Cittadini dalla nascita

Secondo il Ministro della Solidarietà Sociale, Turco, la nostra è una delle legislazioni fra le più avanzate. E’ d’accordo Livia Pomodoro, Presidente del Tribunale per minorenni, di Milano. “Una legislazione – sostiene – si può verificare se è in linea con la realtà per la quale è stata messa in campo attraverso la coerenza e l’adeguamento della stessa alle convenzioni pattizie internazionali, come la Convenzione dei Diritti del Minore che è dell’89, ratificata in Italia nel ’91, ispirata ad una serie di principi rispetto ai quali non si può certo dire che la nostra legislazione sia indietro. Questa si è strutturata nel tempo ed ha messo in campo una cultura specifica in relazione agli interessi ed ai diritti dei minori, intesi come soggetti di diritto; principio che risale per la verità alla prima legge sulle adozioni che fu introdotta in Italia nel 1967.

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Poi ci sono state la riforma del Diritto di Famiglia, del ’75, la legge 184 del 1983, sull’adozione e le disposizioni relative alle donne lavoratrici in maternità, gli aiuti alla famiglia attraverso le diverse leggi statali che si sono succedute, la stessa ultima, recentissima legge di ratifica della Convenzione dell’Aja in materia di adozione internazionale. Naturalmente tutte queste leggi fanno riferimento specifico ai diritti fondamentali da tutelare, come previsto nella Convenzione dei Diritti del Minore. La nostra legislazione ha implementato tutti i principi fondamentali di carattere generale. C’è, sicuramente, ancora molto da lavorare, perché i diritti possono essere individuati e tutelati, attraverso le leggi, ma devono essere agiti
e l’azione passa attraverso un sistema amministrativo-sociale, che ancora rivela delle gravi carenze.”

Quali sono le problematiche più rilevanti?

Direi che, da un lato, il sistema amministrativo-sociale è in affanno e che il ridisegno dello stato assistenziale non è ancora compiuto. Per esempio, non c’è ancora la legge quadro sull’assistenza. Ho l’impressione che in questi anni sia andato un po’ affievolendosi l’impegno professionale forte che è richiesto agli organismi sociali. Vedo una continua delega da parte delle amministrazioni al privato sociale; ma se si tratta di un privato sociale senza regole, che non viene adeguatamente controllato e che non persegue politiche che sono già state ben individuate dagli enti di riferimento, ho l’impressione che il rischio sia quello di diventare una specie di Far West, nel quale ci saranno luoghi, più o meno coperti, d’intervento amministrativo-sociale. Dall’altrta parte, il discorso sulla capacità della società di richiedere che i diritti fondamentali vengano sempre e comunque agiti in maniera corretta implica che la società stessa ne senta l’esigenza. Da questo punto di vista, credo che si parli molto di cultura dell’infanzia, ma che ci sia anche un po’ di confusione sul suo significato. Ho soprattutto, però, l’impressione che, come quasi sempre accade nel nostro Paese, ci sia una proliferazione delle parole a scapito degli agiti coerenti.

A cosa si riferisce quando sostiene che ci sia un po’ di confusione riguardo la cultura dell’infanzia?

Oggi non vedo nessuno che non dica che i bambini devono essere protetti e garantiti in tutte le loro espressioni. Ma vedo, al tempo stesso, la grande confusione, per esempio, sul sistema adottivo, la contrapposizione tra gli egoismi degli adulti e le esigenze dei bambini. Mi sembra che sia, in fondo, la contraddizione di una società non particolarmente protesa ai valori della solidarietà, ma piuttosto alla rivendicazione del benessere individuale. Penso, per esempio, al grande dibattito sulla fecondazione assistita, sull’utero in affitto, alle confusioni che molti fanno quando si accostano ai temi dell’adozione. Che senso ha, infatti, parlare di cultura dell’infanzia quando l’adozione non viene vista come disponibilità di accoglienza di un minore, che non ha una sua famiglia, ma come rimedio all’infertilità della coppia. Credo che sia una distorsione, dal punto di vista mentale e culturale, sulla quale poi si fonda un vero e proprio sistema, che non mi pare tuteli l’interesse del soggetto bambino.

A proposito di adozioni, lei ritiene opportuno – sulla scia di una recente sentenza della Cassazione – elevare il limite di età per le adozioni?

Il caso di cui si è occupata la Cassazione è un caso assolutamente abnorme ed eccezionale, sul quale ovviamente non faccio commenti perché resta relegato in quell’ambito specifico. Per quanto riguarda l’elevazione dell’età dei coniugi che aspirano all’adozione, anche questo va inteso nell’ottica del soddisfacimento più di un’esigenza adulta che non del bambino. Credo che sia stata saggia la scelta fatta dalla commissione parlamentare di elevare l’età fino al quarantacinquesimo anno di differenza. Oltre, francamente, non andrei, ma direi che anche questo dibattito mi appassiona relativamente poco, se non per sottolineare ancora una volta che, non solo ci sono delle controindicazioni, perché i bambini più grandi resterebbero negli istituti e di loro non ci si occuperebbe più, ma che ciò dimostri ancora la contraddizione tra il significato dell’istituto dell’adozione e l’uso che si predende di farne.

Parlando, appunto, di egoismi degli adulti contrapposti ai bisogni dei bambini, nel momento in cui sta mutando struttura familiare – penso, per esempio, alle cosiddette famiglie allargate – come pensa debba essere rimodulato l’impegno educativo?

Credo che, innanzitutto, vada premiata la chiarezza nei rapporti. Un bambino deve sapere che il suo papà e la sua mamma, anche se non stanno più insieme, restano sempre le figure genitoriali di riferimento, che sono anche e soprattutto figure educative. Questo è il presupposto di base perché un ragazzo, un giovane possa affacciarsi con buone possibilità alla realtà degli adulti, alla società civile. Credo che, quindi, poiché le famiglie allargate sono ineludibili nella nostra società, vadano, però, salvaguardati i rapporti familiari con entrambi i genitori, tenendo conto, comunque, che anche la famiglia allargata può essere una risorsa, nel senso che se s’instaurano dei buoni rapporti fra tutti i membri, ciò può costituire un arricchimento nei limiti in cui si sappia trasmettere qualcosa. Resto, in ogni caso, del parere che il bambino è titolare di un suo diritto di appartenenza, che va salvaguardato anche quando le famiglie non sono più coese, senza, tuttavia, criminalizzare tutto quello che può esserci di nuovo e di diverso intorno. Non è compito facile, ma certamente deve essere un obiettivo da perseguire.

Restando nell’ambito del ruolo sociale, quella “cittadinanza attiva” dei minori, di cui parla il Ministro della Solidarietà Sociale, le sembra possa realizzarsi allo stato attuale?

Credo che ci sia da fare un grande lavoro di riqualificazione professionale. Dico molto francamente che non sono favorevole a tutti questi corsi di formazione più o meno specifica che vengono messi sul mercato, qualche volta credo anche strumentalmente, per creare occupazione. Credo che vada fatta una grande riflessione sulle figure professionali e sulla loro capacità di adeguamento. Faccio un esempio: chi intraprende la strada di educatore sociale deve avere un suo patrimonio di capacità professionale molto alto e significativo. Con questo non voglio dire che solo i laureati debbano poter svolgere alcune funzioni. Penso però che vada prestata una forte attenzione alla costruzione di professionalità adeguate alle singole esigenze e questo è non solo una garanzia per tutti, ma soprattutto per il minore che si trovi in condizione di dover essere aiutato.

Il ruolo della società è anche il ruolo svolto dai media. La televisione è spesso sul banco degli imputati. Pensa che siano davvero necessarie nuove misure a garanzia della qualità dei programmi o, forse, basterebbe semplicemente applicare le leggi vigenti in materia?

Credo che ci sia una normativa che può essere adeguatamente utilizzata purché in maniera intelligente, facendo buon uso dei sistemi e dei mezzi che sono già a nostra disposizione. Penso che il problema sia quello di ottenere che chi si occupa di questi problemi, attraverso i media, abbia anche la capacità, magari affinata attraverso un’ulteriore professionalizzazione, di occuparsi in maniera adeguata di questi problemi. Bisogna stare molto attenti a quello che si fa ed a come si danno alcune notizie, perché è evidente che i messaggi che passano attraverso i mezzi di comunicazione sono messaggi forti, che possono anche essere dannosi se non ben calibrati. Detto questo, direi che esiste il dovere di privatezza e di riservatezza sul mondo dell’infanzia, su cui andrebbe prestata un’attenzione ulteriore. Con questo non voglio dire che non si possano e non si debbano criticare le decisioni dei giudici o conoscere le storie che riguardano i minori, ma che bisognerebbe farlo con un’attenzione che oggi non vedo.

Anche Internet – come hanno dimostrato recenti fatti di cronaca – si è dimostrato un pericoloso veicolo d’illegalità. Pensa siano necessari dei filtri, come propone Umberto Eco?

Sono d’accordo con Eco, anche perché i filtri non costituirebbero un sistema censorio. Penso, infatti, che gli strumenti restino strumenti e che il loro utilizzo non vada tanto regolamentato per legge, ma che vada insegnato e debba autocontrollarsi perché non faccia danno. Non credo alle censure globali, complessive. Credo, poi, che anche questo argomento rappresenti la più palese contraddizione tra la tutela dell’infanzia, di cui tanto si parla e straparla, ed i comportamenti quotidiani.

Gli organi d’informazione, secondo lei, hanno cercato in questi anni di modificare la tendenza in base alla quale si parla sempre dei problemi dei minori, interrogando gli adulti ma sfruttando poco la possibilità d’interrogare i diretti interessati?

Non sono d’accordo con l’idea del bambino adultizzato. Credo, intanto, che gli adulti abbiano delle responsabilità educative e che le debbano far valere. Non c’è dubbio che gli adulti debbano semmai interrogarsi più approfonditamente sulla loro capacità educativa e di trasmissione dei messaggi. Non credo al bambino sindaco, alle giunte giovanilistiche. Credo che siano uno scimmiottamento poco educativo del comportamento degli adulti e non penso che
questo giovi ai ragazzi. Lasciamo loro il diritto alla fantasia ed alla creatività, che non possono essere inscatolate nelle piccole e spesso meschine regole burocratiche che gli adulti si sono costruite.