Le invisibili (a proposito di donne che hanno cambiato la storia)
Nate dalla costola di Adamo. Sin dagli esordi, se si vuol dar credito alle sacre scritture e non alle teorie scientifiche, le donne sono organismi pluricellulari con cromosomi maschili perché da questi discendono. Questo spiega in parte la cultura che ha determinato per secoli l’assoggettamento alla potestà degli uomini, che hanno avuto vita facile per coltivare forme di misoginia ed intolleranza verso l’intelligenza e l’intraprendenza femminile.
Si pensi alla filosofa: Ipazia, nata ad Alessandria d’Egitto, martire della libertà di pensiero, lottò contro gli “integralismi secolari, rifiutando le ideologie pervasive”[1]. Grazie al suo talento dialettico, alla sua intelligenza politica, alla grande sapienza ed alla capacità di mediazione, era amata ed ascoltata da cittadini e governanti. Fu proprio il prestigio di cui godeva tra i suoi concittadini a suscitare l’invidia del vescovo Cirillo: la rivalità di un vescovo con un filosofo, per giunta donna e per giunta molto brava. Per ordine del vescovo, una moltitudine di uomini imbestialiti la prelevò dal luogo in cui insegnava e la condusse in una chiesa, dove le furono cavati gli occhi, fu torturata, fatta a brandelli ed i pezzi del suo corpo vennero prima sparsi per la città ed infine bruciati: «la prima strega bruciata sul rogo dell’Inquisizione ecclesiastica»[2]. Di lei e delle sue opere non si seppe più nulla. L’assassinio rimase impunito e l’inchiesta venne insabbiata. La vicenda cadde nel più totale oblio così come le sue opere.
Nascere femmina era ieri ed in parte anche oggi, un grosso problema per le famiglie, che lo risolvevano accasandole con un matrimonio: tale fine giustificava dar loro un’istruzione precaria, salvo provenissero da famiglie benestanti, ovvero servirsi delle ragazze per costruire strategie o sinergie di potere o proficui legami. Si pensi a Lucrezia Borgiausata come pedina di scambio dal padre, il Papa Alessandro VI. Poco più che tredicenne fu fidanzata, sfidanzata e rifidanzata.
Nel Trecento le pochissime donne che aspiravano a perfezionare la propria cultura si vedevano respingere dalle università, subentrate alle antiche abbazie nel monopolio degli studi. Tra le più fortunate c’era Christine de Pizan: amante degli studi, aveva avuto, come padre, un uomo colto e di larghe vedute che, per l’unica figlia femmina, decise che avrebbe ricevuto un’istruzione di prim’ordine, pari a quella prevista per i fratelli maschi. Divenuta vedova, con tre figli e la madre a carico, era disdicevole se non disonorevole trovarsi un lavoro, salvo risposarsi. Decise di prendere in mano la sua vita e, per risolvere le questioni finanziarie, divenne una “letterata”. Fu perennemente osteggiata dalla misoginia di Jean de Meung e da altri scrittori dell’epoca ritenendo il successo delle sue opere frutto della seduzione. Era impensabile che una donna osasse mettere per iscritto le proprie idee o addirittura averne.
Nel corso dei secoli emergono le vite di scrittrici ed artiste alle quali viene data l’apparente soddisfazione di portare alla ribalta il frutto della loro creatività e del loro ingegno per poi disconoscerne il merito e renderle invisibili. È il caso di Berthe Morisot, pittrice impressionista francese la quale, non potendo accedere all’Accademia delle Belle Arti di Parigi in quanto donna, divenne dapprima allieva di Guichard e successivamente di Manet, per il quale fece anche da modella. Ne divenne cognata, sposando il fratello Eugène.
Dei cinquantaquattro anni trascorsi in vita, ne dedicò quaranta alla pittura, con un nuovo linguaggio pittorico soprattutto volto a rappresentare la femminilità e fu l’unica donna ad entrare nel Gruppo degli Impressionisti. Dipinse 860, opere di cui 417 oli, ma sul suo certificato di morte fu scritto “senza professione”[3]. Sepolta nella tomba della famiglia Manet sulla lapide appaiono poche righe: “moglie di Eugène Manet”. Era diventata ‘invisibile’.
Eppure, nei secoli precedenti la vita di questa pittrice, molte dame aristocratiche avevano sollevato il problema femminile con particolare attenzione all’istruzione. Fu Madame de Maintenont a fondare una scuola superiore per ragazze provenienti da famiglie nobili impoverite. Tra le materie di studio c’era anche il diritto, la storia, la geografia e le scienze, suscitando l’ironia di Molière che ridicolizzava la loro pretesa di studiare materie che non potevano comprendere in quanto donne. In questo stesso periodo raccolse il testimone della lotta per l’emancipazione femminile la figlia di un macellaio, Olimpia de Gouges. Fuggita a Parigi dopo un matrimonio imposto dalla famiglia, si adoperò in lavori umili pur di potersi pagare gli studi. Come letterata scrisse quattromila pagine fra opere di teatro e testi politici e filosofici. Nel 1791, due anni dopo la promulgazione della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” e conscia del fatto che in essa non c’era menzione dei diritti delle donne, compilò diciassette articoli per la “Dichiarazione dei diritti delle donne” nei quali affermava che la donna nasce libera ed uguale all’uomo sia nei diritti che nei doveri e deve avere le stesse possibilità di accedere alle medesime professioni, cariche pubbliche ed impieghi. È suo il detto: “Così come può salire sul patibolo, può ricoprire cariche”[4]. Fu una vera e propria rivoluzione che, tuttavia, non ebbe seguito perché contraria a ciò che si riteneva essere la natura della donna: un essere fragile il cui solo scopo nella vita era quello di dedicarsi al benessere del marito e dei figli. Di questo ne era convinto anche Robespierre che la fece arrestare come nemica del popolo e poi ghigliottinare. La sua Dichiarazione fu bruciata e di lei, come delle sue opere non si seppe più nulla. Era diventata invisibile.
Determinazione, costanza e tenacia caratterizzarono la vita di molte donne anche nell’ambito economico, che seppero distinguersi per il loro ingegno e le loro capacità amministrando beni, diventando artigiane, imprenditrici e commercianti, in una lotta continua contro biechi pregiudizi come quelli in ambito scientifico in base ai quali “le donne non sono brave come un uomo”[5].
Invece, a dispetto di tale assunto, se ne trovano fin dall’antichità, come la babilonese Tapputi, considerata la prima chimica e, successivamente nei secoli, l’astronoma Margaretha Kirch, vissuta tra Seicento e Settecento, che studiò la congiunzione del Sole con Saturno, Venere e Giove. Fu discriminata in quanto donna, quando chiese di ottenere un incarico all’Accademia delle scienze di Berlino.
Nel Settecento Laura Bassi, a 64 anni, riesce ad ottenere una cattedra per insegnare fisica sperimentale all’Università di Bologna. Dopo due anni muore avendo passato la vita a studiare ed applicare le teorie di Newton in molteplici campi di ricerca, in particolare alla fisica elettrica. Scrisse molto su questo tema ma le sue opere diventarono ‘invisibili’.
Marie Curie decise di studiare fisica, anche se fu osteggiata per questa scelta. L’idea che una donna potesse intraprendere la carriera scientifica era inconcepibile per quel tempo.
A quindici anni, terminati gli studi superiori, lavorò come educatrice per pagarsi le spese universitarie alla Sorbona di Parigi perché l’università di Varsavia era interdetta alle donne. In autonomia studiò matematica, fisica e chimica. Il frutto delle sue ricerche venne alla luce solo dopo il matrimonio con Pierre Curie. I sacrifici e gli studi assidui e costanti negli anni le hanno valso il Nobel per la chimica ma con il cognome del marito.
Leona Woods, fisica statunitense, contribuì’ a costruire il primo reattore nucleare lavorando in particolare sulla costituzione dei contatori geiger nel progetto Manhattan che vide coinvolti ben 15 fisici fra i quali Enrico Fermi e Robert Oppenheimer. Lei era l’unica donna. Ha condiviso il destino di molte scienziate del suo tempo, a partire dalla difficoltà a dare visibilità alle proprie pubblicazioni, firmate con la sola iniziale del nome e con il cognome del marito. Terminato il progetto Manhattan ha potuto insegnare nelle università ricevendo solo borse di studio: prima all’Università di Chigago, alla New York University ed infine all’Università del Colorado. Subì tante discriminazioni e ostilità nella sua vita ma, come ha ricordato uno dei suoi figli, “lei semplicemente li ha superati, diventando più brava di loro”[6].
Rosalind Frankin è stata una chimica inglese impegnata nello studio della cristallografia a raggi X all’interno di un gruppo di ricercatori del King ‘s College di Londra. Emancipata ed autonoma subì’ le avversità dei colleghi, in particolare di Raymond Goslings e Maurice Wilkins che la vedevano solo come semplice assistente. S’impegnò nello studio del DNA e del RNA identificandone la struttura molecolare. Con una immagine (c.d. foto 51) scaturita dalla diffrazione dei raggi X scoprì il modello a doppia elica dell’acido desossiribonucleico (DNA) che contiene i cromosomi per lo sviluppo dell’essere vivente.
Il lavoro, le ricerche e le scoperte di Rosalind furono pubblicati in diversi articoli. All’ombra e ai danni della scienziata fu perpetrato un vero e proprio furto dei suoi risultati che condusse Francis Crick, Maurice Wilkins e James Dewey Watson a ricevere, nel 1962 il premio Nobel, mentre il lavoro di Rosalind Franklin non ottenne riconoscimenti durante tutta la sua vita.
Un grande contributo scientifico è stato reso ‘invisibile’.
Consuetudini culturali e sociali hanno bloccato per secoli un’effettiva uguaglianza tra uomo e donna, disconoscendo a quest’ultima capacità ed intelligenza. Eppure, in tantissimi ambiti tecnologici, le donne sono state capaci di portare innovazione con soluzioni rivoluzionarie per la scienza, o semplicemente per rendere più semplice la vita quotidiana.
Hedwig Eva Maria Kiesler, nota a Hollywood come Hedy Lamarr, si rese famosa come attrice ma non tutti sanno che, in virtù dei suoi studi di ingegneria, inventò, tra l’altro, un sistema di rilevamento come il GPS evoluto poi nel nostro Wi-fi. Per le sue invenzioni non le venne riconosciuto alcun merito, salvo nel 1997 all’età di 83 anni, due anni prima di morire.
Karen Sparck Jones è stata una scienziata informatica autodidatta. Come programmatrice si è concentra sull’elaborazione del linguaggio naturale introducendo parole al posto dei codici e gettando le basi per i motori di ricerca come Google. La sua inventiva ha permesso di organizzare, rendendo cercabili e quindi trovabili le informazioni digitali e aprendo così la strada ad Internet. Venne definita una donna molto strana e interessante che, inusuale per il tempo, usava il suo nome da nubile professionalmente.
Molti progetti ideati da inventrici hanno modernizzato l’habitat domestico, il risparmio energetico, la sicurezza degli edifici ed la nascita di nuovi tessuti.
Josephine Cochrane inventò la lavastoviglie meccanica. Aprì una fabbrica a Chicago ed incominciò a vendere soprattutto ad alberghi e ristoranti. La sua azienda fu acquistata nel 1926 dalla Whirlpool.
Lilian Evelyne Moller in Gilbreth, pioniera dell’organizzazione e del management aziendale, ideò la pattumiera a pedale.
La macchina per piegare ed incollare i sacchetti di carta fu inventata da Margaret Knight. Charles Annan cercò di rubarle il brevetto ma Margaret lo citò in giudizio. Mentre Annan sosteneva che una donna non avrebbe mai potuto progettare una macchina così innovativa, Knight mostrò prove reali che l’invenzione le apparteneva davvero ed ottenne il brevetto nel 1871.
Oggi si parla spesso di energie rinnovabili e tra queste si annoverano i pannelli solari che furono inventati dalla biofisica Maria Telkes che tra i suoi progetti vanta anche la macchina ad energia solare per la desalinizzazione dell’acqua.
La sicurezza di chi abita negli edifici – siano questi fabbriche, scuole, ospedali o residenze – passa anche dalla predisposizione di scale antincendio in base al progetto brevettato nel 1886 di Anna Connelly.
La chimica statunitense Stephanie Louise Kwolek inventò una fibra leggera ma resistente, da utilizzare come rinforzo degli pneumatici: il Kevlar.
Si tratta di una fibra sintetica molto resistente alla trazione ed estremamente versatile. Viene usata per i giubbotti antiproiettile, per le tute degli astronauti, per i telai e le cinghie di trasmissione delle auto ed anche per molte attrezzature sportive.
Nell’immaginario collettivo non si pensa mai, o quasi mai, di abbinare l’innovazione tecnologica ad una mente femminile perché non si è abituati a concepire che una donna abbia la predisposizione mentale per le scoperte o la progettazione. È semplicemente una questione culturale considerarla adatta solo alla cura ed all’assistenza.
Quanto precede vuol essere un omaggio a tante donne che sono state rese ‘invisibili’ nell’arte, nella scienza e nella tecnologia ed altre che lo sono nella vita quotidiana sempre all’ombra di Adamo.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
[1] Cfr. S. Ronchey, Ipazia, Rizzoli.
[2] Ibidem.
[3] Cfr. E. Rasy, Le disobbedienti, Mondadori.
[4] Cfr. M. L. Minarelli, Donne di denari, Olivares.
[5] Cfr. L. Schiebinger, The mind has no sex, Harvard University.
[6] Cfr. Ruth H. Howers, C.L. Herzeberg, The day in the sun. Women of the Manhattan Project, Cambridge