Di Alessandro Prisciandaro[1]
Presidente Nazionale APEI (Associazione Pedagogisti Educatori Italiani)
La recente istituzione dell’albo professionale per gli educatori professionali socio-pedagogici e per i pedagogisti, introdotto con la Legge n. 55/2024, rappresenta un passaggio storico per il riconoscimento giuridico, sociale e culturale delle professioni educative in Italia. Con questo contributo, intendo analizzare il valore epistemologico, deontologico e sistemico dell’Albo, mettendo in evidenza la necessità di una regolamentazione pubblica per garantire la qualità, la trasparenza e la tutela dei cittadini nei servizi educativi, scolastici, sociali e sociosanitari. Anche attraverso una riflessione comparativa con altri albi professionali, emerge il ruolo fondamentale dell’identità professionale per l’affermazione della Pedagogia come scienza dell’educazione, disciplina autonoma e strategica nel contesto delle politiche pubbliche.
Nel panorama italiano, le professioni educative hanno vissuto per lungo tempo una condizione di marginalità normativa, pur svolgendo funzioni essenziali nei processi di sviluppo, inclusione, prevenzione e cittadinanza. La recente istituzione dell’albo professionale segna un punto di svolta, in quanto riconosce ufficialmente l’esistenza di una comunità professionale e scientifica che opera sulla base di saperi pedagogici fondati, regolati, valutabili e continuamente aggiornabili.
L’educatore professionale socio pedagogico e il pedagogista, nella loro specificità, non operano per delega sanitaria o sociale, ma agiscono nella piena autonomia delle scienze dell’educazione, come teorizzato da autori quali Bertolini, Mortari, Milani e Tramma. L’albo restituisce dignità giuridica e simbolica a questa autonomia, e lo fa attraverso dispositivi pubblici di selezione, sorveglianza deontologica e rappresentanza democratica.
L’Italia ha così colmato un vuoto normativo: un traguardo atteso da decenni, che risponde a una domanda crescente di riconoscimento professionale, di qualità dei servizi e di chiarezza istituzionale in ambito educativo.
La regolamentazione di queste figure, precedentemente affidata in toto alle associazioni professionali ai sensi della Legge 4/2013, acquisisce ora una dimensione pubblicistica e ordinamentale. Ma perché è così importante un albo per queste professioni?
L’iscrizione a un albo professionale garantisce un controllo formale sui requisiti di accesso, sul rispetto delle norme deontologiche e sull’aggiornamento professionale. L’assenza di un ordine pubblico aveva sinora esposto l’utenza a forme di esercizio non qualificato della professione educativa e pedagogica, con gravi rischi nei contesti più vulnerabili: infanzia, disabilità, marginalità, contesti scolastici complessi.
Se l’educazione è un diritto, allora non può essere lasciata all’arbitrio né alla frammentazione delle qualifiche. Come per la medicina o l’ingegneria, anche per l’educazione servono competenze certificate, riconosciute e responsabili. L’albo diventa così uno strumento di garanzia per i cittadini, e non solo un meccanismo di difesa corporativa.
In una società caratterizzata da fragilità diffuse, accelerazioni tecnologiche e disgregazione dei legami sociali, l’azione educativa non può essere improvvisata. L’iscrizione ad un albo garantisce formazione accademica, aggiornamento permanente e rispetto etico, e pone un argine al rischio di derive pseudo-terapeutiche, ideologiche, o commerciali che talvolta contaminano il mondo dell’aiuto.
L’albo introduce finalmente responsabilità, tracciabilità, obblighi formativi e sanzionabilità in caso di comportamenti non conformi, con un impatto diretto sulla qualità dei servizi educativi e sul diritto alla protezione dei cittadini.
Il riconoscimento dell’albo è anche un fatto identitario: chi è il pedagogista? Chi è l’educatore? Chi può dirsi tale? Queste domande, che per decenni sono rimaste sospese o assorbite da altri saperi (psicologici, assistenziali, clinici), oggi trovano una prima risposta istituzionale.
Attraverso l’albo si afferma un principio costituzionale: le professioni intellettuali devono potersi autogovernare, attraverso organi rappresentativi, codici deontologici condivisi e partecipazione attiva dei professionisti ai processi decisionali. Questo è anche un passaggio culturale: uscire dalla logica del “mestiere” per entrare in quella della professione riflessiva (Schön), fondata su una teoria-prassi criticamente orientata.
L’istituzione di un Albo per i professionisti dell’educazione ha anche un valore epistemologico: riconosce la Pedagogia come scienza dell’educazione, come sapere professionalizzante, applicabile e scientificamente fondato, al pari della psicologia, della medicina, dell’ingegneria.
Per anni le scienze pedagogiche hanno subito un oscuramento normativo e istituzionale, spesso ridotte a “soft skills” prive di impianto disciplinare autonomo. L’albo segna una svolta culturale e politica, valorizzando la formazione accademica di primo, secondo e terzo livello e promuovendo la ricerca educativa come leva di trasformazione sociale.
La nostra Costituzione riconosce il principio di rappresentanza ordinistica quale garanzia per i cittadini e per le categorie professionali. L’albo per i pedagogisti e gli educatori consente l’autogoverno della professione, la partecipazione democratica alla definizione dei profili professionali, la costruzione di un’etica condivisa e la tutela da derive corporative esterne.
Non si tratta di una mera formalità burocratica: l’autonomia delle professioni si esercita attraverso forme istituzionalizzate di rappresentanza, responsabilità e trasparenza.
Nel quadro delle politiche di welfare, educazione e salute si intrecciano: l’educatore professionale socio-pedagogico e il pedagogista operano anche nei contesti sociosanitari, come riconosciuto dall’art. 33-bis del D.L. 104/2020 e dalla Legge n. 145/2018.
L’albo è dunque uno strumento essenziale per legittimare l’azione di queste figure nell’intersezione tra servizi educativi, sanitari e sociali, evitando sovrapposizioni e abusi professionali da parte di altri ordini che rivendicano ruoli non previsti dalla legge.
L’albo non è solo un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Esso inaugura una nuova stagione per le professioni educative, basata su legalità, trasparenza, competenza e dignità professionale.
Occorre ora accompagnare questo processo con una forte regia istituzionale, un impegno costante nella formazione continua e un dialogo attivo tra mondo accademico, professionale e politico. Solo così la Pedagogia potrà incidere realmente sulle trasformazioni della società, della scuola, delle famiglie e dei territori, affermandosi come scienza di governo dei processi educativi e della cittadinanza
L’istituzione dell’albo è un fatto epocale per le scienze dell’educazione e per le professioni che da esse derivano, poiché restituisce identità, dignità e visibilità ad una comunità professionale che, spesso in silenzio, ha contribuito alla coesione sociale, alla promozione umana e alla cittadinanza attiva nel nostro Paese.
In questo processo di legittimazione e riconoscimento pubblico, un ruolo fondamentale è stato svolto dall’Associazione Pedagogisti Educatori Italiani (APEI), che ha saputo superare gli storici steccati tra professioni contigue, proponendo una visione unitaria e pluralista delle professioni educative.
Dopo oltre vent’anni di tentativi legislativi incentrati esclusivamente sulla figura del pedagogista, è stata proprio APEI a delineare e sostenere con forza il modello dell’ordine multi-albo, includente sia i pedagogisti sia gli educatori Professionali socio-pedagogici, come figure complementari e interdipendenti.
Questa intuizione strategica – che ha rotto la paralisi normativa e culturale – si è dimostrata vincente: ha unito la base professionale; ha convinto il legislatore della necessità di una rappresentanza ordinistica ampia; e ha offerto una risposta concreta alle trasformazioni del mondo del lavoro educativo.
È dunque grazie a questo approccio integrato, propositivo e inclusivo che si è finalmente potuto giungere all’approvazione della Legge 55/2024, aprendo una stagione nuova per la governance pedagogica nel nostro Paese.
Ma questo è solo l’inizio. Serve ora costruire una cultura diffusa della qualità educativa, fondata sul sapere, responsabilità e corresponsabilità sociale. In questa sfida, pedagogisti ed educatori – tutte e tutti uniti – possono offrire un contributo insostituibile.
BIBLIOGRAFIA
Bertolini, P. (1988), L’esistenza pedagogica. La Nuova Italia.
Schön, D. (1993), Il professionista riflessivo. Dedalo.
Mortari, L. (2006), La pratica dell’aver cura. Mondadori.
Tramma, S. (2011), Pedagogia sociale. Carocci.
Milani, P. (2020), Pedagogia della resilienza. FrancoAngeli.
Legge 55/2024, Istituzione dell’Albo degli Educatori Professionali Socio-Pedagogici e dei Pedagogisti.
Legge 4/2013, Disposizioni in materia di professioni non organizzate in ordini o collegi.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
[1] Alessandro Prisciandaro è pedagogista e Presidente nazionale dell’Associazione Pedagogisti Educatori Italiani (APEI), riconosciuta ai sensi della Legge 4/2013. Da oltre quarant’anni è impegnato nella promozione della cultura pedagogica, nella formazione degli operatori educativi e nell’elaborazione di politiche pubbliche per il riconoscimento giuridico e professionale delle scienze dell’educazione. Autore di saggi, formatore e consulente istituzionale, ha svolto un ruolo chiave nel processo che ha portato all’approvazione della Legge 55/2024 sull’istituzione dell’Albo delle Professioni Educative e Pedagogiche.
Tutela normativa, autonomia scientifica, obblighi formativi, consapevolezza professionale, diffusione della scienza pedagogica, garanzia per i cittadini: da dove è nato l’albo delle professioni educative e socio-pedagogiche.
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