Lucia Tozzi
L’invenzione di Milano Culto della comunicazione e politiche urbane
Edizioni Cronopio, Napoli 2023
pp. 207, € 15,00

Da milanese, mi sono molto appassionata al testo, trovandovi riferimenti a vicende e luoghi che ben conosco. Ma le trasformazioni di Milano penso non siano significative solo per chi vi abita; possono interessare chiunque, perché rappresentano un modello di cambiamento rispondente a logiche di sistema di tipo neoliberista. Il libro è di fatto una denuncia rispetto a come sia diventata diversa la gestione dei bisogni dei cittadini: da un modello di seppur moderato welfare, si è a poco a poco passati a una collaborazione tra pubblico e privato, che privilegia le possibilità di guadagno di gruppi imprenditoriali piuttosto che l’attenzione ai diritti dei cittadini. Fra tutti, il diritto di continuare ad abitare nel proprio quartiere. La “riqualificazione urbana” ha portato al noto fenomeno della gentrificazione, per cui, in zone centrali o semi-centrali di Milano, fasce di cittadini meno abbienti sono state “spinte” in periferia. Interi quartieri hanno cambiato totalmente connotazione: da aree popolari, con servizi e negozi utili alla quotidianità, si sono trasformati in zone esclusive con abitazioni ad alto costo, centri di interesse culturale e vie con esercizi commerciali da movida. Parallelamente gli investimenti per l’edilizia residenziale pubblica, anziché aumentare, sono notevolmente diminuiti. E tutto ciò nella logica di far diventare Milano una metropoli di interesse culturale e turistico; una metropoli che, da essenzialmente produttiva, si trasformasse in attrattiva. Dalla rappresentazione del capoluogo lombardo come simbolo di laboriosità e dinamismo, si è passati al Modello Milano, per cui la città è diventata centro di interessi e di socialità, non solo per chi ci vive, ma soprattutto per chi vi trascorre periodi più o meno lunghi per ragioni di turismo, studio o attività lavorative legate ad alti stili di vita.

Altro aspetto interessante che il testo analizza è quello dell’ibridazione degli spazi. Le nuove iniziative di rigenerazione urbana (dai centri culturali polifunzionali alle piazze aperte, rimodellate e colorate) hanno scopi dichiarati di aggregazione sociale, ma non possono che essere anche fonte di guadagno per i privati che ci hanno investito del denaro. Per questo, all’interno o intorno ad essi, si creano attività commerciali essenzialmente legate al consumo di cibo. «L’istituzione culturale si deve trasformare in spazio ibrido con ristorazione per potersi rappresentare come un luogo non specializzato nella sua disciplina, non chiuso ma funzionale allo scambio, agli incontri, al mix di saperi progettuali. Questo lo rende meritevole agli occhi della politica e dei poteri filantropici che, finanziandolo, possono confermare la propria vocazione democratica, e grazie a questa copertura continuare indisturbati a tagliare il welfare e a concentrare la ricchezza».

La trasformazione di ambiti cittadini in spazi ibridi risponde anche all’obiettivo di produrre consenso nelle fasce di abitanti meno abbienti e di neutralizzare l’antagonismo di alcuni centri sociali, attraverso il loro coinvolgimento in progetti per il miglioramento della vita dei quartieri, realizzati in buona parte con la sovvenzione di privati. Nel Modello Milano si sta lentamente annullando la distinzione fra pubblico e privato. Nel processo di «rigenerazione orientata al lusso e alla rendita il Comune sta perdendo, uno dopo l’altro, tutti i centri sportivi e le piscine pubbliche, le biblioteche pubbliche, i mercati comunali». Centri di svago, prima popolari, con l’ingresso di privati, cui l’ente pubblico demanda indispensabili e costose opere di manutenzione, si sono trasformati in location di lusso, adatte ad ospitare eventi e mostre.

È così possibile concludere che il risultato del passaggio da una Milano produttiva a una Milano attrattiva sia stato quello di rendere, a parità di reddito, i suoi cittadini più poveri che altrove. Cittadini in teoria attratti, in realtà allontanati.

Margherita Mainini   


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