Disarmiamo le parole!
Gli insulti sono sempre più all’ordine del giorno: nelle aule di Montecitorio e in quelle di Palazzo Madama; nei dibattiti televisivi e radiofonici; nelle manifestazioni di piazza; per le strade delle nostre città (basti pensare a quando i mezzi pubblici sono in sciopero…); sui social, nei troppi commenti ai post in cui l’istinto prende il sopravvento. Ma anche nei cortili delle scuole, dove spesso i genitori condividono lamentele accusatorie verso chi educa i loro figli. Per non parlare delle partite di calcio – qualsiasi età abbiano i giocatori – e perfino degli oratori, che non riescono a tenere fuori dalla porta improperi e insolenze.
Alle parole, insomma, non si dà l’importanza che meritano. Sembra che la loro durata sia limitata ai fiati con cui le pronunciamo, come uno spiffero d’aria che pizzica e subito scompare. Non è così: le parole sono pietre, come titolava Carlo Levi un suo celebre testo. Le parole cioè rimangono, contribuiscono a costruire nel bene e nel male. Sembrano durare un soffio non perché poi scompaiono, ma perché si radicano: come fondamenta discrete di arsenali, oppure di giardini.
Sono proprio le parole – e i toni con cui sono state pronunciate – ad aver fatto notizia questa settimana: quelle sul riarmo europeo; quelle sul manifesto di Ventotene; quelle sugli scontri a Istanbul dopo l’arresto del sindaco Erdogan; quelle pronunciate in Medio Oriente contro il licenziamento del capo dello ShinBet; quelle del presidente Mattarella per commemorare le vittime delle mafie; quelle rivolte alla maestra d’asilo presente su Onlyfans; soprattutto quelle di papa Francesco che, da oltre un mese ricoverato in ospedale, ha voluto scrivere al Corriere della Sera un messaggio che – da quando è stato pubblicato, il 18 marzo – continua giustamente a stare tra i primi titoli dei media. A partire dalla condizione sofferente che sta vivendo da oltre un mese, il Pontefice ha avuto l’audacia di esternare una grande verità: quando si è fragili, segnati per esempio dalla malattia, tutto è visto con una maggior lucidità. È più chiaro cioè il confine tra bene e male, tra «ciò che dura e ciò che passa, ciò che fa vivere e ciò che uccide». E in tale lucidità – che, se ce ne fosse stato bisogno, in questo periodo lo caratterizza ancora di più – il Papa si è rivolto a nostro avviso a ciascuna e ciascuno di noi, non solo ai professionisti dell’informazione: «Vorrei incoraggiare tutti coloro che dedicano lavoro e intelligenza a informare, attraverso strumenti di comunicazione che ormai uniscono il nostro mondo in tempo reale: sentite tutta l’importanza delle parole. Non sono mai soltanto parole: sono fatti che costruiscono gli ambienti umani. Possono collegare o dividere, servire la verità o servirsene. Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra».
Sì, dobbiamo proprio disarmare le parole. Dappertutto.