La democrazia dell’amore (editoriale)
Di Maria Piacente
«Amate e fate ciò che volete»[1].
Sant’Agostino
Il 2026 sarà il 30° anno di pubblicazione di Pedagogika: questa per noi vuole essere un’occasione sia per un più intenso richiamo all’attualità, sia per una maggiore fruibilità dei contenuti.
Ci affacciamo dunque al nostro futuro con una sostanziosa novità editoriale: da gennaio 2026 la rivista diverrà bimestrale (6 numeri all’anno) e principalmente digitale. Il sesto numero di ogni anno comporrà l’Annuario di Pedagogika, un numero speciale da collezionare che sarà acquistabile anche in formato cartaceo: una narrazione delle più salienti tappe in ambito pedagogico, culturale e tecnologico, con firme e interviste esclusive. Questi gli obiettivi che ci siamo proposti nei nostri incontri con il Comitato scientifico e quello di redazione.
Uno dei principali temi che in questo nuovo anno vogliamo indagare è quello della paura: lo spavento che il mondo, così come è ora, ci procura. A ben pensarci in questi trenta anni mai la situazione complessiva del pianeta ci ha dato tanti pensieri. Mai la pace è stata messa così tanto in discussione.
Si vorrebbe sempre andare avanti, ma sappiamo che i problemi rimossi o non affrontanti sono sempre vivi e vegeti, pronti dietro l’angolo. E per quanto ci si voglia discostarsene, non possiamo fare a meno di vederli, pensarli, tenerli da parte per interrogarli e affrontarli in un futuro che potrebbe anche essere non troppo lontano. Quello che stiamo attraversando è un “non luogo,” nel quale spadroneggiano il disinteresse, il disincanto, l’angoscia per la guerra e l’odio, mentre si affrontano in affanno le nuove povertà di mezzi e una certa fragilità del cuore. Stare sulle cose, ragionarci insieme agli altri, sembra diventata un’impresa titanica.
Tempi e mezzi si sono trasformati con una tale velocità che ci sovviene il desiderio di tornare indietro, stare nelle nostre confort zone dove tutto è più o meno già noto; pur sapendo che è impossibile rimanere fermi ed è necessario andare avanti perché è lì che dobbiamo ritrovarci.
Ci si affaccia fuori e spesso si ha paura, il mondo così come è ci spaventa e la tentazione frequente è starsene “a cuccia” in casa. Si parla, certo, insieme agli altri di ciò che i main stream ci propongono, ma poi il contenuto non diventa quasi mai oggetto di riflessioni profonde, soggettive, e quasi mai viene dibattuto all’interno di una relazione sana, costruita nel tempo. Si tratta perlopiù di spot, della necessità di dire qualcosa in merito a cose che succedono nel mondo: sulle guerre; sui delitti efferati commessi sia da adulti che da ragazzini e ragazzine; sui femminicidi che quasi tutti i giorni macchiano di nero la cronaca. Da questi orrori cerchiamo istintivamente di prendere una distanza siderale, così da espungere il più in fretta possibile il terrore che ci paralizza. Il risultato è che di rado riusciamo a riflettere sulla complessità degli accadimenti. Succede anche in famiglia: parliamo delle regole, di come si dovrebbe rispettarle e di come bisognerebbe stare al mondo, ma perlopiù stiamo attenti a non “dispiacere” i nostri figli per il timore di non essere più amati da loro… A volte cerchiamo anche di diventare loro amici dimenticandoci non solo che noi siamo i genitori e loro i figli, ma anche che dobbiamo tener conto delle loro inclinazioni, di quelle visioni del mondo che possono anche essere diametralmente opposte alle nostre, ma che aiutano a strutturare la propria identità. Sono passaggi epocali che mettono in crisi chi li vive e richiedono tempo e molto coraggio, anche quello di “permettersi” di tornare ad un rimosso che non vuole fare i conti con il proprio passato. Sempre un po’ spaventati, parliamo con i nostri ragazzi delle leggi, di nuovi diritti, delle regole, ma queste ultime forse non riusciamo a farle sentire «scritte nella carne del cuore del figlio»[2], come ripete Recalcati. Non sono le regole a definire un comportamento, un sentimento, ma quello che si sente dentro il cuore, sempre che qualcuno ce lo abbia insegnato e si sia riusciti così a fare esperienza – anche solo una volta – di chi è l’altro, di cosa ci attrae e di cosa ci fa paura. Fare esperienza, in una parola, di quella pietas che si smuove in noi davanti a ragazzini che si suicidano per non essere stati accettati dai loro pari, o che vengono ammazzati per un gioco crudele, per cinquanta euro, per un telefonino, per niente di niente.
Se l’Intelligenza Artificiale continua a procedere in avanti, le nostre relazioni – familiari, amicali, sociali e di comunità – paradossalmente vanno indietro. Sta prendendo piede una mancanza di empatia generalizzata e il benessere psicosociale ne sta risentendo molto. Questa mancanza di relazione affettive vere, significative, è la manifestazione di un disagio che occorre riconoscere e sapere cogliere per tempo. Va da sé che anche la crescente povertà economica contribuisce a minare identità e capacità empatica.
Per affrontare tutto questo male, per capirne le ragioni, per fortuna si organizzano tanti eventi pubblici che sollecitano una riflessione: su cosa significhi che il mondo è un dono, su cosa sia la bellezza, la gentilezza, su come si riconoscano le emozioni, su cosa fare per la pace. Questi appuntamenti ricordano a tutte e tutti il nostro impegno nello stare al mondo, un impegno che ci invita a varcare con coraggio le soglie e a guardare oltre le coltri del chiacchiericcio mediatico.
A pensarci bene, ci viene da dire che l’amore, quello con la A maiuscola, c’è: ci sta intorno, volteggia nell’aria solo per essere acchiappato, con pazienza si mostra nelle avversità medicando ferite e lenendo cicatrici. In effetti l’amore è tutto e può accadere sempre. Va tutelato però, e questo può avvenire solo in una società capace di ripensarsi e di affrontare le avversità, in un contesto democratico dove ciascuna e ciascuno ha voce, uguali diritti civili, politici e sociali. Ne ha parlato a Biennale Democrazia – a Torino il 26 marzo 2025 – il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, che ha entusiasmato il pubblico con un intervento il cui titolo si ispirava ad una citazione del testo rabbinico Avot (risalente al IV sec d.C): “Su tre cose si regge il mondo: la verità, la giustizia e la pace”. Zagrebelsky così ha precisato: «La verità porta alla giustizia, la giustizia alla pace. Si può anche aggiungere che senza uno di questi elementi il mondo non si reggerebbe»[3].
Senza uno di questi elementi, la paura non va via.
[1] Cfr. Agostino, In epistolam Ioannis ad Parthos tractatus, Tractatus VII, § 8.
[2] Cfr. Massimo Recalcati, Le mani della madre, Feltrinelli, 2015.
[3] https://www.otto.unito.it/it/articoli/zagrebelsky-e-le-tre-cose-su-cui-si-regge-il-mondo-la-verita-la-giustizia-e-la-
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