Autostima e consapevolezza del limite: verso quale educazione?

Di DOMENICO GIALLANZA
(Educatore, esperto di interventi di comunità)

  1. Introduzione

            Questo contributo si impegna ad affrontare un aspetto poco valutato nei contesti educativi e che, in diverse occasioni, diventa quasi problematico esaminare e sostenere in una riflessione: il rapporto tra autostima e consapevolezza del limite, due aspetti promossi in educazione che, se non compresi appieno, sembrano entrare in conflitto tra di loro e promuovere due versanti educativi che vanno in contrapposizione.
L’autostima è un elemento essenziale per lo sviluppo umano e viene, espressamente, promossa in ambito educativo. Lo sviluppo dell’autostima è fondamentale in quanto rende le persone più sicure, ambiziose e fiduciose. La letteratura è piena di studi che dimostrano l’importanza dell’autostima nel percorso di crescita dei bambini ed è un requisito, da sviluppare e maturare.
La consapevolezza del limite è un altro elemento che ha preso spazio in ambito educativo. L’importanza di comprendere il limite ha il fine di educare le persone a trovare la giusta misura e accettare i propri limiti quando non si può andare oltre, come nel caso della morte e non solo, per evitare ulteriore dolore e sofferenza e accettare la realtà con una profonda serenità.
Entrambi i nuclei tematici sembrano, a prima vista, entrare in conflitto tra loro. Si ritiene opportuno prenderli in considerazione e analizzarli insieme per comprendere come possano coesistere nel lavoro educativo senza che si sovrastino o sovrappongano.

  1. L’autostima

L’autostima è una necessità fondamentale che ricopre la vita delle persone e le fa sentire adeguate alle sue richieste. Nathaniel Branden (1994) spiega che l’autostima è[1]:

  • fiducia nelle proprie capacità di pensare e superare le sfide della vita;
  • fiducia nel diritto al successo e alla felicità e fiducia di affermare necessità e desideri, realizzare valori e principi e avere un proprio valore e meritarselo.

Si tratta di una convinzione potente che si dimostra essere molto più del semplice giudizio che si ha di sé stessi, ma una vera e propria fonte di ispirazione e motivazione che influenza le proprie azioni. L’autostima è modellata da fattori[2]:

  • interni – fattori che risiedono o che sono determinati dalla persona come idee, credenze, pratiche e comportamenti;
  • esterni – fattori ambientali come messaggi verbali e non verbali o esperienze provocate da figure significative (genitori, insegnanti, ecc…);

L’autostima è legata alla fiducia[3]: se una persona ha fiducia in sé stessa ha più possibilità di avere successo; invece, se ha poca fiducia ha meno possibilità di riuscire e più di fallire. L’autostima ha un potere benefico: fa sentire meglio, permette di vivere in maniera migliore, di reagire a sfide e opportunità in modo appropriato e sfruttare le proprie risorse.
Una alta autostima rende le persone più razionali, reali, intuitive, creative, ambiziose, indipendenti e flessibili, che cercano di raggiungere obiettivi difficili e fruttuosi; invece, una bassa autostima rende le persone irrazionali, cieche e rigide, che cerano la sicurezza e scelgono obiettivi che non richiedono grandi sforzi per raggiungerli. Nello specifico, una autostima alta[4] è correlata a:

  • razionalità – è l’esercizio della funzione integrativa della conoscenza, che genera e applica i principi a fatti concreti e collega le nuove informazioni a quelle già apprese;
  • realismo – è il rispetto per i fatti e il riconoscimento del reale;
  • intuito – è la facoltà di avere integrazioni subconsce maturate dall’esperienza;
  • creatività – è la produzione di ciò che genera la propria mente e dei suoi segnali interni;
  • elasticità – è la capacità di sapere reagire al cambiamento;
  • capacità di affrontare le sfide – è la capacità di sapere reagire dinanzi alle sfide e saperle affrontare;
  • disponibilità ad ammettere (e correggere) i propri errori – è la capacità di sapersi orientare alla realtà e accettare la verità;
  • benevolenza e collaborazione – è il risultato della fiducia e del valore di sé, cercando di amarsi e stare bene con sé stessi.

Quando si sta bene con sé stessi, ci si sente bene anche con gli altri e a cooperare con loro per obiettivi comuni.

Un’alta autostima aumenta le possibilità di avere successo e il premio emotivo per il traguardo raggiunto si chiama orgoglio[5]. L’orgoglio è il piacere che si prova dalle proprie azioni e i propri successi, una soddisfazione verso sé stessi che non ha nulla a che fare con l’arroganza, ma è un valore da raggiungere come premio del proprio successo.
L’autostima ha due componenti strettamente legate[6]:

  • senso di autoefficacia – fiducia nel proprio funzionamento e sensazione di controllo della propria vita;
  • rispetto di sé – certezza del proprio valore e senso di benevolenza nel rapporto con gli altri;

Una buona autostima equipaggia la persona ad affrontare i problemi e crea le aspettative che generano le azioni necessarie a trasformarle in realtà. La scarsa autostima, invece, pone la persona in conflitto con sé stessa, facendogli sperimentare il timore e il disorientamento anche nei momenti in cui le cose vanno bene. Anche nel caso di trovarsi di fronte alle avversità, una scarsa autostima riduce di molto le probabilità di cavarsela e di gestire la situazione.
Si può comprendere l’autostima come un bisogno[7]; Nathaniel Branden spiega che l’autostima intesa come bisogno significa:

  • intendere l’autostima come un contributo essenziale per la vita;
  • considerare l’autostima come indispensabile per lo sviluppo umano;
  • dare all’autostima un valore di sopravvivenza.

Il fatto di avere una bassa autostima[8] non implica necessariamente che non si possono raggiungere grandi obiettivi, il problema si pone su un altro piano: quello della soddisfazione. Spesso, anche raggiungendo un obiettivo importante, si percepisce di non avere fatto abbastanza e si vive una percezione che tronca la capacità di essere soddisfatti del proprio operato, vivendo, costantemente, alla ricerca di evitare la sofferenza anziché di sperimentare la gioia.
Chiarito come l’autostima sia di vitale importanza per le persone, è altrettanto importante che venga alimentata dal sistema educativo[9]. Gli insegnanti possono essere tra le prime fonti per istillare autostima ai ragazzi e, spesso, questo risultato dipende proprio dall’autostima dell’insegnante stesso. Gli insegnanti con una bassa autostima tendono a essere punitivi, autoritari e impazienti e a concentrarsi più sulle debolezze che sulle potenzialità dello studente. Questi insegnanti causano la dipendenza negli studenti e provocano la cattiva percezione dell’autostima come derivante solo dall’approvazione da parte degli altri. Invece, gli insegnanti con una alta autostima comprendono che per aumentare l’autostima di uno studente devono concentrarsi sul loro valore e sulle loro risorse, ponendo più attenzione alle potenzialità rispetto alle debolezze.
Il contesto classe deve essere impostato dall’insegnate in modo da favorire l’autostima e deve tenere conto di alcuni elementi fondamentali[10]:

  • la dignità dei ragazzi – comprendere che la dignità e i sentimenti degli studenti hanno un peso importante;
  • l’apprezzare sé stessi – aiutare gli studenti a sentirsi visibili e fornendogli riscontri incoraggianti e che sviluppino in lui consapevolezza di sé;
  • l’attenzione – fornire agli studenti l’attenzione di cui hanno bisogno e farli sentire importanti;
  • la disciplina – dare delle regole per rendere possibile l’apprendimento. Le regole possono essere imposte dall’insegnante attraverso il suo potere oppure spiegate in modo da essere comprese e approvate dagli studenti.

L’autostima si rileva fondamentale per lo sviluppo umano e, quindi, necessariamente, deve essere promossa nei contesti educativi.

  1. La consapevolezza del limite

Per parlare di consapevolezza del limite, occorre prendere in considerazione il pensiero di Karl Jaspers e la sua definizione di situazione-limite[11]. Karl Jaspers (1932) scrive che le persone possiedono una storicità che comporta, in ogni momento, il trovarsi all’interno di una determinata situazione.  Le situazioni sono delle realtà in cui un soggetto agisce e su di esse crea un senso. Esse possono modificarsi e dissolversi passando a nuove situazioni. Le situazioni-limite, al contrario, sono situazioni che non mutano in sé e che sfuggono alla comprensione e coscienza. La situazione-limite appartiene all’esistenza[12] ed è una condizione nel quale non è possibile reagire con azioni, pianificazioni o programmazioni, ciò che si deve fare è solamente un salto: la funzione autentica della trascendenza e della chiarificazione della situazione-limite, che si esprime in un lavoro interiore di accettazione e consapevolizzazione per prepararsi a fare i conti con il limite. La persona deve diventare cosciente della sua determinatezza storica, della sua finitudine e del suo collocarsi in una data situazione. L’angustia e l’inquietudine di trovarsi dinanzi al limite, come quello della morte, e di rammaricarsi e porre resistenze, deve lasciare spazio alla libertà di accettare la situazione immodificabile e farla sua, comprendendo e manifestando pienamente la propria esistenza e ricevendo la pace e la quiete che mettono fine a ogni conflitto.
La situazione-limite, scrive Karl Jaspers, più devastante è la morte[13]. La morte, presa nel suo senso generale, non è una situazione-limite perché sapere di morire in un tempo futuro non richiede preoccupazioni particolari se non quella di evitarla. La morte di qualcun altro, anche nel caso di una persona cara, è più una mancanza, una perdita che può, attraverso la trascendenza, non rimanere assoluta. La coscienza può mantenere la presenza esistenziale della persona amata, trovando una profondità esistenziale che, sulla base di un dolore che non può scomparire, quello della morte di qualcuno vicino, ci si può convivere e trovare una profonda serenità.
La morte della persona amata diviene situazione-limite se colei che muore era la sola e unica persona vicina e amata, ma la vera situazione-limite avviene quando la morte presa in questione è la propria. Finché ci si ritrova nel disperarsi, nel perdersi nel vuoto o nell’aggrapparsi alla durata e ci si lascia dominare dall’angoscia e dal terrore, non si è ancora nella situazione-limite e si sta solo rendendo tutto insignificante. La persona che esiste nella situazione-limite è quella a cui importa chiarirsi e assumere un atteggiamento di coraggio di fronte alla morte, questo dà un nuovo volto alla situazione-limite perché l’esperienza della morte si trasforma in un morire in maniera autentica. La morte deve essere intesa non come riposo ma come compimento. Il morire diventa profondamente significativo quando non è più qualcosa di estraneo, ma una realtà che in sé stessi trova fondamento e diviene un riferimento a cui potersi affidare e, in questa esperienza, rendersi consapevoli della propria autenticità.
Il richiamo alla spiritualità e alla trascendenza di Jaspers coincide fortemente con il pensiero di Viktor Frankl. Daniele Bruzzone (2001)[14], interpretando in chiave pedagogica Viktor Frankl, spiega che la persona autentica deve autorealizzarsi: avviare un processo di autoeducazione che si esprime nell’atto spirituale, di natura psichica, di autodeterminarsi, di configurare la propria personalità e di educarsi alla responsabilità. Viktor Frankl, spiega Daniele Bruzzone, sostiene che l’educabilità umana è delimitata da due confini[15]:

  • confine inferiore – le disposizioni interne ed esterne;
  • confine superiore – la spiritualità della coscienza.

Nella spiritualità della coscienza, l’educazione deve trasformarsi in auto-formazione[16]: una ricerca di un forte senso spirituale dell’esistenza in chiave emozionale e creativa, che cerca di scoprire un senso nella sofferenza e ricercare da essa un significato più alto, una autoconfigurazione[17]. Si tratta di un processo di formazione-configurazione nel quale, attraverso un lavoro interiore, si acquisisce la capacità di decidere e valutare secondo criteri di valore personali che, trascendentemente, realizzino significati esistenziali.
Il fondamento pedagogico-educativo del tema della morte e del limite si rivela essenzialmente importante, soprattutto, in fase adolescenziale. La morte[18], scrive Maria Mancaniello (2004), è una realtà dolorosa che in adolescenza si tende ad allontanare, insieme a tutta la carica emotiva che si porta dietro: ansia, paura, angoscia, dolore, tutte emozioni che, in adolescenza, tendono a essere allontanate. In fase adolescenziale, il senso del limite viene trascurato in favore di un bisogno di fare esperienze che facciano scoprire fino a che punto possano estendersi i propri limiti e comprendere le proprie potenzialità. Inoltre, lo spingersi oltre e raggiungere certi obiettivi e successi accresce l’autostima dei ragazzi, quando, invece, conoscere e fare i conti con i propri limiti la riduce. Si può comprendere come ci siano una serie di motivazione che facciano risultare difficile affrontare il tema di un’educazione alla morte e della consapevolezza del limite. Eppure, l’esigenza di questo tipo di educazione alla morte e al limite si rivela fondamentale e necessaria, in quanto permetterebbe di comprendere quanto la morte sia parte della vita e di trovare la giusta misura nelle cose. Il processo educativo deve incontrare il limite, conoscere la sofferenza e provare la vulnerabilità, favorendo una consapevolezza psicologia e un bisogno di cura di sé e degli altri. L’incontro con il limite nel percorso educativo è sia affrontare il limite, ma ancora prima accettarlo e liberarsi dall’ossessione di superarlo. La presa di coscienza deve avvenire scontrandosi con la realtà, superando gli ostacoli e scoprendo e accettando i propri limiti. La comprensione deve aprirsi in una dimensione formativa che faccia esperienza della realtà, sperimentando e accettando il limite e trovandone il senso.
L’educatore deve aiutare l’adolescente durante tutto il percorso formativo, diventando per lui un punto di riferimento e accompagnarlo nella consapevolizzazione e comprensione del tema della morte e del limite, facendo in modo che possa raccontarsi e ripercorrere i propri vissuti per auto-osservarsi e lavorare su di sé al fine di raggiungere una consapevolezza esistenziale.
Anche la consapevolezza del limite, come l’autostima, si rivela un elemento fondamentale da promuovere nel sistema educativo.

  1. Il rapporto tra autostima e consapevolezza del limite

Come spiegava Maria Mancaniello, mettere alla prova i propri limiti e superarli accresce l’autostima, mentre scoprire di non potere andare oltre la riduce. È evidente come i due elementi sembrino andare in conflitto tra di loro. Il primo, l’autostima, invita a credere nelle proprie capacità di superare le difficoltà e riuscire nelle sfide, quasi come se dicesse “tu puoi farcela”; invece, il secondo, la consapevolezza del limite, pone la persona a tenere in considerazione la propria finitudine e limitatezza, cercando di accettare che alcune cose non si possono superare ed è giusto accettare, serenamente, che sia così, quasi come se dicesse “arrivato a questo punto ti devi fermare, non puoi andare oltre”. La domanda che viene da chiedersi è se, data questa ambiguità dei due temi fortemente promossi in educazione, ce ne sia uno più importante rispetto all’altro, oppure se uno deve essere più importante dell’altro in relazione al fattore età (per esempio l’autostima nell’età dello sviluppo e la consapevolezza del limite nell’età adulta).
Questo studio crede fermamente nella convinzione secondo cui entrambi i tipi di educazione devono essere promossi durante tutto l’arco del ciclo di vita, con pari importanza e senza priorità. I bambini, gli adolescenti, gli adulti e gli anziani, devono acquisire sia l’autostima per avere la spinta per affrontare le difficoltà della vita e avere successo, sia la consapevolezza dei propri limiti per vivere serenamente la propria finitezza. La sfida di questa coesistenza in ambito educativo si gioca su due piani. Il primo è quello di comprendere l’autostima come una marcia che aiuti ad avere la forza necessaria a superare le sfide che la vita presenta, senza, però, sfociare nella convinzione di essere in grado di riuscire in tutto e non avere limiti. Il secondo piano è quello di maturare coscientemente il limite come una comprensione della propria esistenza finita, senza, però, cadere nell’errore di percepirsi come deboli e inutili. Questi due piani devono trovare il giusto equilibrio ed essere considerati due aspetti fondamentali della vita da acquisire e devono essere promossi, paritariamente, dai sistemi educativi.
Una tesi analoga è quella di Kristin Neff (2011)[19] nella quale sostiene che, pur considerando l’autostima come qualcosa di positivo, capace di rendere le persone sicure e valide, e che ci sono delle motivazioni legittime e coerenti a sostegno per promuovere e aumentare l’autostima nei ragazzi, occorre anche dare spazio all’autocompassione: non concentrarsi solo nel valorizzare la propria immagine di sé, ma anche accettare di avere delle debolezze e dei limiti. I successi e i fallimenti aumentano o abbassano il livello di autostima, ma non per questo pesano sul proprio valore di persona, fanno solo parte del processo di essere vivi e agenti nel mondo. L’invito di Kristin Neff consiste nel continuare a promuovere e mantenere alta la propria autostima senza, però, trascurare il fatto di accettare sé stessi e comprendere che la propria fragilità non è sinonimo di inferiorità, ma un segno del proprio valore di essere umano.
L’equilibrio tra autostima e consapevolezza del limite sarebbe un elemento a favore per aprire le porte all’educazione alla morte[20], permettendo alle persone di affrontarla, accettando la propria fragilità, vulnerabilità e sofferenza e facendo un lavoro di costruzione e scoperta di senso e significato della propria vita.

  1. Conclusioni

Autostima e consapevolezza del limite sono due temi che vengono promossi dai sistemi educativi, ma che sembrano entrare in conflitto tra di loro. L’autostima è una forte convinzione che fa sentire le persone più sicure, fiduciose e capaci di affrontare certe situazioni. La consapevolezza del limite è la comprensione esistenziale della propria finitudine e della sua serena accettazione. Autostima e consapevolezza del limite dovrebbero essere entrambi valorizzati nell’arco di tutta la vita senza sovrapporsi e trovando un equilibrio. L’equilibrio tra i due fattori avrebbe un ruolo favorevole nei confronti della possibilità di educare alla morte.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • Branden N., The Six Pillars of Self-Esteem (1994), tr. it., I sei pilastri dell’autostima, TEA, Milano, 2023.
  • Bruzzone D., Autotrascendenza e formazione, Esperienza esistenziale, prospettive pedagogiche e sollecitazioni educative nel pensiero di Viktor E. Frankl, Vita e Pensiero, Milano, 2001.
  • Jaspers K., Philosophie (1932), tr. it., Filosofia, UTET, Torino, 1978.
  • Mancaniello M. R., Educare al «senso del limite» attraverso l’avventura: una categoria pedagogica per affrontare il rischio e la sfida alla morte nell’adolescenza, in Mannucci A., (a cura di), L’evento morte: come affrontarlo nella relazione educativa e di aiuto, Del Cerro, Tirrenia (PI), 2004, pp. 159-187.
  • Neff K., Self compassion, The proven power of being kind yourself (2011), tr. it., La self-compassion, Il potere dell’essere gentili con sé stessi, FrancoAngeli, Milano, 2019.

[1]Branden N., The Six Pillars of Self-Esteem (1994), tr. it., I sei pilastri dell’autostima, TEA, Milano, 2023, p. 20.
[2]Ivi, pp. 7-8.
[3]Ivi, pp. 21-22.
[4]Ivi, pp. 66-70.
[5]Ivi, p. 62.
[6]Ivi, pp. 45-46.
[7]Ivi, p. 35.
[8]Ivi, pp. 38-39.
[9]Ivi, pp. 247-249.
[10]Ivi, pp. 250-254.
[11]Jaspers K., Philosophie (1932), tr. it., Filosofia, UTET, Torino, 1978, pp. 676-695.
[12]Nel pensiero di Karl Jaspers quando ci si riferisce all’esistenza, salvo particolari precisazioni, si sta facendo riferimento anche all’essere. L’autore, infatti, si serve del termine “esserci”. È stato scelto di usare “esistenza”, anziché “esserci”, perché più scorrevole nella lettura e nella comprensione.
[13]Jaspers K., Philosophie (1932), tr. it., Filosofia, UTET, Torino, 1978, pp. 695-706.
[14]Bruzzone D., Autotrascendenza e formazione, Esperienza esistenziale, prospettive pedagogiche e sollecitazioni educative nel pensiero di Viktor E. Frankl, Vita e Pensiero, Milano, 2001, pp. 382-384.
[15]Ivi, p. 385.
[16]Ivi, pp. 385 -390.
[17]Ivi, p. 386.
[18]Mancaniello M. R., Educare al «senso del limite» attraverso l’avventura: una categoria pedagogica per affrontare il rischio e la sfida alla morte nell’adolescenza, in Mannucci A., (a cura di), L’evento morte: come affrontarlo nella relazione educativa e di aiuto, Del Cerro, Tirrenia (PI), 2004, pp. 159-184.
[19]Neff K., Self compassion, The proven power of being kind yourself (2011), tr. it., La self-compassion, Il potere dell’essere gentili con sé stessi, FrancoAngeli, Milano, 2019, pp. 128-131.
[20]Il tema dell’educazione alla morte è affrontato in maniera approfondita in un altro contributo ancora in fase di pubblicazione.