Pedagogia come scienza della pace: un grido contro la deriva militarista dell’Europa

Di Alessandro Prisciandaro[1]
Presidente Nazionale APEI (Associazione Pedagogisti Educatori Italiani)

Nel cuore della pedagogia autentica pulsa un imperativo morale ineludibile: educare alla pace. La pedagogia, intesa come scienza dell’educazione, non può essere neutrale né disinteressata rispetto al destino dell’umanità. Essa nasce, vive e si sviluppa come scienza della convivenza, del rispetto, del dialogo, della costruzione nonviolenta dei rapporti umani. Eppure, oggi – mentre l’Europa approva risoluzioni che promuovono la formazione militare nelle università – la pedagogia viene colpevolmente ignorata, svilita, accantonata. Mai come in questo momento è urgente riaffermarla nella sua essenza: una scienza della pace.


Maria Montessori: educare alla pace è costruire l’umanità
Tra i più alti pensieri pedagogici del Novecento spicca la figura luminosa di Maria Montessori, che scrisse: «La pace non è un’interruzione della guerra: è un’opera positiva, costruttiva, un’opera dell’intelligenza e della volontà, un’opera della ragione e dell’educazione».
Questa visione – espressa con forza nel suo testo Educazione e Pace (1932) – lega inscindibilmente l’educazione alla costruzione di una società pacifica. Per Montessori, il bambino è il costruttore della pace, e il compito dell’educatore è quello di favorire lo sviluppo armonico dell’individuo in un ambiente che coltiva l’empatia, la cooperazione, il rispetto per la vita.
Montessori denunciò già allora l’ipocrisia di un mondo adulto che predicava la pace e addestrava alla guerra. Oggi, questa denuncia è più attuale che mai.

Una pedagogia che ripudia la guerra
Il Parlamento Europeo, nel marzo 2024, ha approvato una risoluzione sconcertante: invita le università europee a promuovere corsi, giochi di ruolo, esercitazioni civili e moduli didattici mirati a “preparare gli studenti a scenari bellici futuri che potrebbero coinvolgerci tutti”. L’intento dichiarato è “formare cittadini resilienti” pronti a reagire a conflitti futuri. In realtà, si tratta di un’operazione ideologica che normalizza l’idea della guerra, rendendola accettabile, persino necessaria, nel cuore delle istituzioni educative.
Questa scelta rappresenta una rottura gravissima con i fondamenti etici della pedagogia. In un’Europa che si dichiara democratica e civile, l’educazione dovrebbe insegnare la risoluzione pacifica dei conflitti, non l’addestramento alla loro gestione militare.
Chi scrive ritiene che questa risoluzione sia una vergogna storica, una ferita aperta nel corpo vivo della cultura europea. Invece di potenziare l’educazione alla cittadinanza globale, alla cooperazione internazionale, alla mediazione interculturale, si seminano le basi di una generazione che considera la guerra “possibile” e “probabile”.

Un paradosso dopo la morte di Papa Francesco
Questa deriva bellicista giunge pochi giorni dopo la morte di Papa Francesco, il cui pontificato è stato un inno costante alla pace, al disarmo, alla fratellanza tra i popoli. Papa Francesco ha ripetutamente denunciato la «terza guerra mondiale a pezzi» e ha chiesto alla politica di invertire la rotta. «Mai più la guerra! La guerra è sempre una sconfitta per l’umanità!», ha gridato instancabilmente, inascoltato, di fronte alla sordità delle cancellerie europee.

Il silenzio delle istituzioni educative e universitarie davanti a questo nuovo indirizzo strategico del Parlamento Europeo suona come una resa, quando invece dovrebbero essere i luoghi della cultura a resistere, riflettere, denunciare.

Riscoprire la pedagogia come resistenza
È tempo che pedagogisti, educatori, insegnanti e studenti alzino la voce. Non possiamo accettare che l’università diventi laboratorio di simulazioni belliche. La nostra missione è educare al pensiero critico, alla libertà, alla cura dell’altro. È nella pedagogia che si custodisce la speranza di un’umanità migliore, non nelle armi.
Serve oggi una nuova alleanza educativa per la pace, che riparta dalle parole di Maria Montessori e da quelle del Papa defunto, per restituire centralità alla formazione integrale della persona come antidoto alla barbarie della guerra.
La pedagogia non è una tecnica neutrale, non è una disciplina ancillare. È una scienza radicale, profondamente politica nel senso più alto: costruisce la polis, la civiltà. E oggi, come ieri, deve scegliere da che parte stare.

 

IMMAGINE: Toy fighter jet crash on rocky background, iStock.com/Yanosh_Nemesh

[1] Alessandro Prisciandaro è pedagogista, educatore professionale socio-pedagogico e Presidente nazionale dell’Associazione Pedagogisti Educatori Italiani (APEI), riconosciuta ai sensi della Legge 4/2013. Da oltre quarant’anni è impegnato nella promozione della cultura pedagogica, nella formazione degli operatori educativi e nell’elaborazione di politiche pubbliche per il riconoscimento giuridico e professionale delle scienze dell’educazione. Autore di saggi, formatore e consulente istituzionale, ha svolto un ruolo chiave nel processo che ha portato all’approvazione della Legge 55/2024 sull’istituzione dell’Albo delle Professioni Educative e Pedagogiche.