Epistemologia della comunità educante

Di Nathan Damioli
Pedagogista, consulente pedagogico, educatore socio-pedagogico

La comunità educante si definisce come una realtà in cui partecipazione e condivisione agiscono in funzione di iniziative educative a sostegno della reciprocità relazionale tra individuo e comunità [1].
L’urgenza di tale predisposizione non solo nasce dalla consapevolezza della complessità e delle fragilità che quest’ultima comporta, ma prende vita dalla necessità di un’azione educativa concreta in grado di fare i conti con la realtà.
Tale azione non può realizzarsi per mezzo di singole istituzioni, poiché l’educazione stessa, oltre ad essere un bisogno sempre più diffuso a livello sociale, risulta un processo talmente vasto per cui è richiesto l’impegno dell’intera comunità.
Fra i primi a teorizzarne la struttura e i principi fu la figura di Aldo Agazzi, il quale riconobbe nell’incontro intergenerazionale i presupposti di una nuova sfida della cittadinanza, destinata a promuovere una cultura di coesione e di unità all’interno di un sistema pluralista segnato dalla diversità.
Secondo queste condizioni, l’educazione agisce in qualità di tessitrice di relazioni complesse, per cui all’interno della società si articolano reti di appartenenza in grado di generare nuovi significati identitari[2].
Le motivazioni di un impegno per il bene comune portano a sperimentare creativamente un’idea comunitaria in cui ciascuno è chiamato ad assumere ruoli e compiti in funzione di un principio di continuità della cultura generativa.
Quest’ultima, si realizza esclusivamente attraverso un’attenta considerazione del singolo nella sua unicità e nell’idea di comunità come agente moltiplicatore di intenzionalità individuali e collettive.
L’azione educativa della comunità si configura dunque come una nuova scommessa educativa, per cui educare alla responsabilità, alla partecipazione e alla solidarietà richiede di ripensare i propri confini per coltivare un nuovo modello di generatività[3].
Raffaele Laporta definisce molto bene le caratteristiche di quest’ultima prospettiva. Un’infinita trama di contatti umani, una costante e generale acquisizione di esperienza, pervasa di gioia e di dolore, una saggezza maturata ad occhi aperti e intenti, traendo lezioni dalle azioni nostre e altrui: questo processo educativo natura, termine di paragone di quel rapporto di comunicazione intenzionale che l’uomo ha inventato per trasmettere da una generazione all’altra, da un gruppo sociale all’altro, ciò che chiamiamo civiltà[4].
Tale aspirazione avviene secondo un principio di continuità, per cui il processo educativo alla comunità appare perfettibile, dunque privo di alcuna soluzione definitiva e sempre al centro della discussione, del resto, la complessità richiede un pensiero flessibile e una struttura educativa altrettanto complessa[5].
I presupposti di realizzazione di quest’ultima affondano le proprie radici nella consapevolezza di predisporre contesti e possibilità all’interno delle quali ciascuno possa esprimere e valorizzare le proprie azioni, nella capacità di costruire riflessioni e domande attorno al tema delle vulnerabilità sociali, nell’azione preventiva di misure in grado di promuovere realtà di relazione e di appartenenza fino all’attivazione di servizi e risorse di supporto che possano prendersi cura di coloro che accettano di affidare i propri bisogni, i propri desideri e le proprie fragilità.
A fronte di questi requisiti è necessario formulare una piccola premessa: l’esercizio di costruzione della comunità educante non passa esclusivamente attraverso le azioni delle istituzioni bensì si concretizza in prima linea nel coinvolgimento delle persone, le quali si identificano come protagoniste del proprio cambiamento e come fautrici di un senso di appartenenza comunitario condiviso.
Del Gottardo definisce tale finalità con il termine di “empowerment comunitario”[6], evidenziando la necessità dei cittadini di assumersi responsabilità di carattere generativo, affinché si possano perseguire obiettivi con direzionalità plurali.
Ma quando avviene il processo di transizione intergenerazionale all’interno di questi impegni progettuali?
Le dinamiche del confronto intergenerazionale si muovono lungo una linea di tensione che passa attraverso il passato, presente e futuro, per cui il secondo rappresenta l’anello di congiunzione tra coloro che rappresentano il primo e coloro che assumono le prospettive del terzo.
La dimensione del presente si configura non solo come luogo d’incontro ma si realizza come tempo in cui costruire un’identità sociale.
Quest’ultima acquisisce rilievo nella capacità del soggetto di visualizzare prospettive future orientando le proprie scelte generative nel presente.
La predisposizione al futuro appare un’attitudine sempre più difficile da realizzare, a causa di fragilità legate all’esposizione ad eventuali rischi e alla consapevolezza di un paradigma d’incertezza.
È inoltre inevitabile affermare quanto arrendersi a queste ultime conseguenze della complessità possa tradursi in un gesto di rifiuto del futuro in grado di annullare ogni possibilità di progetto e transizione.
Sempre Del Gottardo riconosce nella capacità di fare progetti il requisito necessario di una comunità per connettere le generazioni, per cui l’esperienza dell’incontro possa dare vita ad un atteggiamento di presunta sicurezza e positività che sappiano reggere il contrasto con le precarietà e le contraddizioni della vita[7].
Del resto, la consapevolezza dell’incertezza dovrebbe presumibilmente rendere più evidenti il bisogno di riconoscimento e la necessità di sentirsi coinvolti all’interno di una dimensione che garantisca accoglienza e solidità.
A questi principi Erickson aggiunge quello della fiducia nel tempo[8], senza la quale non sarebbe possibile esplorare e coltivare le proiezioni future delle generazioni che vivono il presente come tempo di transizione.
La cultura della comunità educante raccoglie tutto questo e appare per molte realtà il punto di partenza nella programmazione delle politiche sociali.
I requisiti di realizzazione sono la capacità di abitare la complessità e la propensione a tessere reti di collaborazione affinché si possano promuovere buone pratiche di relazione e di riconoscimento reciproco.
Quest’ultimo incide in maniera particolare sulla progettazione, in quanto la possibilità di conoscere i bisogni della persona favorisce importanti informazioni circa l’investimento in nuove opportunità di servizio o ancora meglio offrono una direzionalità nel potenziamento delle realtà già presenti.
In tal senso, la qualità degli interventi non solo agisce in termini di personalizzazione, ma allo stesso tempo si impegna potenzialmente a soddisfare i bisogni espressi.
In questo modo la progettazione pedagogica e l’agire educativo assumono una connotazione trasformativa per cui l’esperienza, la partecipazione e l’ascolto divengono risorsa efficace per fornire a loro volta strumenti in grado di garantire una condizione di benessere comune.
Una comunità tendente a perseguire la propria vocazione educante agisce in funzione delle fragilità del contesto in cui si trova: un’azione educativa si rivela infatti una soluzione efficace solo nel momento in cui quest’ultima è in grado di ripensare i problemi.
Tale funzione avviene attraverso un ridimensionamento dello spazio, all’interno del quale le contraddizioni lasciano spazio ad un’azione di condivisione di significati non frammentati.
Per farlo occorre una messa in comune, capace di intrecciare sguardi generazionali differenti, che sappiano nella sospensione e nella conflittualità delle relazioni intergenerazionali intrecciare uno sguardo collaborativo.
In questo modo, l’azione di ripensare i problemi avviene grazie alla visualizzazione più completa della realtà sociale di cui è possibile osservarne le fatiche secondo prospettive differenti ma anche secondo sguardi alternativi.
Uno sguardo alternativo è quello orientato alla possibilità, ad un’immagine che possa impattare la consapevolezza d’agire nella comunità, senza il quale non sarebbe possibile realizzare quello che Azzolari e Zappella definiscono come la capacità di pensare il “possibile impensato”[9].
Ciò che si presenta altrettanto possibilmente impensato è la necessità di costruire alleanze attraverso un lavoro di riqualificazione delle pratiche delle narrazioni, come strumento e come struttura in grado di connettere generazioni interrotte per mezzo del valore dell’esperienza.
Lo stesso Bateson scrisse che “gli essere umani pensano per storie”[10], riconoscendo nel dialogo intergenerazionale la possibilità di trovare non solo un vincolo di appartenenza identitaria, ma stabilisce un’importante punto di comprensione.
All’interno di questa dinamica d’intesa ciascun soggetto attribuisce significato al proprio essere frutto di esperienze, orientando il dialogo reciproco verso la conoscenza e le relazioni.
Oltre a favorire un processo di contaminazione fra le generazioni, la narrazione rappresenta un modello di scambio, poiché ciascun racconto, se accompagnato da un ascolto attivo diventa frutto di co-costruzione e co-significazione della realtà.
La comunità educante è chiamata a rinnovare una promessa di ricerca e di dialogo educativo fra le parti, affinché ciascuna possa abbandonare la propria autoreferenzialità e disporsi all’esercizio di azioni generative con l’altro, sostenendo la relazione attraverso interventi ed esperienze di interdipendenza, condivisione e cooperazione sul territorio.

Epistemologia della comunità educante

La comunità educante si definisce come una realtà in cui partecipazione e condivisione agiscono in funzione di iniziative educative a sostegno della reciprocità relazionale tra individuo e comunità .
L’urgenza di tale predisposizione non solo nasce dalla consapevolezza della complessità e delle fragilità che quest’ultima comporta, ma prende vita dalla necessità di un’azione educativa concreta in grado di fare i conti con la realtà.
Tale azione non può realizzarsi per mezzo di singole istituzioni, poiché l’educazione stessa, oltre ad essere un bisogno sempre più diffuso a livello sociale, risulta un processo talmente vasto per cui è richiesto l’impegno dell’intera comunità.
Fra i primi a teorizzarne la struttura e i principi fu la figura di Aldo Agazzi, il quale riconobbe nell’incontro intergenerazionale i presupposti di una nuova sfida della cittadinanza, destinata a promuovere una cultura di coesione e di unità all’interno di un sistema pluralista segnato dalla diversità.
Secondo queste condizioni, l’educazione agisce in qualità di tessitrice di relazioni complesse, per cui all’interno della società si articolano reti di appartenenza in grado di generare nuovi significati identitari .
Le motivazioni di un impegno per il bene comune portano a sperimentare creativamente un’idea comunitaria in cui ciascuno è chiamato ad assumere ruoli e compiti in funzione di un principio di continuità della cultura generativa.
Quest’ultima, si realizza esclusivamente attraverso un’attenta considerazione del singolo nella sua unicità e nell’idea di comunità come agente moltiplicatore di intenzionalità individuali e collettive.
L’azione educativa della comunità si configura dunque come una nuova scommessa educativa, per cui educare alla responsabilità, alla partecipazione e alla solidarietà richiede di ripensare i propri confini per coltivare un nuovo modello di generatività .
Raffaele Laporta definisce molto bene le caratteristiche di quest’ultima prospettiva:

Un’infinita trama di contatti umani, una costante e generale acquisizione di esperienza, pervasa di gioia e di dolore, una saggezza maturata ad occhi aperti e intenti, traendo lezioni dalle azioni nostre e altrui: questo processo educativo natura, termine di paragone di quel rapporto di comunicazione intenzionale che l’uomo ha inventato per trasmettere da una generazione all’altra, da un gruppo sociale all’altro, ciò che chiamiamo civiltà .

Tale aspirazione avviene secondo un principio di continuità, per cui il processo educativo alla comunità appare perfettibile, dunque privo di alcuna soluzione definitiva e sempre al centro della discussione, del resto, la complessità richiede un pensiero flessibile e una struttura educativa altrettanto complessa .
I presupposti di realizzazione di quest’ultima affondano le proprie radici nella consapevolezza di predisporre contesti e possibilità all’interno delle quali ciascuno possa esprimere e valorizzare le proprie azioni, nella capacità di costruire riflessioni e domande attorno al tema delle vulnerabilità sociali, nell’azione preventiva di misure in grado di promuovere realtà di relazione e di appartenenza fino all’attivazione di servizi e risorse di supporto che possano prendersi cura di coloro che accettano di affidare i propri bisogni, i propri desideri e le proprie fragilità.
A fronte di questi requisiti è necessario formulare una piccola premessa: l’esercizio di costruzione della comunità educante non passa esclusivamente attraverso le azioni delle istituzioni bensì si concretizza in prima linea nel coinvolgimento delle persone, le quali si identificano come protagoniste del proprio cambiamento e come fautrici di un senso di appartenenza comunitario condiviso.
Del Gottardo definisce tale finalità con il termine di “empowerment comunitario” , evidenziando la necessità dei cittadini di assumersi responsabilità di carattere generativo, affinché si possano perseguire obiettivi con direzionalità plurali.
Ma quando avviene il processo di transizione intergenerazionale all’interno di questi impegni progettuali?
Le dinamiche del confronto intergenerazionale si muovono lungo una linea di tensione che passa attraverso il passato, presente e futuro, per cui il secondo rappresenta l’anello di congiunzione tra coloro che rappresentano il primo e coloro che assumono le prospettive del terzo.
La dimensione del presente si configura non solo come luogo d’incontro ma si realizza come tempo in cui costruire un’identità sociale.
Quest’ultima acquisisce rilievo nella capacità del soggetto di visualizzare prospettive future orientando le proprie scelte generative nel presente.
La predisposizione al futuro appare un’attitudine sempre più difficile da realizzare, a causa di fragilità legate all’esposizione ad eventuali rischi e alla consapevolezza di un paradigma d’incertezza.
È inoltre inevitabile affermare quanto arrendersi a queste ultime conseguenze della complessità possa tradursi in un gesto di rifiuto del futuro in grado di annullare ogni possibilità di progetto e transizione.
Sempre Del Gottardo riconosce nella capacità di fare progetti il requisito necessario di una comunità per connettere le generazioni, per cui l’esperienza dell’incontro possa dare vita ad un atteggiamento di presunta sicurezza e positività che sappiano reggere il contrasto con le precarietà e le contraddizioni della vita .
Del resto, la consapevolezza dell’incertezza dovrebbe presumibilmente rendere più evidenti il bisogno di riconoscimento e la necessità di sentirsi coinvolti all’interno di una dimensione che garantisca accoglienza e solidità.
A questi principi Erickson aggiunge quello della fiducia nel tempo , senza la quale non sarebbe possibile esplorare e coltivare le proiezioni future delle generazioni che vivono il presente come tempo di transizione.
La cultura della comunità educante raccoglie tutto questo e appare per molte realtà il punto di partenza nella programmazione delle politiche sociali.
I requisiti di realizzazione sono la capacità di abitare la complessità e la propensione a tessere reti di collaborazione affinché si possano promuovere buone pratiche di relazione e di riconoscimento reciproco.
Quest’ultimo incide in maniera particolare sulla progettazione, in quanto la possibilità di conoscere i bisogni della persona favorisce importanti informazioni circa l’investimento in nuove opportunità di servizio o ancora meglio offrono una direzionalità nel potenziamento delle realtà già presenti.
In tal senso, la qualità degli interventi non solo agisce in termini di personalizzazione, ma allo stesso tempo si impegna potenzialmente a soddisfare i bisogni espressi.
In questo modo la progettazione pedagogica e l’agire educativo assumono una connotazione trasformativa per cui l’esperienza, la partecipazione e l’ascolto divengono risorsa efficace per fornire a loro volta strumenti in grado di garantire una condizione di benessere comune.
Una comunità tendente a perseguire la propria vocazione educante agisce in funzione delle fragilità del contesto in cui si trova: un’azione educativa si rivela infatti una soluzione efficace solo nel momento in cui quest’ultima è in grado di ripensare i problemi.
Tale funzione avviene attraverso un ridimensionamento dello spazio, all’interno del quale le contraddizioni lasciano spazio ad un’azione di condivisione di significati non frammentati.
Per farlo occorre una messa in comune, capace di intrecciare sguardi generazionali differenti, che sappiano nella sospensione e nella conflittualità delle relazioni intergenerazionali intrecciare uno sguardo collaborativo.
In questo modo, l’azione di ripensare i problemi avviene grazie alla visualizzazione più completa della realtà sociale di cui è possibile osservarne le fatiche secondo prospettive differenti ma anche secondo sguardi alternativi.
Uno sguardo alternativo è quello orientato alla possibilità, ad un’immagine che possa impattare la consapevolezza d’agire nella comunità, senza il quale non sarebbe possibile realizzare quello che Azzolari e Zappella definiscono come la capacità di pensare il “possibile impensato” .
Ciò che si presenta altrettanto possibilmente impensato è la necessità di costruire alleanze attraverso un lavoro di riqualificazione delle pratiche delle narrazioni, come strumento e come struttura in grado di connettere generazioni interrotte per mezzo del valore dell’esperienza.
Lo stesso Bateson scrisse che “gli essere umani pensano per storie” , riconoscendo nel dialogo intergenerazionale la possibilità di trovare non solo un vincolo di appartenenza identitaria, ma stabilisce un’importante punto di comprensione.
All’interno di questa dinamica d’intesa ciascun soggetto attribuisce significato al proprio essere frutto di esperienze, orientando il dialogo reciproco verso la conoscenza e le relazioni.
Oltre a favorire un processo di contaminazione fra le generazioni, la narrazione rappresenta un modello di scambio, poiché ciascun racconto, se accompagnato da un ascolto attivo diventa frutto di co-costruzione e co-significazione della realtà.
La comunità educante è chiamata a rinnovare una promessa di ricerca e di dialogo educativo fra le parti, affinché ciascuna possa abbandonare la propria autoreferenzialità e disporsi all’esercizio di azioni generative con l’altro, sostenendo la relazione attraverso interventi ed esperienze di interdipendenza, condivisione e cooperazione sul territorio.

Epistemologia della comunità educante

La comunità educante si definisce come una realtà in cui partecipazione e condivisione agiscono in funzione di iniziative educative a sostegno della reciprocità relazionale tra individuo e comunità .
L’urgenza di tale predisposizione non solo nasce dalla consapevolezza della complessità e delle fragilità che quest’ultima comporta, ma prende vita dalla necessità di un’azione educativa concreta in grado di fare i conti con la realtà.
Tale azione non può realizzarsi per mezzo di singole istituzioni, poiché l’educazione stessa, oltre ad essere un bisogno sempre più diffuso a livello sociale, risulta un processo talmente vasto per cui è richiesto l’impegno dell’intera comunità.
Fra i primi a teorizzarne la struttura e i principi fu la figura di Aldo Agazzi, il quale riconobbe nell’incontro intergenerazionale i presupposti di una nuova sfida della cittadinanza, destinata a promuovere una cultura di coesione e di unità all’interno di un sistema pluralista segnato dalla diversità.
Secondo queste condizioni, l’educazione agisce in qualità di tessitrice di relazioni complesse, per cui all’interno della società si articolano reti di appartenenza in grado di generare nuovi significati identitari .
Le motivazioni di un impegno per il bene comune portano a sperimentare creativamente un’idea comunitaria in cui ciascuno è chiamato ad assumere ruoli e compiti in funzione di un principio di continuità della cultura generativa.
Quest’ultima, si realizza esclusivamente attraverso un’attenta considerazione del singolo nella sua unicità e nell’idea di comunità come agente moltiplicatore di intenzionalità individuali e collettive.
L’azione educativa della comunità si configura dunque come una nuova scommessa educativa, per cui educare alla responsabilità, alla partecipazione e alla solidarietà richiede di ripensare i propri confini per coltivare un nuovo modello di generatività .
Raffaele Laporta definisce molto bene le caratteristiche di quest’ultima prospettiva:

Un’infinita trama di contatti umani, una costante e generale acquisizione di esperienza, pervasa di gioia e di dolore, una saggezza maturata ad occhi aperti e intenti, traendo lezioni dalle azioni nostre e altrui: questo processo educativo natura, termine di paragone di quel rapporto di comunicazione intenzionale che l’uomo ha inventato per trasmettere da una generazione all’altra, da un gruppo sociale all’altro, ciò che chiamiamo civiltà .

Tale aspirazione avviene secondo un principio di continuità, per cui il processo educativo alla comunità appare perfettibile, dunque privo di alcuna soluzione definitiva e sempre al centro della discussione, del resto, la complessità richiede un pensiero flessibile e una struttura educativa altrettanto complessa .
I presupposti di realizzazione di quest’ultima affondano le proprie radici nella consapevolezza di predisporre contesti e possibilità all’interno delle quali ciascuno possa esprimere e valorizzare le proprie azioni, nella capacità di costruire riflessioni e domande attorno al tema delle vulnerabilità sociali, nell’azione preventiva di misure in grado di promuovere realtà di relazione e di appartenenza fino all’attivazione di servizi e risorse di supporto che possano prendersi cura di coloro che accettano di affidare i propri bisogni, i propri desideri e le proprie fragilità.
A fronte di questi requisiti è necessario formulare una piccola premessa: l’esercizio di costruzione della comunità educante non passa esclusivamente attraverso le azioni delle istituzioni bensì si concretizza in prima linea nel coinvolgimento delle persone, le quali si identificano come protagoniste del proprio cambiamento e come fautrici di un senso di appartenenza comunitario condiviso.
Del Gottardo definisce tale finalità con il termine di “empowerment comunitario” , evidenziando la necessità dei cittadini di assumersi responsabilità di carattere generativo, affinché si possano perseguire obiettivi con direzionalità plurali.
Ma quando avviene il processo di transizione intergenerazionale all’interno di questi impegni progettuali?
Le dinamiche del confronto intergenerazionale si muovono lungo una linea di tensione che passa attraverso il passato, presente e futuro, per cui il secondo rappresenta l’anello di congiunzione tra coloro che rappresentano il primo e coloro che assumono le prospettive del terzo.
La dimensione del presente si configura non solo come luogo d’incontro ma si realizza come tempo in cui costruire un’identità sociale.
Quest’ultima acquisisce rilievo nella capacità del soggetto di visualizzare prospettive future orientando le proprie scelte generative nel presente.
La predisposizione al futuro appare un’attitudine sempre più difficile da realizzare, a causa di fragilità legate all’esposizione ad eventuali rischi e alla consapevolezza di un paradigma d’incertezza.
È inoltre inevitabile affermare quanto arrendersi a queste ultime conseguenze della complessità possa tradursi in un gesto di rifiuto del futuro in grado di annullare ogni possibilità di progetto e transizione.
Sempre Del Gottardo riconosce nella capacità di fare progetti il requisito necessario di una comunità per connettere le generazioni, per cui l’esperienza dell’incontro possa dare vita ad un atteggiamento di presunta sicurezza e positività che sappiano reggere il contrasto con le precarietà e le contraddizioni della vita .
Del resto, la consapevolezza dell’incertezza dovrebbe presumibilmente rendere più evidenti il bisogno di riconoscimento e la necessità di sentirsi coinvolti all’interno di una dimensione che garantisca accoglienza e solidità.
A questi principi Erickson aggiunge quello della fiducia nel tempo , senza la quale non sarebbe possibile esplorare e coltivare le proiezioni future delle generazioni che vivono il presente come tempo di transizione.
La cultura della comunità educante raccoglie tutto questo e appare per molte realtà il punto di partenza nella programmazione delle politiche sociali.
I requisiti di realizzazione sono la capacità di abitare la complessità e la propensione a tessere reti di collaborazione affinché si possano promuovere buone pratiche di relazione e di riconoscimento reciproco.
Quest’ultimo incide in maniera particolare sulla progettazione, in quanto la possibilità di conoscere i bisogni della persona favorisce importanti informazioni circa l’investimento in nuove opportunità di servizio o ancora meglio offrono una direzionalità nel potenziamento delle realtà già presenti.
In tal senso, la qualità degli interventi non solo agisce in termini di personalizzazione, ma allo stesso tempo si impegna potenzialmente a soddisfare i bisogni espressi.
In questo modo la progettazione pedagogica e l’agire educativo assumono una connotazione trasformativa per cui l’esperienza, la partecipazione e l’ascolto divengono risorsa efficace per fornire a loro volta strumenti in grado di garantire una condizione di benessere comune.
Una comunità tendente a perseguire la propria vocazione educante agisce in funzione delle fragilità del contesto in cui si trova: un’azione educativa si rivela infatti una soluzione efficace solo nel momento in cui quest’ultima è in grado di ripensare i problemi.
Tale funzione avviene attraverso un ridimensionamento dello spazio, all’interno del quale le contraddizioni lasciano spazio ad un’azione di condivisione di significati non frammentati.
Per farlo occorre una messa in comune, capace di intrecciare sguardi generazionali differenti, che sappiano nella sospensione e nella conflittualità delle relazioni intergenerazionali intrecciare uno sguardo collaborativo.
In questo modo, l’azione di ripensare i problemi avviene grazie alla visualizzazione più completa della realtà sociale di cui è possibile osservarne le fatiche secondo prospettive differenti ma anche secondo sguardi alternativi.
Uno sguardo alternativo è quello orientato alla possibilità, ad un’immagine che possa impattare la consapevolezza d’agire nella comunità, senza il quale non sarebbe possibile realizzare quello che Azzolari e Zappella definiscono come la capacità di pensare il “possibile impensato” .
Ciò che si presenta altrettanto possibilmente impensato è la necessità di costruire alleanze attraverso un lavoro di riqualificazione delle pratiche delle narrazioni, come strumento e come struttura in grado di connettere generazioni interrotte per mezzo del valore dell’esperienza.
Lo stesso Bateson scrisse che “gli essere umani pensano per storie” , riconoscendo nel dialogo intergenerazionale la possibilità di trovare non solo un vincolo di appartenenza identitaria, ma stabilisce un’importante punto di comprensione.
All’interno di questa dinamica d’intesa ciascun soggetto attribuisce significato al proprio essere frutto di esperienze, orientando il dialogo reciproco verso la conoscenza e le relazioni.
Oltre a favorire un processo di contaminazione fra le generazioni, la narrazione rappresenta un modello di scambio, poiché ciascun racconto, se accompagnato da un ascolto attivo diventa frutto di co-costruzione e co-significazione della realtà.
La comunità educante è chiamata a rinnovare una promessa di ricerca e di dialogo educativo fra le parti, affinché ciascuna possa abbandonare la propria autoreferenzialità e disporsi all’esercizio di azioni generative con l’altro, sostenendo la relazione attraverso interventi ed esperienze di interdipendenza, condivisione e cooperazione sul territorio.

NOTE BIBLIOGRAFICHE
[1] E. Del Gottardo, Comunità educante, apprendimento esperienziale, comunità competente, Giapeto Editore, Napoli, 2016, p. 8;
[2] G. Vico, A. Agazzi, L’amore per l’uomo e per la teoresi pedagogica, Convegno di studio nel centenario della nascita (1906 – 2006), V&P, Milano, 2008, pp. 106-136;
[3] Ibidem.
[4] R. Laporta, La difficile scommessa, La Nuova Italia, Firenze, 1971, p. 3;
[5] In questo caso il termine “struttura educativa complessa” è da intendere come il frutto dell’intreccio di sistemi di reti educative in grado di collaborare reciprocamente in prospettiva ad obiettivi comuni.
[6] E. Del Gottardo, Comunità educante, apprendimento esperienziale, comunità competente, Giapeto Editore, Napoli, 2016, p. 23;
[7] Ivi. p. 38.
[8] H. E. Erickson, Gioventù e crisi d’identità, Armando, Roma, 1995, p. 33.
[9] B. Azzolari, E. Zappella, Oratori e alleanze territoriali, nuove sfide per una comunità educante, “Research and Educational Processes”, 18, 3, 2020;
[10] G. Bateson, Mente e Natura, Adelphi, Milano, 1984, p. 28.