Paolo Manici
Pedagogia dell’istante
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In Pedagogia dell’istante, Paolo Manici – educatore con 25 anni di esperienza – elabora una riflessione pedagogica potente e necessaria, fondata sull’incontro tra educazione e improvvisazione teatrale. Il testo racconta come una pratica teatrale, spesso percepita come gioco o tecnica marginale, possa divenire strumento trasformativo nei contesti educativi più diversi.

L’idea portante è semplice quanto radicale: educare significa stare nel presente. Non progettare da lontano, ma incontrare davvero l’altro, qui e ora, accettando l’imprevisto come opportunità. L’improvvisazione diventa così una “grammatica della relazione” capace di far emergere autenticità, ascolto, fiducia, e di far spazio alla vulnerabilità come risorsa, non come difetto.

Manici declina questi principi in sei pilastri: ascolto radicale, il “sì, e…”, l’errore come risorsa, la presenza reale, la co-creazione, e il corpo come linguaggio. Ogni principio è esemplificato con forza da esperienze concrete: con bambini, adolescenti, persone con disabilità, adulti in formazione. Particolarmente incisivi sono i passaggi sul lavoro con chi è più fragile o silenziato: là dove il linguaggio verbale cede, entrano in gioco corpo, ritmo, silenzi, presenza. Ed è lì che accade l’educazione vera, non prescritta.

Lo stile è diretto, caldo, spesso colloquiale. L’autore alterna riflessioni teoriche a scene vive, con un tono che mescola ironia e rigore, leggerezza e profondità. Non c’è compiacimento, né pretesa di proporre “il metodo giusto”: piuttosto, c’è il desiderio di raccontare ciò che funziona perché è umano, ciò che trasforma perché si lascia trasformare.

“Pedagogia dell’istante” è anche un piccolo manifesto contro l’educazione burocratizzata, contro la cultura della performance, contro la pedagogia delle griglie e dei protocolli. Manici rivendica un’educazione che non corregge ma accoglie, che non impone ma esplora, che non punta alla perfezione ma all’autenticità. Un’educazione che non parte da un programma, ma da un incontro.

In conclusione, il testo è un contributo lucido e appassionato a una pedagogia della presenza e della possibilità. Utile a chi lavora in contesti educativi, ma anche a chi semplicemente vuole restare umano nel rapporto con l’altro. Come recita il manifesto finale, «non siamo registi, né tecnici dell’emozione, ma presenze educanti che sanno stare nel caos senza scappare». In effetti, questo sembra essere l’insegnamento più urgente di tutti.


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