Insegnare l’OCCIDENTE e la libertà a scuola

Di Fabrizio Gesuelli
Insegnante di arte in una scuola secondaria di I grado a Roma

 

 

Nelle Indicazioni Nazionali si legge che «la libertà è il valore caratteristico più importante dell’Occidente».[1] Una frase semplice, forse troppo semplice, persino quasi scontata.

Una frase che dovrebbe portarci a chiedere: cosa vuol dire insegnarla, ogni giorno, in classi dove Occidente non è un’ovvietà, ma una domanda? Possiamo davvero insegnare il valore della libertà se lo diamo per scontato?

In relazione a questo tema ne ha scritto recentemente, sulle pagine di Doppiozero, Alessandro Vanoli, che ha voluto collegare la parola Occidente con dubbio.[2] Vorrei qui raccogliere quella sua incertezza e tradurla in un terreno più concreto: quello della scuola, dell’insegnamento quotidiano, delle scelte che un docente fa ogni giorno in aula.

Occidente è una parola che pesa. «È lì che sta la posta in gioco», scrive Vanoli.

Un’analisi che trova un’eco anche in Maranza di tutto il mondo, unitevi! della giornalista e attivista algerino-francese Houria Bouteldja: uno dei pilastri dell’Occidente moderno è stato il saccheggio coloniale, la deportazione di esseri umani, la costruzione di società razzializzate.[3]

Quel Rinascimento che celebriamo come culla dell’Umanesimo (e che le nuove Indicazioni ci chiedono di riproporre) nasce insieme allo sfruttamento di terre e corpi. Ed è in questa contraddizione che ci troviamo a insegnare.

Se davvero l’Occidente è il luogo della libertà, come possiamo ignorare le sue radici coercitive, violente, gerarchiche? Non per negare ciò che di grande ha prodotto, ma per insegnare ai nostri studenti che la libertà si esercita solo se sa mettersi in discussione.

Al contrario, vorrei ribadire che libertà diventa un concetto davvero fruttuoso solo se si pratica in una chiave auto-riflessiva. Slavoj Žžižek ci dice che la libertà non è mai solo un dato che si insegna: è un compito personale. Un processo riflessivo, persino doloroso. Un “no” che si rivolge retroattivamente anche a ciò che siamo già stati.[4]

Perché se è vero, come scrive Vanoli, che nella parola Occidente, sta la posta in gioco, il rischio è che la libertà ad essa collegata si riduca a mero formalismo.

È questo, forse, il punto: la libertà occidentale non è un dato acquisito, ma un compito, un processo di riflessione critica, a volte persino dolorosa. E allora sì, forse quelle Indicazioni vanno lette con uno sguardo più profondo: forse non celebrano un’identità, ma indicano una possibilità. La possibilità che una cultura davvero libera sia quella che sa riconoscere le proprie ombre.

Ma questo non accade da solo. Deve passare per le pratiche didattiche. Per la libertà di porre e porsi domande scomode.

Insegno arte in una scuola media di Roma, frequentata da ragazze e ragazzi italiani, bengalesi, cinesi, africani e dell’Est Europa. Una realtà multiculturale in cui il significato stesso della parola Occidente viene quotidianamente discusso, interrogato.

Quando con le terze abbiamo studiato il Realismo ottocentesco, l’abbiamo collegato alle fabbriche in Bangladesh da cui provengono molti dei vestiti che indossiamo. E partendo da Bagno penale a Portoferraio di Signorini, abbiamo parlatodi chi non ha libertà, della condizione carceraria oggi in Italia, anche quella minorile.

Non per attualizzare a tutti i costi, ma come ci ha ricordato recentemente Giammei, certa storia, anche dell’arte, non può essere insegnata fingendo che il mondo non esista. Il rischio è solo quello di resuscitare zombie.[5]

C’è un caso particolare, nella storia dell’arte, che quest’anno ho deciso di discutere con gli alunni proprio per lavoraresu questi temi: Paul Gauguin. Figura ambigua, irrisolta e condannata forse troppo facilmente. In Noa Noa, il suo diario tahitiano, descrive una società dove i ruoli di genere non sono rigidi, dove la nudità è normale, dove le donne sono forti e gli uomini non temono la dolcezza.

Scrive: «presso queste popolazioni nude, come tra gli animali, la differenza tra i sessi è assai meno evidente che alle nostre latitudini. Noi accentuiamo la debolezza della donna, risparmiandole le fatiche, cioè le occasioni per sviluppare la forza, modellandole su un falso ideale di gracilità».

E ancora: «le donne fanno gli stessi lavori degli uomini e questi hanno la stessa indolenza delle donne: qualcosa di virile è nelle donne e qualcosa di femminile è negli uomini».[6]

Nelle sue opere (Quando ti sposi?, Due donne Tahitiane e soprattutto Tre Tahitiani e La nascita di Cristo) quella crisi si vede: nei colori, nei volti, nelle posture delle figure, a tratti né femminili né maschili.

Gauguin non è un modello. Ma è un segnale. Ci mostra quanto scrivevo all’inizio: che anche da dentro l’Occidente si può mettere in dubbio l’Occidente.

Un altro segnale ci arriva nuovamente da Žižek: nel 2006 scriveva che l’Occidente difende la libertà delle donne attaccando il velo, mentre impone standard di bellezza e sensualità con la stessa violenza simbolica.[7]

Quella stessa violenza simbolica che oggi passa per i social media, catalizzatori di disagio e inadeguatezza tra gli adolescenti, fino a sfociare in vere e proprie violenze di genere.

La nostra idea di libertà, insomma, è spesso una forma sofisticata di controllo. E lo diventa ancor di più quando pretendiamo di insegnarla, come fosse un marchio personale, senza capire che non è neutra.

Se davvero la libertà è il valore più importante dell’Occidente, allora, forse, dobbiamo insegnarla così: come capacità di dubitare del nostro agire. Di leggere un quadro e chiedersi chi manca nella scena. Di studiare una parola e capire da dove viene.

Io, da docente, non posso limitarmi a trasmettere contenuti. Il mio compito è offrire strumenti per leggere il mondo. E se il mondo è contraddittorio, anche l’insegnamento lo deve essere.

Non voglio che i miei studenti diventino “occidentali”. Voglio che diventino liberi.

Ma per farlo, devono imparare a dubitare anche dell’idea di libertà che gli offriamo. Anche – e soprattutto – a scuola.

BIBLIOGRAFIA

  • Agamben, Giorgio. 2019. Creazione e anarchia: Lopera darte nellepoca della religione capitalista. Torino: Nottetempo.
  • Biesta, Gert. 2022. Riscoprire l’insegnamento. Raffaello Cortina Editore.
  • Bell Hooks. 2020. Insegnare a trasgredire: Leducazione come pratica della libertà. Milano: Meltemi.
  • Boano, Camillo. 2021. Il progetto minore. Siracusa: LetteraVentidue.
  • Bouteldja, Houria. 2023. Maranza di tutto il mondo unitevi!. Roma: DeriveApprodi.
  • Deleuze, Gilles. 1996. Che cos’è un atto di creazione?Conferenza tenuta alla FEMIS (1987). In Che cos’è la filosofia?, 193–210. Torino: Einaudi.
  • Deleuze, Gilles, e Félix Guattari. 2021. Capitalismo e schizofrenia. Roma: Castelvecchi.
  • Faggin, Federico. 2022. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura. Milano: Mondadori.
  • Freire, Paulo. 2004. La pedagogia degli oppressi. Torino: EGA.
  • Giammei, Francesco. 2021. Gioventù degli antenati. Roma: Nottetempo.
  • Gauguin, Paul. 2011. Noa Noa. Il libro di Tahiti. Roma: Elliot
  • Hui, Yuk. 2021. Cosmotecnica: Lunificazione delle tecniche nel pensiero filosofico. Milano: Nero Editions.
  • Krauss, Annette, et al. 2014. Hidden Curriculum. Utrecht: Casco – Office for Art, Design and Theory.
  • Ianes, Dario (a cura di.) 2025, Credere, Obbedire, Insegnare. Erikson
  • Sardelli, Don Roberto. 2019. Non tacere. Il diario di un prete urbano. Roma: Castelvecchi.
  • Wicked Art Education. 2013. A cura di Emiel Heijnen e Melissa Bremmer. Amsterdam: Valiz.
  • Vanoli, Alessandro. 2025. Ministro Valditara: cos’è questo Occidente? Milano: Doppiozero.
  • Žižek, Slavoj. 2006. The Parallax View. Cambridge (MA): MIT Press.
  • Žižek, Slavoj. 2005. Against Human Rights. Londra: New Left Review.

 

NOTE BIBLIOGRAFICHE
[1] Qui è possibile consultare il documento: https://www.mim.gov.it/documents/20182/0/Nuove+indicazioni+2025.pdf/cebce5de-1e1d-12de-8252-79758c00a50b?version=1.0&t=1741684578272. La frase si trova a pag. 10.
[2] Si veda: Vanoli, Alessandro. 2025. Ministro Valditara: cos’è questo Occidente? Milano: Doppiozero. Qui l’articolo: https://www.doppiozero.com/ministro-valditara-cose-questo-occidente
[3] Bouteldja, Houria. 2023. Maranza di tutto il mondo unitevi!. Roma: DeriveApprodi.
[4] Si veda in particolare Žižek, Slavoj. 2006. The Parallax View. Cambridge (MA): MIT Press.
[5] Si veda: Giammei, Francesco. 2021. Gioventù degli antenati. Roma: Nottetempo. In particolare l’autore fa riferimento proprio agli zombie quale metafora per spiegare come il rischio dell’insegnamento sia quello “di portare i morti nel presente, mortificandolo”. Al contrario, l’autore suggerisce di portare i viventi, in un passato vivente.
[6] Citazioni contenute in Gauguin, Paul. 2011. Noa Noa. Il libro di Tahiti. Roma: Elliot pp. 42-44
[7] Žižek, Slavoj. 2005. Against Human Rights. Londra: New Left Review.