Il mito di Achille e lo sviluppo emozionale in adolescenza

Di Claudia Cacchioni
Psicologa, psicoterapeuta, psicoanalitica individuale e della coppia.

 

Omero narrando le vicende della guerra di Troia, presenta molteplici personaggi mortali e divini, attraversati da variegati sentimenti: amore, amicizia, odio, disperazione, evidenziandone virtù e debolezze.
In Achille, il sentimento dell’ira e la condotta violenta e crudele, sono una costante all’interno di un’opera come l’Iliade il cui sfondo, trattando della guerra è già di per sé violento, e tale da suscitare addirittura   sdegno, per l’eccessiva aggressività, a questo proposito alcuni concetti dello psicoanalista Winnicott sono interessanti per approfondire i temi della collera, della violenza, e del dolore che, come nel mito di Achille, si presentano nello sviluppo emozionale dell’adolescente acquistando valore universale.

Il potenziale violento dell’adolescente
Sappiamo che le vicende umane si costruiscono sia con l’amore che con l’odio, implicando ambedue l’aggressività. Per Winnicott l’adolescenza è uno stato di prepotenza perché ha un potenziale violento, e l’adolescente ha necessità di confrontarsi con qualcosa di nuovo rispetto all’infanzia, come la capacità di distruggere e anche di uccidere, e per non adeguarsi al ruolo che gli è stato assegnato da un adulto deve lottare per la propria identità e trovare il proprio Sé. Gli adolescenti per maturare hanno bisogno di tempo, “devono – dice Winnicott- passare attraverso ciò che si potrebbe definire una zona di bonaccia, una fase in cui si sentono inutili” (Winnicott 1986 p.191). È noto che negli adolescenti sono presenti sia il bisogno di ribellarsi e sfidare che  di dipendere, e per questo l’adulto non si deve aspettare che essi siano consapevoli della loro immaturità.
“Ciò che conta – dice ancora Winnicott – è che la sfida dell’adolescente venga raccolta. Raccolta da chi ?“, (Winnicott 1974 p.243). Comprendiamo allora che dovrà essere l’adulto a raccogliere la sfida, sostenendo l’adolescente senza cercare di dominarlo, perché   dice ancora Winnicott “se il bambino deve diventare adulto, allora questo passaggio avviene sul cadavere di un adulto” (Winnicott 1974 p 239).
Seguendo il mito, sappiamo che la vita di Achille è stata condizionata da un progetto non suo, ma assegnato dagli dèi che temendo di perdere potere per la sua forza fisica trasmessa da una madre divina, decisero di dargli un padre mortale, Achille quindi utilizzando le sue virtù sarebbe morto da eroe e in giovane età, e la madre che sapeva della profezia, tenta di renderlo se non immortale almeno invulnerabile, fallendo nell’intento.
Vedremo in seguito che ad Achille non più bambino forte e combattivo, consapevole del suo destino, non resta che scegliere tra una vita meschina ma lunga, o breve e gloriosa, e come farebbe ciascun giovane coraggioso e imprudente, desideroso di lasciare un segno della sua esistenza, sceglierà la gloria.
Dell’infanzia e prima giovinezza di Achille se ne parla in modo sistematico, non nell’Iliade, ma nei poemi epici greci quali i Cypria di Stasino vissuto nell’ 8° sec. a.c. e nell’Illias Parua, di scritto ci rimane l’Achilleide il poema epico latino del 93 a.c. di Publio Papinio Stazio.
L’autore narra della nascita di Achille, delle conseguenze del tentativo di sua madre Tetide di renderlo invulnerabile, e dell’affidamento al centauro Chirone per la sua educazione, e argomento del tutto inedito rispetto all’Iliade, del soggiorno di Achille nell’isola di Sciro, dove è nascosto travestito con abiti femminili e infine della nascita di suo figlio Neottolemo.
Tra i monti della Tessaglia guidato da Chirone, viene addestrato alla caccia, alle arti della guerra, e a quelle musicali. Il Centauro si accorge della precoce attitudine del fanciullo alla violenza che all’età di sei anni uccide il primo cinghiale. A questo punto è interessante seguire la transizione di Achille da bambino a giovane uomo, che iniziata dalla grotta di Chirone prosegue a Sciro, dove è condotto alla corte del re Licomede, dal padre o dalla madre non si sa bene, per allontanarlo dal pericolo di andare in guerra.
È proprio nell’opera di Stazio che si narrano queste ultime vicende, incompiuta per la morte dell’autore che ci ha lasciato un primo capitolo e una parte del secondo, e che si interrompe con la partenza di Achille per l’Aulide insieme ad Odisseo e Diomede, questi ultimi con uno stratagemma lo smascherano tra le figlie di Licomede, conducendolo in guerra per guidare l’esercito di Ftia.
Per comprendere le trasformazioni di Achille, è interessante avvicinarsi al concetto di liminalità, del quale si sono occupati l’etnografo e folklorista Arnold van Gennep (1873-1957), e l’antropologo Victor Turner (1920-1983).
Il significato del termine limen è quello di confine, ma anche di limitare, è associato ai riti di passaggio che accompagnavano nell’antichità, i cambiamenti di luogo, stato, posizione sociale ed età dell’individuo, ad esempio le cerimonie dell’efebia nella Grecia antica servivano per oltrepassare il confine della giovinezza.
La fase liminale di Achille è vissuta con l’isolamento presso Chirone, e con l’iniziazione alle arti guerriere e poi a Sciro, dove la madre lo nasconde e dal momento che il suo viso ha ancora tratti delicati e femminei, lo convince a indossare vesti femminili e a vivere con le figlie di Licomede.
La liminalità è per Achille una sorta di limbo, una situazione incerta dove non è più bambino, ma non è ancora uomo, né un guerriero.
Anticamente quello del travestimento in abiti femminili, sembra facesse parte del rito di iniziazione legato alla sessualità, momento che segnava l’ingresso dell’adolescente verso una fase post liminale, oltre la soglia: e accedere al mondo degli adulti. Ma se da una parte   questa vicinanza al sesso femminile aveva iniziato Achille alle prime esperienze sessuali con Deidamia , la più bella delle figlie di Licomede, che rese madre di Neottolemo, d’altra parte la sua trasformazione sembra segnata da estremi e repentini passaggi: Achille bambino, poi giovinetto travestito in abiti femminili che assume il nome di Pirra, fino al guerriero iracondo e spietato che sappiamo. In tutto ciò è costante anche l’amore per Patroclo che da fonti diverse da quelle dell’Iliade, è ritenuto precedente all’incontro con Deidamia.
Achille scegliendo una vita breve e gloriosa, è proteso continuamente al raggiungimento di un risultato tangibile, quale dimostrazione dell’esser degno di onore e rispetto da parte del suo ambiente sociale, combattendo contro i Troiani, con una carica aggressiva fuori dal comune.

Ira e coraggio in Achille
Il dolore di Achille per la morte di Patroclo si intreccia con la sofferenza per essere destinato a vita breve, trasformandosi in collera, e sarà per vendicare l’amico che deciderà di tornare a combattere con maggiore crudeltà fino all’uccisione di Ettore, colui che aveva causato la morte del suo amato compagno.
Ci si chiede però se questa sua rabbia esuberante, non sia la risposta al torto subito, quello di essere per decisione altrui solo un semidio, e di sentirsi diverso perché sulla soglia tra l’una e l’altra identità.
Achille è anche l’unico personaggio omerico tra quelli di rilievo, che è consapevole di essere destinato a morte certa e in giovane età, egli è dotato di brie che è la forza fisica del guerriero, ma è anche il più dotato di hybris, stato che presso i greci era espressione di orgoglio e arroganza, un atteggiamento dell’umano di sopravvalutare la propria forza, di violare i limiti e di operare un affronto al valore divino e in quanto tale punito dagli dei.
La hybris è anche un eccesso incontrollato di furia bellica che può sconfinare nella violenza, e sappiamo che l’uccisione dei nemici in quell’epoca   sottostava a un codice che prevedeva dei limiti, oltrepassati i quali si sconfinava nella crudeltà.
Come il guerriero anche l’adolescente di oggi, considerando le differenze individuali, si confronta con una forza fisica che da bambino non aveva e che è maggiore della sua capacità di poterla controllare e mentalizzare. Sappiamo però che tra i guerrieri greci la brie poteva essere controllata utilizzando al suo posto la parola.
Nell’Iliade ci sono diversi esempi di situazioni in cui la forza fisica dell’eroe viene smorzata dalla parola, anche se non è sempre possibile. Ad esempio, quando Agamennone con arroganza annuncia ad Achille che gli sottrarrà Briseide, la schiava avuta come dono di guerra, questi è colto da un’ira irrefrenabile e sta per colpirlo con la spada, ma  Atena lo ammonisce: “Su smetti il litigio, non tirar con la mano la spada ma ingiuria con parole…”  (Omero pag.15), e così Achille si sfoga verbalmente invece di agire.
Per la morte di Patroclo al contrario, le parole di Ettore reo di averlo ucciso non esitano in una mediazione, in questo caso non solo Achille sarà vincitore, ma come sappiamo si accanirà sul cadavere di Ettore e questa sua crudeltà data dal continuare a mietere vittime tra i Troiani e sfidare anche gli dèi, scatenerà nel dio Apollo la vendetta che condurrà Achille alla morte.
Gli adulti di oggi genitori, insegnanti, educatori e altre figure significative dovrebbero aiutare i nostri adolescenti non certo solo a sfogarsi con  le parole, ma  a sviluppare un pensiero riflessivo abolendo estremismi pseudo educativi  di tipo punitivo-comprensivo.

 Sfida e  morte di Achille e dell’adolescente inascoltato
L’Iliade non racconta di come sia avvenuta la morte di Achille e si conclude  con i funerali di Ettore, l’argomento viene approfondito invece nei Posthomerica,,  un poema scritto intorno alla prima metà del terzo secolo d.c. dal poeta greco Quinto Smirneo, profondo conoscitore dei poemi omerici.
La morte di Ettore per mano di Achille, come si sa segna l’approssimarsi  della fine di quest’ultimo e secondo la versione  scelta da Quinto quando Achille sembra stia per conquistare Troia  ,ecco che  Apollo scende dall’Olimpo, per  fermarlo  e spaventarlo rumoreggiando con le armi, per  poi ammonirlo   verbalmente.
Quinto Smirneo riesce a raffigurare con le parole l’immagine del dio furioso,  che Achille   non vede, ma del quale  riconosce la voce.
Secondo un’epica più tarda, gli dei di rado si palesavano agli uomini, ma la hybris  spinge Achille  ad ignorare l’avvertimento dato dal   rumore delle armi, non  ne sembra affatto spaventato , anzi minaccia di colpire Apollo se lo intralcerà , dice che nessuno potrà sfidarlo neanche un dio e continua incurante ad uccidere, Apollo allora per questa mancanza di rispetto   decide di agire, e da lontano e di sorpresa, tendendo l’arco  lo colpisce  con una freccia ferendolo alla caviglia.
Nei poemi omerici  nessun dio uccide direttamente  ma lo fa guidando  la mano di un mortale, e benché nell’Iliade siano presenti entrambe le ipotesi, nelle iconografie la morte di  Achille è quasi sempre rappresentata con Apollo che  per colpire il Pelide, dirige la  mano di Paride, fratello di Ettore. . La  versione di Quinto, dove sarà Apollo  a scoccare la freccia fatale, ci aiuta nel confronto tra la sfida e la morte di Achille e il rapporto  padre-figlio dei giorni nostri,  e ci fa pensare alle parole di Winnicott sul bisogno dell’adolescente  di sfidare e  della necessità che l’adulto in senso lato, e  non solo il padre, raccolga la sfida.
Apollo non intende realmente sfidare e duellare con Achille ma solo ammonirlo, quest’ultimo però ignora la presunta sfida e  torna a combattere con sfrontatezza, e solo quando viene colpito  dalla freccia, chiede l’identità dell’altro   “ chi sei ?” domanda ,   incuriosito da chi ha rotto gli schemi del duello tradizionale andando contro l’etica  del guerriero, e a questo punto Achille che si è tolto il dardo dalla caviglia, vorrebbe ingaggiare un duello allo scoperto  con l’ avversario, che  lo ha colpito di sorpresa,  come fa  il figlio adolescente  che invece  si accinge a sfidare il padre per ucciderlo metaforicamente e diventare uomo. Ai giorni nostri in molti fatti di cronaca è l’adolescente che  si trasforma in Achille uccidendo realmente e con crudeltà quel padre con il quale non può competere.
Nel poema  di Quinto,  Achille tenta  un dialogo  che invece esita in  un monologo,  perché Apollo non risponde alla sfida,  è già tornato nell’Olimpo con il dardo. Visto il comportamento dello sconosciuto ora Achille ricorda la profezia  pronunciata da sua madre e capisce da chi è stato colpito.
Ferito a morte e colpito da lontano da un freccia e non onoratamente con una spada o una lancia, temendo di morire per questo senza gloria,  Achille  non si arrende, combatte ancora e uccide altri nemici, finché cade morto per dissanguamento, paragonato a “ una torre che collassa” pronunciando minacciosamente la profezia che di lì a poco anche tutti i Troiani  periranno come lui.

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 BIBLIOGRAFIA   

  • Omero, Iliade testo a fronte, Torino, Einaudi tascabili, 1990.
  • Winnicott, D.W. “Dibattersi nella bonaccia”in Il bambino deprivato: le origini della tendenza antisociale, Milano, Raffaello Cortina editore, 1986.
  • Winnicott, D.W. “Concetti contemporanei sullo sviluppo dell’adolescente e loro implicazioni per l’educazione superiore  in  Gioco e Realtà, Roma, Armando editore, 1974.
  • Uccellini, R. “  Liminalità e trasformazione dell’identità del personaggio letterario nel mito epico: Achille, figura in  limine nella poesia latina di Stazio “, in  Aretè quaderno monografico, vol 5, 2020.
  • La soglia. Prospettive multidisciplinari di scienze umane a cura di . M. Basili  e G. Scatena.
  • Altre fonti tratte dai Posthomerica di Quinto Smirneo.