Se su quel pullman ci fossero stati i bambini…
Il bus turistico che nel pomeriggio del 26 marzo è precipitato nel fiume Po, nel centro di Torino, stava andando a prendere una scolaresca di una scuola primaria milanese in gita al Museo Egizio, per riportarla a casa. In attesa dell’autopsia sul corpo del povero autista, così come delle perizie tecniche sul veicolo, quanto accaduto ha atterrito tutti. Se a bordo ci fossero stati i bambini…: questo è il pensiero inevitabilmente ricorrente. E con tale pensiero, un altro più o meno esplicitato: la vita è legata a un filo. Malattie, incidenti e tutti gli imprevisti drammatici che schiaffeggiano la nostra quotidianità, acuiscono in effetti il senso della provvisorietà dell’esistenza. La vita è precaria, purtroppo. Può esserci tolta quando non ce l’aspettiamo e senza che nessuno ci chieda il permesso. Il perché non lo sappiamo, ma è così. Ci si può allora rintanare, cercando di evitare ogni rischio non necessario; ci si può preservare, facendo girare il mondo solo intorno alle proprie ferite; ci si può deprimere, chiusi in un dolore sordo che toglie l’energia per fare qualsiasi cosa. Oppure ci si può vicendevolmente richiamare a vivere, a godere di quei beni – inaspettati al pari dei mali – che riempiono l’esistenza. Per vivere, anziché sopravvivere, due appigli sembrano più sicuri: da una parte l’amicizia, quella virtù così umana che consiste nel sostenere il destino dell’altro e nel farsi aiutare a sostenere il proprio; dall’altra parte la responsabilità, il dono di aver qualcuno di cui prendersi cura e per il quale lavorare, lottare, non arrendersi al male.
Nel video amatoriale che ha ripreso il momento esatto in cui quel pullman a Torino sfonda il parapetto e precipita nel fiume, si sente un boato: quello del tonfo nell’acqua e quello delle grida di chi assisteva alla scena. Uno schianto emotivo si è aggiunto a quello fisico. E affilata come una lama si è fatta la nostra domanda di senso. Capiterà ancora, purtroppo. Così come, menomale, capiterà ancora qualcuno a farci coraggio.
Viene in mente l’Ulisse dantesco, avventuriero per eccellenza alla ricerca del senso della vita, quando nel canto XXVI dell’Inferno dice così: «Misi me pe l’alto mare aperto, sol con un legno e con quella compagnia picciola dalla qual non fui diserto». Non è mai picciola la compagnia umana. Non è mai piccola.