Digital Humanities e Scuola (un nuovo umanesimo nell’era digitale)

 

Di BRUNO LORENZO CASTROVINCI
Pedagogista, scrittore, saggista, pubblicista e Dirigente Scolastico presso l’Istituto Tecnico Tecnologico “Ettore Majorana” di Milazzo.

 

Nel nostro tempo, segnato dall’egemonia della tecnologia, dalla centralità delle discipline STEM e dall’ascesa accelerata dell’intelligenza artificiale e della robotica, prende forma con sempre maggiore evidenza un nuovo umanesimo. Questo movimento non rappresenta una reazione nostalgica, né un rifiuto del progresso, ma un tentativo ambizioso di integrare le conquiste tecniche con la profondità del pensiero umanistico e la sensibilità filosofica. In alcuni istituti tecnici all’avanguardia, questo paradigma è già operativo e produce risultati significativi; nei licei, invece, si sta affacciando come orizzonte innovativo e occasione di rinnovamento.
All’interno di questa visione, si impone la necessità di ripensare radicalmente il sistema degli ordinamenti scolastici. Le tradizionali separazioni tra licei, istituti tecnici e professionali rischiano infatti di cristallizzare un’idea di scuola rigida, settoriale, non più in grado di rispondere alla complessità del presente. La scuola del futuro dovrà invece proporre un modello fluido, capace di fondere tecnica e filosofia, pensiero computazionale e riflessione critica, scienza e linguaggio, costruendo una cultura integrata e trasversale che risponda alle esigenze di una società interconnessa e multidimensionale. In questo scenario, la convergenza tra saperi umanistici e digitali, tra pensiero critico e competenze tecnologiche, non è più un’opzione sperimentale, ma una necessità pedagogica, culturale ed esistenziale.
Nel cuore del XXI secolo, dunque, la scuola si trova dinanzi a una sfida che è allo stesso tempo culturale e antropologica: coniugare la profondità del sapere umanistico con le potenzialità trasformative delle tecnologie digitali. Non si tratta soltanto di introdurre nuovi strumenti in aula, ma di ripensare l’intero impianto educativo alla luce delle possibilità offerte dal digitale, riconsiderando la natura stessa dell’apprendimento e della conoscenza. È in questo contesto che si inseriscono le Digital Humanities, un ambito innovativo e dinamico che unisce la tradizione umanistica alle più avanzate tecniche digitali, generando nuove forme di insegnamento, nuove pratiche interpretative e nuovi percorsi formativi.
Come afferma Edgar Morin, “Bisogna insegnare a connettere i saperi” per affrontare la complessità del mondo contemporaneo. Le Digital Humanities incarnano questa esigenza: rendono possibile un approccio sistemico e multidisciplinare, in cui la letteratura si confronta con la visualizzazione dei dati, la storia si intreccia con la geolocalizzazione, la filosofia dialoga con l’intelligenza artificiale. Questo approccio promuove un sapere relazionale, connettivo, capace di leggere le trame della realtà nella loro interdipendenza.
Portare le Digital Humanities a scuola significa, dunque, educare le nuove generazioni a una conoscenza aperta, riflessiva e partecipata. Significa valorizzare le discipline umanistiche come luoghi di ricerca, creatività, responsabilità, e restituire loro un ruolo centrale nel processo educativo. In questo modo, la scuola può trasformarsi in un laboratorio vivo e vitale, in cui il sapere non si trasmette passivamente, ma si costruisce collettivamente, attraverso l’interazione, il confronto e l’immaginazione. Una scuola che accoglie la complessità, che valorizza la diversità dei saperi, che forma cittadini digitali consapevoli, capaci di abitare il mondo con intelligenza critica e sensibilità etica.


Didattica esperienziale e apprendimento attivo
La didattica esperienziale è una metodologia che pone al centro lo studente, promuovendo un apprendimento attivo, riflessivo e coinvolgente. In questo approccio, la conoscenza non è trasmessa in modo verticale, ma costruita attraverso esperienze significative, capaci di stimolare il coinvolgimento emotivo, la creatività e il senso critico. Le Digital Humanities si inseriscono perfettamente in questo quadro: analizzare un testo antico con strumenti di markup come XML-TEI, ricostruire la storia di un territorio con mappe interattive, creare podcast letterari o progetti di storytelling digitale sono solo alcune delle esperienze che rendono la lezione più viva, concreta e significativa.
La didattica esperienziale si fonda anche sull’apprendimento situato e sul learning by doing, modalità che permettono agli studenti di apprendere attraverso la partecipazione attiva, la manipolazione di contenuti e la riflessione metacognitiva. Queste esperienze rendono l’educazione più autentica, ancorandola alla realtà e rendendo lo studente protagonista del proprio percorso di crescita.
Nella scuola primaria, si possono progettare laboratori interdisciplinari in cui i bambini creano ebook illustrati partendo da fiabe tradizionali, digitalizzano le loro storie con applicazioni come Book Creator, o registrano brevi video in stop motion per raccontare miti e leggende. Attività come la drammatizzazione digitale di favole o la costruzione di mappe concettuali interattive con strumenti come Popplet o MindMeister rendono l’apprendimento giocoso ma profondo.
Nella secondaria di primo grado, si può introdurre la costruzione di linee del tempo digitali per lo studio della storia, l’uso di piattaforme come Canva e Genially per la realizzazione di presentazioni multimediali su autori e filosofi, o la realizzazione di blog letterari dove gli studenti discutono in modo argomentato le letture affrontate. Alcune scuole propongono anche Escape Room digitali a tema storico o letterario, per favorire la collaborazione e la riflessione critica.
Nella secondaria di secondo grado, invece, gli studenti possono cimentarsi in progetti più complessi e strutturati: dalla creazione di edizioni digitali di testi antichi con software open source, come Juxta o Voyant Tools, fino all’analisi dei dati letterari tramite strumenti di text mining. Si possono integrare attività come il fact-checking storico-letterario con l’uso di archivi digitali, la produzione di documentari e videointerviste su figure storiche o letterarie locali, o la realizzazione di percorsi digitali di lettura aumentata e analisi comparativa tra testi.


Multidisciplinarietà e complessità: la lezione di Edgar Morin
Il pensiero di Edgar Morin ci invita a superare la frammentazione dei saperi e ad abbracciare la complessità. Secondo Morin, la scuola deve formare menti capaci di collegare, di vedere le relazioni, di affrontare l’incertezza e la mutevolezza del reale. Solo educando al pensiero complesso si possono costruire cittadini capaci di orientarsi in una realtà globale, interconnessa e in costante evoluzione. Le Digital Humanities rispondono a questa esigenza in modo potente e creativo: collegano linguaggi, culture, strumenti, mondi apparentemente lontani, favorendo una comprensione integrata e critica del sapere.
In questo senso, le Digital Humanities non rappresentano soltanto una risorsa tecnica, ma un vero e proprio ambiente epistemologico. Sono un modo nuovo di concepire il sapere, di costruire ponti tra tradizione e innovazione, tra contenuti umanistici e strumenti digitali. Permettono di superare i confini disciplinari, introducendo modalità di apprendimento ibride e trasversali. Il sapere non è più suddiviso in compartimenti stagni, ma assume una dimensione reticolare, proprio come la struttura delle reti digitali che utilizziamo quotidianamente.
Le attività interdisciplinari che uniscono italiano, storia, filosofia, arte e informatica non sono solo innovative, ma necessarie in un contesto educativo che voglia essere realmente formativo. Ad esempio, un progetto sull’Odissea può coinvolgere la realizzazione di un sito web che ripercorre le tappe del viaggio di Ulisse, con link ipertestuali, mappe interattive, letture ad alta voce, illustrazioni digitali e approfondimenti critici scritti dagli studenti. In altri casi, si può lavorare su una mappa concettuale interattiva che collega la poetica di Omero ai concetti filosofici di viaggio e conoscenza, alle rappresentazioni artistiche del mito e ai dati storici sulle civiltà mediterranee. Questo approccio permette di integrare contenuti, competenze digitali e pensiero critico, offrendo agli studenti una visione più ampia, consapevole e coinvolgente del sapere. Si stimola così anche la collaborazione, l’autonomia e la capacità di progettare, tutte competenze fondamentali per affrontare la complessità del mondo contemporaneo.


Intelligenza Artificiale e formazione del pensiero
L’intelligenza artificiale rappresenta una nuova frontiera per le Digital Humanities. Gli strumenti di IA possono supportare lo studio delle lingue, l’analisi dei testi, la creazione di contenuti e la personalizzazione dell’apprendimento. Ad esempio, applicazioni come ChatGPT possono aiutare gli studenti a sintetizzare un testo complesso, generare domande di comprensione, riscrivere un paragrafo in stile diverso, oppure fornire feedback in tempo reale sui propri scritti. Altri strumenti, come Grammarly e DeepL Write, offrono supporto linguistico e stilistico, consentendo agli studenti di migliorare la qualità formale e contenutistica dei propri elaborati.
L’intelligenza artificiale può inoltre fungere da tutor virtuale, capace di adattare i contenuti alle esigenze individuali, suggerire fonti di approfondimento, proporre esercizi personalizzati. In ambito umanistico, sono sempre più diffuse piattaforme basate sull’IA che assistono nella traduzione automatica di testi antichi, nella creazione di mappe concettuali dinamiche a partire da un corpus testuale, nella generazione automatizzata di sintesi tematiche o nella stilometria comparativa tra autori diversi. Questi strumenti offrono un terreno fertile per lo sviluppo di attività didattiche innovative, capaci di stimolare curiosità e senso critico.
Tuttavia, è essenziale accompagnare l’uso dell’IA con una riflessione critica e pedagogica profonda. Gli studenti devono essere guidati a riconoscere i limiti delle macchine, l’importanza del pensiero autonomo, la responsabilità etica nell’uso delle tecnologie. È necessario sviluppare nei giovani una consapevolezza epistemologica che li renda capaci di interrogarsi non solo su ciò che la macchina produce, ma anche sul come e perché lo produce. L’IA può essere un prezioso alleato nella didattica, ma non può e non deve sostituire la relazione educativa, la sensibilità interpretativa, la dimensione dialogica dell’apprendimento e la profondità del pensiero umanistico, che resta insostituibile nella formazione della persona.


Nuove applicazioni tecnologiche a supporto dell’apprendimento
Oltre ai grandi modelli linguistici, il panorama tecnologico attuale offre numerose applicazioni emergenti che possono potenziare il lavoro educativo in ambito umanistico. Un esempio è Plaud, un’applicazione che consente di registrare e trascrivere conversazioni o lezioni in tempo reale, trasformandole automaticamente in riassunti strutturati e punti chiave. Uno strumento simile, Otter.ai, è già utilizzato in molte scuole anglosassoni per supportare l’apprendimento personalizzato e la didattica inclusiva, grazie alla possibilità di condividere trascrizioni annotate e integrarle con elementi visivi e link esterni.
In ambito creativo, applicazioni come Descript permettono la produzione di podcast, video e narrazioni digitali con editing facilitato anche per chi non ha competenze tecniche, offrendo funzioni di trascrizione automatica, rimozione dei silenzi, sintesi vocale e montaggio intelligente. Poised, invece, aiuta a migliorare le abilità comunicative analizzando l’esposizione orale e fornendo suggerimenti in tempo reale su tono, ritmo, pause e linguaggio del corpo, risultando utile nella preparazione di presentazioni o dibattiti scolastici.
Per l’organizzazione e la collaborazione, strumenti come Notion, Obsidian e Miro stanno rivoluzionando il modo in cui gli studenti raccolgono, connettono e visualizzano le informazioni, costruendo mappe concettuali, diari di apprendimento, spazi di co-scrittura e percorsi di studio interattivi. Notion consente inoltre la creazione di wiki didattici e planner personalizzati per la gestione del tempo e dei progetti. Obsidian, con la sua struttura a grafo, aiuta a visualizzare le connessioni tra concetti filosofici, autori e opere letterarie, facilitando un apprendimento più organico e riflessivo.
Anche le tecnologie immersive, come la realtà aumentata (AR) e virtuale (VR), permettono oggi di visitare musei virtuali, entrare in ambienti storici ricostruiti, interagire con documenti antichi in formato 3D o esplorare opere letterarie come ambientazioni digitali. Attraverso visori VR e app educative come Google Arts & Culture, CoSpaces Edu e Unimersiv, gli studenti possono vivere esperienze culturali e artistiche coinvolgenti, che arricchiscono e rendono multisensoriale lo studio delle discipline umanistiche.
Tutte queste tecnologie, se inserite in una cornice pedagogica consapevole e guidata, possono non solo rendere più efficace l’apprendimento, ma anche coltivare nei giovani una nuova alfabetizzazione digitale umanistica. Una competenza che non riguarda solo l’uso degli strumenti, ma implica anche la capacità di interpretare criticamente le fonti, di connettere idee, di comunicare in modo etico e creativo all’interno di un ecosistema complesso e digitale.


Strumenti, materiali e buone pratiche
Per integrare le Digital Humanities nella didattica è fondamentale disporre non solo di strumenti adeguati, ma soprattutto di una visione pedagogica capace di trasformare la tecnologia in un alleato per la costruzione del sapere. Strumenti come quelli per l’analisi testuale, l’annotazione collaborativa, la presentazione di collezioni digitali o la creazione di contenuti interattivi possono infatti diventare veri e propri ambienti di apprendimento, nei quali lo studente esplora, confronta, rielabora e riflette. Tali ambienti non sostituiscono il libro o la lezione frontale, ma ne estendono il potenziale, creando un ponte tra le pratiche tradizionali e le nuove modalità di apprendimento connesse alla cultura digitale.
È proprio in questa logica che si collocano i percorsi didattici già sperimentati in molte scuole italiane. Nei licei classici, ad esempio, l’edizione digitale di testi antichi non è solo un esercizio di trascrizione, ma un laboratorio di filologia e interpretazione che integra latino, informatica e critica del testo. Negli istituti tecnici e professionali, gli studenti partecipano alla narrazione multimediale del patrimonio culturale locale, diventando ricercatori, storici, videomaker e autori allo stesso tempo. Le scuole secondarie di primo grado propongono percorsi di lettura aumentata, in cui QR code, podcast e audiolibri realizzati dagli alunni trasformano il libro in un’esperienza narrativa immersiva, dando voce e corpo alla parola scritta.
Queste esperienze dimostrano che l’integrazione delle tecnologie digitali negli studi umanistici non è un semplice aggiornamento metodologico, ma un’opportunità per rinnovare il senso stesso dell’insegnare e dell’apprendere. Lungi dal ridurre la profondità dei contenuti, le Digital Humanities offrono la possibilità di esplorarli in modo nuovo, più inclusivo, più partecipato e più vicino alle modalità cognitive delle nuove generazioni.


Conclusione: una scuola che connetta, non che separi
Integrare le Digital Humanities nella scuola non è un gesto tecnico o una moda pedagogica: è una scelta culturale profonda, che risponde all’esigenza di costruire un sapere connettivo, capace di unire anziché separare. Significa immaginare una didattica che non separi i saperi ma li intrecci, che non riduca le discipline a isole, ma le trasformi in ponti di dialogo tra linguaggi diversi. Le Digital Humanities rappresentano, in questa prospettiva, uno strumento potente per far dialogare la letteratura con la tecnologia, la filosofia con i dati, la storia con le immagini interattive.
Ma la connessione più importante non è quella tra gli strumenti, bensì tra le persone: tra studenti e docenti, tra scuola e territorio, tra passato e futuro. Seguendo la lezione di Edgar Morin, educare oggi significa formare menti complesse, capaci di abitare la molteplicità, di coltivare relazioni, di interpretare il mondo con spirito critico e senso etico. In questo senso, comprendere diventa più importante che conoscere: perché è nella comprensione che si costruisce l’empatia, la responsabilità, la cittadinanza. E la comprensione, oggi più che mai, è il fondamento di ogni umanesimo autentico, vivo e necessario. Una testa ben fatta quindi, pronta ad affrontare le sfide di una nuova era, distante da quello che siamo e da quello che eravamo.