Una vita da pinguini: l’altro come risorsa per la nostra vita
Di Cristian Tropeano
Dottore in Psicologia del Benessere
Immagina l’Oceano, maestoso, color notte, dove regna un silenzio profondo, con solo le stelle a distinguersi dal resto. Ad un tratto le prime luci del mattino invadono il buio e l’acqua viene colpita in superficie dai primi raggi di sole che la tingono di sfumature turchesi.
I pinguini si alzano e sistemano il piumaggio: si preparano per allontanarsi dal nido ed iniziare il viaggio per andare in cerca di cibo o di risorse, e per offrire aiuto al proprio branco. Ognuno di loro è pronto ad immergersi in acqua: per alcuni può essere la prima volta, per altri invece è un’esperienza già compresa nel flusso della vita. Quando torneranno a casa non lo sanno, può trascorrere anche molto tempo.
I pinguini vivono in grandi colonie che, come le nostre società, risultano fondamentali per la sopravvivenza, perché danno la possibilità di sostenersi a vicenda nel momento del bisogno: per ripararsi da condizioni avverse, ma anche per aiutarsi nelle esigenze quotidiane. Non si tratta solo di stare accanto agli altri per assicurarsi un sostegno fisico, ma di un atto di intelligenza evolutiva ed emotiva, dove si è capito che in famiglia e tra chi ci vuole bene siamo al sicuro e possiamo essere noi stessi. Io ho 25 anni, sono da poco laureato in psicologia e sto svolgendo un tirocinio per abilitarmi come psicologo. Come questi pinguini, anche io ho intrapreso il mio viaggio e ora mi trovo a scrivere questo articolo dalla scrivania di una camera in affitto di un ospedale in Svizzera.
L’intento è raccontare come un giovane laureato come me affronti la vita personale – fatta di desideri, obiettivi e progetti – assieme a quella comunitaria, fatta di relazioni sociali e legata al territorio. Due grandi temi che al giorno d’oggi sembrano andare d’accordo con fatica.
Soprattutto la difficoltà ad accedere al mondo del lavoro e a trovare un proprio posto nella società, nonostante anni di studio universitario,[1] fa colorare le giornate di preoccupazione e sorgere nella nostra testa domande a cascata.
Quando potrò essere indipendente? Sarà davvero questa la mia strada? Non è forse meglio o più semplice lasciare tutto e fare qualcos’altro? Magari in un posto al caldo, con il mare e dove al pomeriggio dopo il lavoro ci si diverte a giocare sulla spiaggia…? Oppure: vai all’estero! Trova un posto in cui vieni pagato bene e puoi vivere una vita tranquilla. Ma varrà la pena vivere lontano da casa, senza i tuoi legami? È questo che voglio davvero? Sono disposto a stare distante dalle mie relazioni sicure?
In tutti questi pensieri la dimensione più orizzontale della vita si interseca a quella verticale e ci si accorge che sono difficilmente separabili l’una dall’altra. Spesso, infatti, le radici rendono difficile lasciare il posto da dove veniamo, non tanto per il luogo, ma più per le persone che fanno parte della nostra storia.
Cosa sono davvero le relazioni e come viverle?
L’etimologia latina di questa parola rimanda al verbo relatio: tenere insieme, riportare. Mi chiedo: come sia possibile tenere unite le storie di due persone che si trovano lontane, o che non fanno lo sforzo di incontrarsi di nuovo? Il portarsi gli uni agli altri richiede una certa frequenza e la capacità di vivere ogni incontro come “nuovo”: non da zero, come quando il mare cancella tutti i passi che lasciamo sulla sabbia, ma accogliendo l’altro come se fosse una persona che non si conosce, e con la consapevolezza della strada che si è fatta assieme.
Vivere gli incontri come se fossero solo una ripetizione porterebbe le nostre relazioni a morire, ad essere storie finite – di cui sappiamo già tutto – nelle quali solo i ricordi ci tengono insieme. Come può essere quindi una relazione in cui due persone non possono incontrarsi? Quale storia scriveranno insieme, se non possono lasciare un segno l’una nella vita dell’altra?
Sorge automatica un’altra domanda: quando e perché possiamo rinunciare alle nostre relazioni che ci sostengono nella vita? Più queste ultime sono importanti, più si sente la necessità di rispondere e credo non si tratti solo di un’esigenza personale, ma anche del periodo storico contemporaneo. Infatti, da dopo la Pandemia del 2020 è stato chiaro a tutti quanto l’altro sia importante per il nostro benessere.
Nella mia esperienza, le relazioni sono un bene di prima necessità, nonché l’essenza della vita. Senza le “nostre” persone, non sapremmo chi siamo. Il nostro modo di essere, i nostri sogni, le nostre idee, sono tutte frutto degli incontri che abbiamo fatto. Spesso però siamo troppo presi a occuparci di noi stessi, e fermarsi per stare con gli altri sembra rallentarci e ci infastidisce.
Ma in cosa saremmo rallentati? Dove dobbiamo andare? E perché tanta fretta?
Pensando a me e agli amici più stretti, a farci premere il piede forte sull’acceleratore, spingendoci ad entrare nel mondo del lavoro il prima possibile, è la questione economica. Non è stato facile finire gli studi nei tempi stabiliti dall’Università e, nel contempo, fare diversi lavori a chiamata, per esempio come cameriere, al fine di pagarsi gli studi e riuscire a permettersi qualche piacere senza dover chiedere ai genitori. Ma ora che la laurea è stata conseguita, sembra ancora tutto una corsa per arrivare ad altri traguardi: il lavoro, il matrimonio, i figli…
Così il tempo per fermarsi, per farsi delle domande, per trovare quelle giuste da porsi, sembra non esserci mai. Forse dovremmo solo prendercelo questo tempo, senza chiedere il permesso a nessuno, senza sentire di doverci giustificare. In effetti, il tempo ha la caratteristica di esserci stato donato, di non tornare più indietro e di non poter essere aggiunto.
Quando l’ultimo granello di sabbia della nostra clessidra avrà passato la parte più stretta (che separa il tempo a disposizione da quello ormai passato) e toccherà gli altri granelli, non potremo più girare la clessidra e far ripartire il loro scorrere. L’unica cosa da fare, quindi, è usare i giorni che abbiamo a disposizione per fare ciò che amiamo con le persone a cui teniamo di più.
Non vedo molte alternative quando penso a cosa fare del mio futuro. Tanto più se dovessi andar via, lontano da dove sono cresciuto. Il valore aggiunto che mi consentirebbe di rimanerci felice e senza rimpianti non sarebbe di certo quello economico, ma relazionale ed affettivo.
L’altro è così importante per noi, ma spesso ce ne accorgiamo solo quando rimaniamo soli. È proprio quello che è successo all’inizio di questo mio viaggio in un posto nuovo, senza conoscere nessuno. Sono partito per fare un’esperienza che potesse essere utile alla mia formazione, e soddisfare la mia curiosità di scoprire se esistesse davvero una realtà che offre più sicurezza, sia per quanto riguarda gli stipendi, che per la qualità di vita.
Da qua però mi sono reso conto che, proprio quando non hai nessuno vicino a te, anche il più piccolo gesto di confidenza diventa un appiglio per creare una rete a cui potersi affidare. È bello sapere che, se cadiamo, c’è qualcuno a tenerci su; a dividere con noi i pesi e le preoccupazioni che ci assillano, come anche le gioie e i traguardi (che non sarebbero gli stessi se non li potessimo raccontare ai nostri affetti).
Da questa scrivania mi sembra allora di capire più nel profondo il significato della parola “desiderio”, anch’essa derivante dal latino: de-sidera, ovvero lontano dalle stelle, suggerisce che il desiderio nasce proprio quando si è distanti da ciò che vorremmo. Quando di fatto non lo abbiamo siamo al buio e, in tale assenza di luce, le stelle sono l’unico elemento in grado di offrire una direzione. Allo stesso modo, senza desideri ci possiamo perdere nelle nostre giornate, non sapendo bene dove andare e per quale motivo.
Mi sono convinto che essere distanti da ciò a cui aspiriamo ci dà un senso e ci permette di interrogarci su noi stessi. In questo modo possiamo capire chi siamo, chi vorremmo essere, con chi vorremmo trascorrere il nostro tempo, dove e facendo cosa.
I miei desideri mi hanno portato a Lugano e quello che vedo è che seguire le proprie aspirazioni o riuscire in un lavoro che ci piace è importante e significa dare voce ad una parte di noi. Allo stesso tempo anche se può sembrare che stiamo pensando solo al nostro interesse, dietro le nostre scelte gli altri non sono mai un’opzione facoltativa.
Forse allora siamo più simili ai pinguini di quanto pensassi: anche noi umani, infatti, quando partiamo lo facciamo sempre per un desiderio, alla cui base c’è innanzitutto un pensiero su relazioni ed affetti. Infatti, prendiamo in considerazione le conseguenze che genererebbero le nostre scelte sugli altri.
I pinguini vivono in uno dei luoghi più inospitali della Terra, ma lo fanno insieme. Si stringono in cerchio per resistere al vento, al gelo, all’isolamento. Non perché sia più facile o comodo, ma perché senza gli altri, non ce la farebbero.
È lo stesso per noi, anche se non viviamo al Polo Sud. La vita a volte può essere davvero dura: facciamo fatica a sopportarci, a capirci o a comunicare; ci allontaniamo, magari per lavoro, per crescere, per cercare qualcosa di più. Come i pinguini che nuotano per chilometri in cerca di cibo. Ma poi torniamo, o almeno cerchiamo di tornare da chi ci riconosce, e da chi ci aspetta per condividere quello che abbiamo trovato. Perché, anche se cerchiamo il nostro posto nel mondo, quel posto ha senso solo se ci sono delle persone che ci vogliono bene.
Ecco allora che l’augurio per me, e per i giovani del mio tempo, è di imboccare senza paura la strada che sembra più convincente, più affascinante, senza tuttavia dimenticarsi che i legami non sono catene (o almeno non dovrebbero esserle), che ci tarpano le ali, ma bellissimi fili che tessono sia l’oggi, sia il futuro della nostra società.
[1]AlmaLaurea. (2024, giugno 13). XXVI Rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati. https://www.almalaurea.it/news/rapporto-almalaurea-2024