Perchè “non posso” andare a votare
Ho 19 anni e avrei già avuto occasione di votare (nelle elezioni europee del giugno 2024), ma non l’ho fatto. Il perché è questo: non voglio essere strumentalmente politicizzato, cioè identificato in una specie di barricata di guerra, invece che semplicemente in una parte politica. Racconto brevemente di me, prima di dettagliare questa mia posizione.
Frequento l’ultimo anno di un noto liceo classico milanese e studiare mi è sempre piaciuto: soprattutto la storia, che continua a sembrarmi una presenza viva nella mia vita, come fosse un vento costante che porta le testimonianze di chi ci ha preceduto. Ho 2 sorelle più grandi che sono all’università: la maggiore alla facoltà di Filosofia, l’altra ha appena cominciato Medicina. I miei genitori sono insegnanti: mamma alla scuola primaria, papà alla secondaria di primo grado. Viviamo in una casa dignitosa ma senza nessun lusso, come si può immaginare dalla professione dei miei e dal fatto che in famiglia siamo 5. Non siamo sempre andati in vacanza, eppure i nostri genitori non ci hanno mai fatto mancare nulla; soprattutto grazie a loro ci siamo sentiti protagonisti della società, addirittura indispensabili. Per questo le mie sorelle ed io abbiamo sempre fatto esperienze di volontariato: sin da piccoli, quando la mamma ci incoraggiava ad aiutare nei compiti i due bambini della nostra vicina di casa, una donna vedova che lavorava tutto il giorno e non poteva tornare a casa prima di cena. Nostra madre ci diceva che non era un caso che noi vivessimo accanto a quella famiglia, e che per quei bambini la nostra disponibilità sarebbe stata un segno di possibile bene per la loro vita.
Tutto ciò per dire che in casa mia ho sempre respirato un’apertura al mondo, così come la profonda convinzione che il mondo può cambiare anche grazie al contributo di ciascuno di noi.
Il messaggio dei miei anni alle scuole superiori purtroppo è stato un altro: il mondo può cambiare solo se decido di identificarmi in una certa parte politica. Non solo: se pongo certe domande, o se non condivido subito certe posizioni, vengo automaticamente bollato come fascista o comunista, a seconda del caso. Con una violenza anche “solo” verbale, che ferisce e addolora. Faccio tre esempi. In una lezione del terzo anno in cui era venuto fuori il tema della procreazione medicalmente assistita, una mia compagna aveva domandato all’insegnante perché ciò che “madre natura” non permette non possa essere una sufficiente ragione per fermarsi. Molti della classe cominciarono a darle della fascista e della retrograda, invece che cercare di rispondere alla sua domanda. Quando presi le sue difese e chiesi con insistenza che ci aiutassero a capire, mi resi conto che non sapevano rispondere. Non sapevano argomentare la propria posizione, se non con slogan preconfezionati. Un altro esempio: all’inizio di quest’ultimo anno di superiori, con alcuni amici ci siamo messi d’accordo di organizzare un cineforum del sabato sera, scegliendo i film a seconda delle recensioni più interessanti che ci capita di leggere. Quante volte, discutendo sul film da scegliere, è venuto fuori l’epiteto di comunista o fascista per giustificare la bocciatura di un titolo! Ultimo esempio: perché tutte le volte che non mi trovo d’accordo sulle ragioni di una manifestazione, o di un’occupazione scolastica, mi sento accusato di essere uno sporco seguace della destra, o della sinistra, a seconda del caso?
Se la politica è questo, cioè se è divisione e inimicizia, a me non interessa. Io spero che i prossimi anni, entrando nella piena età adulta, io abbia la possibilità di cambiare idea. Di incontrare cioè persone che non si guardino reciprocamente con superficialità o snobismo, a seconda del partito che hanno votato. Fino ad allora, io non posso andare a votare perché non mi basta aderire a delle idee.