13 marzo 2018 o all’elenco speciale a esaurimento di cui al DM 9 agosto 2019, quindi senza che la mancata iscrizione configuri esercizio abusivo di professione[19].
Il decreto legislativo 2443 che unifica la proposta di legge 2656 e la proposta di legge 3247 è approvato con il nuovo titolo disciplina delle professioni di educatore professionale socio-pedagogico educatore professionale socio-sanitario e pedagogista. Ha avuto lo scopo da un lato di qualificare entrambe le figure di educatori con l’aggettivo professionale individuando gli ambiti degli delle due dei due corsi di laurea dall’altro di meglio specificare il ruolo è la figura del pedagogista.
Ne risultano tre profili di educatore socio sanitario di educatore socio-pedagogico egli pedagogista differenziabili sia per livelli di azione che per livelli di competenze educatore professionale socio sanitario è un professionista che formato dalla facoltà di medicina con l’obbligo di iscrizione all’ordine professionale all’albo opera nei servizi e nei presidi sanitari, nonché nei servizi nei presidi socio-sanitari.
L’educatore professionale socio-pedagogico è un professionista di livello intermedio 6 livello che può operare nei servizi socio-educativi e socio assistenziali, nonché nei servizi socio-sanitari della sanità convenzionata limitatamente alle attività educative, il pedagogista è un professionista di livello apicale settimo livello il cui esercizio della professione risulta subordinata al conseguimento dello specifico titolo abilitante attribuito alla sito il percorso di studi universitari in questo modo è stato sottolineato opportunamente trattandosi di una professione di livello apicale valore abilitante del percorso di studi per esercizio il profilo di pedagogista conferendogli in tal modo un ruolo paritario rispetto ad altre figure professionali che operano in ambito sociale di cura l’articolo 2 e statuisce che il educatore professionale socio-pedagogico il pedagogista sono professionisti l’educazione formale e informale[20].
Molti ambiti disciplinari possono avere per oggetto di conoscenza i diversi aspetti della realtà formativa, ma c’è una sola area di sapere che ha per oggetto specifico l’educazione e la formazione: la pedagogia. La complessità dell’oggetto lo rende un possibile ambito d’indagine per molte discipline, ma nessuna, tra le diverse scienze umane, può esaurire la problematica educativa, poiché produrrebbe una inevitabile radicalizzazione della prospettiva su di un aspetto particolare del rapporto educativo (quello relativo allo specifico punto di vista della disciplina in questione). Mentre la pedagogia è la sola area che non deve specificare la sua “declinazione” particolare quando si occupa di fenomeni formativi, sarebbe tautologico parlare di “pedagogia dell’educazione”. La pedagogia si presenta dunque come l’area privilegiata del sapere educativo-formativo. Nessuna delle altre scienze può essere ritenuta sostitutiva della pedagogia, una concezione della pedagogia come sintesi critica dei risultati delle diverse ricerche settoriali, come sguardo privilegiato sull’educazione, dotato di un suo rigore concettuale ed ermeneutico, conduce a definirla come scienza autonoma, che non si confonde con le altre scienze per la specificità del suo oggetto, ma interagisce con esse[21]

 

2.3  Il pedagogista scolastico: un possibile punto di raccordo nella rete di cura
L’esordio di un disturbo schizofrenico è un evento di forte impatto sulla vita del paziente e dei suoi familiari. Fin dalle prime fasi di malattia infatti sono presenti disregolazione emozionale, discontrollo comportamentale e conseguentemente grave compromissione dal punto di vista sociale. E’ evidente pertanto la necessità di un approccio terapeutico integrato che comprenda tanto l’intervento farmacologico che quello di tipo psicosociale, parti integranti del intervento psicosociale del disturbo schizofrenico sono gli interventi psico educazionali, l’intervento familiare, il supporto scolastico ed eventuali training di orientamento scolastico e lavorativo. Nello specifico le tecniche maggiormente utilizzate consistono in training sulla promozione delle abilità sociali, delle abilità di vita quotidiana, sessioni di problem-solving, strategie per la riduzione degli elevati livelli di emotività espressa, e quindi per la promozione di una maggiore capacità di autoregolazione. Negli ultimi anni queste tecniche sono divenute parte integrante della pratica clinica, attuata in molti centri per l’intervento sui disturbi psicotici in età adolescenziale preadolescenziale, e gli studi su popolazioni con disturbi mentali  hanno dimostrato che l’intervento psico educativo, l’intervento familiare, aumentano il livello di compliance rispetto all’intero programma terapeutico e in particolare rispetto all’eventuale assunzione di farmaci, con un miglioramento significativo in termini di funzionamento psicosociale, nonché di qualità di vita del paziente[22].
L’ambiente psicosociale della scuola diventa quindi di fondamentale importanza, considerando quanto tempo molti  ragazzi spendono a scuola non stupisce che le dimensioni psicosociali proprie della scuola abbiamo attirato l’interesse di un sempre maggiore numero di ricerche. Un ambiente psicosociale positivo a scuola può influenzare la salute mentale e il benessere dei ragazzi, sentirsi uniti nella classe e mantenere una buona comunicazione tra alunni e corpo docente sono alcune delle caratteristiche che si sono rivelate correlati a diversi indicatori di salute mentale. Uno studio sull’impatto del clima scolastico sul benessere e sulla salute mentale dei bambini nella Repubblica Ceca ha riscontrato che nelle scuole con un clima caratterizzato da fiducia, rispetto tra dirigenti , insegnanti, alunni e famiglie sono stati meno frequenti casi di ansia generalizzata e ansia scolastica, si evidenziava inoltre un maggiore equilibrio emotivo e una più positiva attitudine verso la scuola.
In un secondo studio si è analizzato, in un campione di alunni svedesi, la relazione tra fattori psicosociali nell’ambiente scolastico e la salute mentale degli alunni e loro autostima; dai risultati è emerso che le difficoltà nelle relazioni con i compagni di classe erano i fattori psicosociali più frequentemente associati a problemi di salute mentale, inoltre nelle ragazze la mancanza di autocontrollo a scuola era correlata con una bassa autostima[23].
I “bisogni educativi speciali” non sono solo dell’alunno nella situazione di handicap classica come definita nella legge 104/92, anzi c’è un buon 10 15% di alunni che incontrano significative difficoltà di apprendimento e di relazione. Come per i disturbi dell’apprendimento si dovrebbero sperimentare sempre più diffusamente modalità di intervento didattico e clinico-riabilitativo utilizzabili dagli insegnanti e, in parte, anche da familiari adeguatamente coinvolti e formati. Qui entrano in gioco i servizi di pedagogia e di psicologia scolastica come risorsa tecnica per l’integrazione, ci si chiede come potrà diventare una realtà diffusa l’intervento del pedagogista e dello psicologo scolastico. In Parlamento ci sono varie proposte di legge,  sempre più psicologi e pedagogisti iniziano a fornire servizi specifici alle scuole singole o collegati tra loro in rete. E’ necessario pertanto  rileggere il rapporto tra pedagogia e scuola. Si pone anche il problema dei rapporti tra i nuovi servizi di psicologia scolastica  e di pedagogia (forniti alle scuole) e tra questi e l’équipe  multidisciplinari delle Asl: va costruito un’integrazione realistica tra questi apporti tecnici diversi e  non una competizione. Se gli operatori della sanità non ce la fanno ad assicurare l’intervento nella scuola, nei momenti previsti per la discussione della diagnosi funzionale, elaborazione del profilo dinamico funzionale del piano educativo individualizzato, si dovrà pensare un modo diverso per garantire il necessario supporto tecnico all’integrazione[24].  “Occorre prendere atto che ciascun allievo in stato di percorso formativo assistito necessita di condizioni e di aiuti di segno plurale, differenziati e flessibili. Non dunque lo stesso insegnamento a tutti , ma un aiuto discriminato nella misura delle differenze individuali, perciò clinico. Ciò è indicato come uguaglianza nell’educazione, propedeutica al valore democratico delle pari opportunità civili tra tutti gli individui”[25].

 

 

 

BIBLIOGRAFIA
Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, La salute mentale degli adolescenti. Documento di studio e di proposta, Marche Grafiche Editoriali, Roma 2017
– Armando M., De Crescenzo F., Pontillo M., I disturbi dello spettro      schizofrenico, S. Vicari, B. Vitiello (a cura di), Terapia integrata in psichiatria dell’età evolutiva, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 2015
– Bencivenga C., Comunità terapeutiche per adolescenti e fattori di criticità, A. Ferruta, G. Foresti, M. Vigorelli (a cura di), Le comunità terapeutiche. Psicotici, borderline, adolescenti, minori, Raffaello Cortina Editore, Milano 2012
– Crispiani P., Pedagogia clinica. La pedagogia sul campo, tra scienza e professione, Edizioni Junior, 2001
– Crispiani P., Pedagogia clinica della famiglia con handicap. Analisi e strumenti professionali, Edizioni junior 2008
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– Galanti M.A., Sofferenza psichica e pedagogia, Carocci editore, Roma 2014
– Iori V., Le professioni educative e la formazione pedagogica, V. Iori (a cura di) Educatori e pedagogisti, Erickson, Trento 2018
– Massa R., L’adolescenza: immagine e trattamento, Franco Angeli, Milano 1988
– Palmieri C., Gambacorti-Passerini M.B, Il lavoro educativo in salute mentale, Guerini Scientifica, Milano 2019
– Vicari S., Vitiello B. Terapia integrata in psichiatria dell’età evolutica, pp. 430-433, Il pensiero Scientifico, Roma 2015

 

SITOGRAFIA
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– https://www.consiglio.marche.it/banche_dati_e_documentazione/leggirm/leggi/visualizza/vig/1119?arc=vig&idl=1119#art10
– https://asugi.sanita.fvg.it/export/sites/aas1/it/documenti/all_dat/mat_info/dsm_disturbi_psicotici_esordio_insegnanti_it.pdf

NOTE BIBLIOGRAFICHE
[1]    Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza., La salute mentale degli adolescenti. Documento di studio e di proposta,  pp. 10-11, Marche Grafiche Editoriali, Roma 2017
[2]    Vicari S., Vitiello B. Terapia integrata in psichiatria dell’età evolutica, pp. 430-433, Il pensiero Scientifico, Roma 2015
[3]    https://asugi.sanita.fvg.it/export/sites/aas1/it/documenti/all_dat/mat_info/dsm_disturbi_psicotici_esordio_insegnanti_it.pdf
[4]    Vicari S., Vitiello B. Terapia integrata in psichiatria dell’età evolutica, pp. 430-433, Il pensiero Scientifico, Roma 2015
[5]   https://asugi.sanita.fvg.it/export/sites/aas1/it/documenti/all_dat/mat_info/dsm_disturbi_psicotici_esordio_insegnanti_it.pdf
[6]  Bencivenga C., Comunità terapeutiche per adolescenti e fattori di criticità, A. Ferruta, G. Foresti, M. Vigorelli (a cura di), Le comunità terapeutiche. Psicotici, borderline, adolescenti, minori, p. 208, Raffaello Cortina Editore, Milano 2012
[7]    https://asugi.sanita.fvg.it/export/sites/aas1/it/documenti/all_dat/mat_info/dsm_disturbi_psicotici_esordio_insegnanti_it.pdf
[8]    Bencivenga C., Comunità terapeutiche per adolescenti e fattori di criticità, A. Ferruta, G. Foresti, M. Vigorelli (a cura di), Le comunità terapeutiche. Psicotici, borderline, adolescenti, minori, Raffaello Cortina Editore, Milano 2012, pp. 209-211
[9]    http://www.norme.marche.it/Delibere/2014/DGR0277_14.pdf
[10]  https://www.consiglio.marche.it/banche_dati_e_documentazione/leggirm/leggi/visualizza/vig/1119?arc=vig&idl=1119#art10
[11]  Galanti M.A., Sales B., Disturbi del neurosviluppo e reti di cura. Prospettive neuropsichiatriche e pedagogiche in dialogo,  pp. 10-36, ETS, Pisa, 2017
[12] Palmieri C., Gambacorti-Passerini M.B., Il lavoro educativo in salute mentale , pp. 63-67, Guerini Scientifica, Milano 2019
[13]  Crispiani P., Pedagogia clinica della famiglia con handicap. Analisi e strumenti professionali, p. 23, Edizioni Junior,  Bergamo  2008
[14]  Ivi,  p. 25.
[15]  Galanti M.A., Sales B., Disturbi del neurosviluppo e reti di cura. Prospettive neuropsichiatriche e pedagogiche in dialogo, pp. 10-36, ETS, Pisa, 2017.
[16]  Fadda R., Il paradigma della cura. Ontologia, antropologia, etica, V. Boffo, (a cura di), La cura in pedagogia, pp. 46-47, Clueb, Bologna 2006.
[17]  Massa R., L’adolescenza: immagine e trattamento, pp. 149-152, Franco Angeli, Milano, 1988.
[18]  Palmieri C., Gambacorti-Passerini M.B., Il lavoro educativo in salute mentale, pp. 75- 83, Guerini Scientifica, Milano 2019.
[19] http://www.tsrm.org/wp-content/uploads/2019/12/Educatori-professionali-scheda-per-il-Ministro-della-salute_23dicembre2019.pdf
[20]  Sicurello R., L’educatore e il pedagogista: nuove professionalità per nuovi bisogni educativi, Lifelong Lifewide Learning, Vol. 15, pp. 35-49, 2019.
[21]  Iori V., Educatori e pedagogisti. Senso dell’agire educativo e riconoscimento professionale, pp. 23-25, Erickson, Trento 2018.
[22]  Vicari S., Vitiello B., Terapia integrata  in  psichiatria dell’età evolutiva, pp. 431-433, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 2015.
[23]  Azienda Servizi Sanitari Triestina, I disturbi psicotici all’esordio : riconoscere e affrontare la psicosi aiuta la ripresa. Manuale per insegnanti e coloro che operano a stretto contatto con i giovani,  asugi.sanitra.fvg.it
[24]  Ianes D., Strategie prioritarie per dare qualità all’integrazione scolastica , pdfs.semanticscholar.org
[25]  Crispiani P., Pedagogia clinica. La pedagogia sul campo, tra scienza e professione, pp. 119-120, Edizioni Junior,  Bergamo 2001.