Di cosa ci parla la “famiglia nel bosco”

Di Dafne Guida

 

«I tuoi figli non sono figli tuoi, sono figli e figlie della vita stessa.
Tu li metti al mondo, ma non li crei. Sono vicini a te, ma non sono cosa tua.
Puoi dar loro tutto il tuo amore, ma non le tue idee, perché essi hanno le loro proprie idee.
Tu puoi dare loro dimora al loro corpo, non alla loro anima, perché la loro anima abita nella casa dell’avvenire, dove a te non è dato entrare, neppure col sogno.
Puoi cercare di somigliare a loro, ma non volere che essi somiglino a te, perché la vita non ritorna indietro e non si ferma a ieri.
Tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani…».

(Kahlil Gibran)

La Costituzione italiana riconosce che i bambini hanno il diritto a essere protetti, educati e sostenuti e lo Stato deve poter intervenire per garantire questi diritti quando la famiglia da sola non basta. D’altra parte lo stesso Stato non può e non deve imporre rigidamente come dobbiamo vivere, né tantomeno sostituirsi alle scelte familiari in modo autoritario.
E dunque eccoci qui: nel dialogo tra individuo e società, tra natura e cultura, tra scelta individuale e rispetto delle regole, tra famiglia e Stato. Ancora una volta il pretesto è la vicenda della famiglia nel bosco. In me vive la voce di Henry David Thoreau, simbolo di libertà e autenticità, che ci invita a resistere a qualsiasi imposizione ingiusta e a scegliere la nostra vita con coscienza, rispettando al contempo le regole necessarie per la convivenza. La mia posizione è chiaramente dialogica: non sono un giudice (per mia fortuna) ma un facilitatore del confronto, un cercatore di integrazione tra le diverse prospettive, tra ciò che la famiglia dice e ciò che lo Stato propone. Ricordo con affetto un quadro sopra il mio letto da bambina, con una poesia di Khalil Gibran che chiamava le figlie e i figli «frecce vive della vita stessa»: nessun possesso né proprietà, ma spiriti liberi da accompagnare nel loro volo. Questo ricordo personale per me è un faro che guida il mio pensiero: i figli non appartengono ai genitori, ma al mondo, e il nostro compito è proteggerli e prepararli senza imprigionarli, insegnando loro fin da piccoli che esiste l’altro, un altro da sé diverso dalla propria famiglia, e che nell’incontro con questo altro si genera apprendimento autentico, empatia e crescita condivisa.

Nel caso della “famiglia nel bosco”, la questione è complessa e delicata: lo Stato interviene per tutelare i bambini quando sussistono evidenti rischi per la loro salute, igiene e socialità, ma ciò deve essere fatto con la massima attenzione, cercando il dialogo con i genitori e i servizi, non con misure improvvise che rischiano di strappare vite anziché proteggerle, e valorizzando proprio l’opportunità per i piccoli di scoprire il mondo oltre il bosco familiare attraverso relazioni esterne che arricchiscano il loro orizzonte. Credo fermamente che educazione scolastica e familiare non siano alternative, ma elementi da integrare profondamente; la scuola non deve sostituirsi alla famiglia, ma dialogare con essa per offrire ai bambini un ambiente coerente in cui crescere, socializzare e sviluppare competenze, imparando a riconoscere e abbracciare la diversità dell’altro come fonte di reciproco arricchimento. Questo approccio di integrazione fra sistemi, di ascolto reale, è il modo migliore per rispettare le autonomie familiari e garantire al contempo i diritti dei minori, evitando polarizzazioni e giudizi precostituiti. In conclusione, la mia posizione è un invito a un confronto aperto, rispettoso e costruttivo, dove le regole dello Stato non soffocano le scelte personali, ma si armonizzano con le vite e le libertà dei singoli, riconoscendo la famiglia come un bosco ricco di diversità e potenziale, da proteggere con cura e responsabilità, non da controllare con autoritarismo, e preparando i bambini a volare nel mondo con ali aperte all’incontro e all’apprendimento dall’altro.

 

IMMAGINE: © iStock.com/DmitryBairachnyi

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