Dare del tu al mondo (editoriale)
Di Maria Piacente
– Dall’inizio degli anni Duemila stiamo assistendo ad un preoccupante disinteresse dei giovani verso la politica, che ci fa percepire una colossale barriera generazionale: tra gli under 30 da una parte, e il resto del mondo dall’altra.
Assenza di un linguaggio comune, percezione di un sistema politico elitario e di un dibattito pubblico dominato da questioni complesse, o che sembrano lontane dalla quotidianità: tutto ciò ha allontanato molti giovani dallo spazio pubblico, civile e politico. Non è chiaro a cosa credere, nè a cosa non credere.
Questa tendenza all’incertezza solleva interrogativi cruciali sul futuro della nostra democrazia e sulla partecipazione civica delle nuove generazioni. È davvero urgente affrontare il problema con un approccio proattivo, promuovendo una relazione più diretta e informale tra i giovani e il mondo politico. “Dare del tu” al mondo, e quindi anche alla politica, non è allora solo un invito teorico, ma vuole essere una proposta concreta. «Le leggi senza i costumi non bastano», scriveva già nel 1824 Leopardi nel suo “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani”.
Esiste un preciso costume, cioè un modo facile, una strada sicura per avvicinare i giovani ad un ambiente che spesso appare loro distante, a volte perfino inaccessibile. Questa strada si chiama condivisione.
Solo mettendo in comune domande, desideri, difficoltà, timori e anche frustrazioni: solo così le barriere che si sono formate possono essere abbattute. Ma che questo accada dipende innanzitutto da noi adulti. Dalla nostra disponibilità a testimoniare quanto la politica riguardi la vita di tutti i giorni, così come il futuro di libertà, giustizia ed egualitarismo che ognuna e ognuno di noi desidera. Tutte e tutti noi (non solo le nuove generazioni) siamo mossi da esempi persuasivi, più che da spiegazioni di geopolitica. Poi, sulla scia del fascino umano e intellettuale di certi esempi, anche le spiegazioni di geopolitica diventeranno meno incomprensibili, addirittura illuminanti, finché diverrà naturale riscoprire il desiderio di una partecipazione attiva a quel segmento di mondo nel quale abitiamo.
Perché i giovani si espongano, occorre cioè che ci esponiamo innanzitutto noi. Occorre che prendiamo una posizione: che li incoraggiamo ad essere più consapevoli; più pubblicamente attivi; più disponibili a partecipare ad iniziative di confronto civile, a forum sociali, così come a non evitare occasioni private di pacifiche discussioni. La partecipazione attiva dà un potere molto più grande di quello mondanamente inteso, cioè consente di poter vivere da protagonisti: di esprimersi, domandare, contestare, discutere. Di fare tutto questo liberamente, cioè senza paura, senza inibizioni vessatorie, senza il ricatto di pregiudizi. Senza sottovalutazioni. Così, per fare un esempio di un’iniziativa sottovalutata, anche la scelta dei progetti di alternanza scuola-lavoro può diventare occasione preziosa per la propria esperienza personale e civile, invece che una specie di dazio burocratico da pagare.
Siamo innanzitutto noi adulti – in casa e a scuola, prima che nelle istituzioni – a non dover sottovalutare nulla, nessuna voce e nessun sussurro che provenga dai nostri giovani. Della loro freschezza, infatti, il mondo ha bisogno per diventare migliore. Dare allora più credito anche a spazi e strumenti comunicativi usati dalle nuove generazioni (social media, dirette streaming, webinar, podcast), è il primo modo per eliminare le distanze. Per far emergere idee nuove, che possano anche contribuire ad un rinnovamento del panorama politico. Per fare memoria di chi, nel passato, ha perfino dato la vita affinché noi potessimo vivere come viviamo. Per imparare, in sostanza, quell’educazione civica che dovrebbe unirci tutte e tutti. Investire in un’educazione così, cioè aperta ad una dialettica costruttiva e sempre pacifica, risulta davvero cruciale: a casa, a scuola, negli ambiti di comunicazione, perfino nei luoghi di spettacolo. Come ha testimoniato Roberto Benigni al Festival di Sanremo di quest’anno, affermando che «I grandi sognatori non sognano mai da soli»: comunicando cioè innanzitutto ai giovani, sognatori per eccellenza, che non sono da soli neanche quando si sentono così; ci sarà sempre qualcuno con cui potersi mettere a fianco e guardare nella stessa direzione. Con cui condividere quella che a tanti sembra l’incoscienza giovanile di non arrendersi di fronte agli ideali di cui si nutre la vita.
Per “dare del tu” – al mondo, agli altri, anche alla politica – occorre un cambio di rotta: occorre mettersi in discussione nel linguaggio e nella mentalità, negli ideali che ci guidano, negli atteggiamenti che ci contraddistinguono, nell’idea di libertà, di democrazia, di quella pace di cui abbiamo tanto bisogno. Così da non farsi trascinare dalla deriva preoccupante del nostro tempo, che è quella di incistarsi sulle critiche, piuttosto che concentrarsi su delle proposte. È quanto spesso accade nella politica nazionale italiana, che non a caso – prendendo a prestito le parole di Rosi Braidotti – sembra spesso sadomasochista…
Non si può far crescere i giovani senza crescere anche noi adulti: se ci atteggiassimo meno arrivati, meno “imparati”, forse i giovani si sentirebbero più incoraggiati a darsi e a darci del tu.