I più piccoli nella nostra società
Come vivono i più piccoli nella nostra società? Quali sono i bisogni delle famiglie che si confrontano con l’esperienza di crescere un bambino? Per rispondere a queste domande è stata realizzata presso l’Università degli Studi di Milano una ricerca qualitativa rivolta alle famiglie con bambini in età compresa tra zero e tre anni. L’indagine si è svolta grazie alla collaborazione dell’Amministrazione Comunale di Garbagnate Milanese, da anni impegnata in un intervento di promozione dei servizi che ha portato alla realizzazione di due asili nido e di due strutture
– Giocabimbi e Artebimbo – che rientrano nelle nuove tipologie di servizi per la prima infanzia.
Il campione della ricerca è composto da 60 famiglie e rappresenta poco più del 10% dei bambini nati negli anni 1994/96 non frequentanti i servizi educativi. I dati e le informazioni sono stati raccolti con una serie di interviste semi-strutturate che si rifanno alla metodologia del colloquio non direttivo (Rogers, 1970). La ricerca ha analizzato le soluzioni di cura private e la qualità del tempo di vita quotidiano dei bambini attraverso una serie di informazioni riguardanti le attività, le persone che le popolano, le esperienze che le arricchiscono. Inoltre, sono state rilevate le esigenze delle famiglie con bambini piccoli con particolare riferimento al livello di conoscenza ed al bisogno di servizi.
Le soluzioni di cura private
Su un campione di 60 famiglie ben il 38,3% dei bambini piccoli è curato dalla propria madre mentre i restanti sono affidati ai nonni (il 46,7%) o alla baby-sitter (il 15%). I dati relativi alla composizione familiare evidenziano che le caratteristiche socio-economiche e demografiche della famiglia differenziano la soluzione di cura adottata per il bambino piccolo. In presenza della madre a tempo pieno si trovano i titoli di studio più bassi di entrambi i genitori e lavori dei padri prevalentemente a bassa qualifica. Nella soluzione dei nonni si è in presenza di titoli di studio medi del padre e della madre, che sono impegnati prevalentemente in lavori a qualifica medio-bassa. Infine, nelle famiglie che hanno optato per la baby-sitter il padre e la madre hanno conseguito per lo più titoli di studio medio-alti e svolgono professioni ad elevata qualifica.
In particolare, i dati indicano una forte associazione tra il titolo di studio e la posizione professionale della madre e la soluzione di cura (Musatti, 1992) adottata per il bambino: al variare delle caratteristiche sociali e culturali della madre varia la soluzione di cura del bambino piccolo. Le madri a tempo pieno sono in possesso di titoli di studio per lo più della scuola dell’obbligo (il 47,8% di questa soluzione). Il basso livello di istruzione ha indotto queste donne a rinunciare all’attività extradomestica, trattenendole fuori dal mercato del lavoro e facendole propendere per la decisione di occuparsi del figlio. La scelta dei nonni è praticata per lo più da madri con scolarità medio-bassa (rispettivamente il 32,1% ed il 64,3% di questa soluzione): l’aiuto gratuito e molto flessibile della famiglia d’origine non risulta competitivo sul piano economico con l’impegno extradomestico della madre per lo più in lavori a medio-bassa qualifica (57,1% di impiegate e 32,1% di operaie) e perciò plausibilmente a bassa retribuzione e scarsa flessibilità. Coerentemente con queste considerazioni viene scelta la baby-sitter in presenza di titoli di studio medio-alti (66,7% e 22,2%) e posizioni professionali ad elevata qualifica e perciò a maggior reddito (insegnanti, impiegate e libere professioniste, che rappresentano rispettivamente il 22%, il 55,6% e l’11% di questa opzione di cura). Inoltre, si nota una differenza tra le strategie procreative delle madri a tempo pieno e delle lavoratrici: è nei nuclei familiari con più figli piccoli che la madre ha rinunciato ad un’attiva lavorativa per dedicarsi all’accudimento dei bambini viceversa tra le madri lavoratrici diminuisce il numero di figli e si dilata l’intervallo di tempo tra la nascita dell’ultimo bambino e quello precedente (da una media di 3,2 anni per le madri a tempo pieno ad una media di 6,2 per le lavoratrici). All’interno del campione, nessun padre ha scelto di ridurre o interrompere l’attività professionale per occuparsi del figlio: solo l’11,7% dei papà si prende cura del bambino durante la settimana in giorni ed orari extralavorativi. In queste famiglie le madri hanno un impegno professionale extradomestico ed è significativo che più frequentemente vengono messi in discussione e negoziati i ruoli, e le madri esprimono una maggiore richiesta di collaborazione ai loro mariti nella cura del bambino. I padri sono prevalentemente assenti nelle famiglie con le madri casalinghe, dove la divisione sessuale dei compiti è più evidente.
Tra le motivazioni ricorrenti con cui sono state giustificate le scelte prevalgono quelle legate alla rivendicazione culturale del proprio ruolo nel caso della madre a tempo pieno, valutazioni legate all’aspetto economico e alla necessità di disporre di aiuti flessibili e prolungati nel corso della giornata nel caso delle lavoratrici. Inoltre, nelle parole delle intervistate si è osservata un’immagine dei bambini piccoli che ha influito nella decisione di una soluzione di cura privata. Anche la ricerca ha dimostrato come la conoscenza ricca e composita delle madri riguardo l’immagine del proprio figlio influenza gli stili educativi e le modalità relazionali messe in atto con il bambino (Emiliani e Molinari, 1995). A questo proposito, dalle dichiarazioni delle intervistate si evidenzia un’immagine ed una rappresentazione di bambino piccolo come essere bisognoso di cure che solo l’ambiente familiare gli può garantire in modo qualitativamente adeguato.
Questa condizione molto privata dei più piccoli si traduce in occasioni di crescita particolarmente favorevoli? Anche la sola osservazione dei dati relativi al trascorrere della giornata tipo dimostra che non è possibile rispondere affermativamente a queste domande. Infatti, complessivamente ben il 51,7% dei bambini non gioca mai con l’adulto e solamente il 15% per due o più ore; l’ascolto della televisione è alto e prolungato nel corso della giornata: il 48,3% dei bambini è esposto alla TV per almeno un’ora al giorno ed il 28,3% per due o più ore; il 28,3% non esce mai all’aperto, il 40% tutti i giorni ed il 31,7% occasionalmente. Infine, il 35% dei bimbi del campione non vede mai altri bambini, il 28,3% li frequenta occasionalmente, mentre il 41,7% ha occasioni di interagire con dei coetanei o dei fratelli tutti i giorni. Questi dati descrivono un contesto quotidiano di crescita in cui il bambino trascorre la maggior parte della giornata nell’ambiente domestico, ha poche occasioni di frequentare i coetanei, gioca prevalentemente da solo e poco con l’adulto, guarda molta televisione.
I dati indicano che la solitudine della coppia bambino-adulto che se ne prende cura connota la giornata feriale ed è plausibile ipotizzare che questa situazione non rappresenta un elemento qualificante della giornata. L’adulto si trova ad accudire un bambino piccolo di cui deve interpretare bisogni materiali e psicologici mentre al più piccolo vengono a mancare una molteplicità di esperienze e di persone a cui fare riferimento. Le occasioni che rompono questo quadro di isolamento sono legate alla frequenza dei giardinetti, di cui fruiscono prevalentemente i bambini curati dalla baby-sitter e, più raramente in presenza di nonni e madri disponibili. E’ indicativo che in compagnia dei nonni e, soprattutto, della baby-sitter diminuiscono gli ascolti prolungati della TV, aumentano le uscite all’aperto ed il tempo che l’adulto dedica ad attività di gioco con il bambino. Queste situazioni caratterizzano i contesti familiari a condizione socioeconomica media e soprattutto alta mentre, viceversa, diminuiscono tra le madri a tempo pieno che, si ricorda, fanno parte prevalentemente delle famiglie a condizione socioeconomica più bassa. In sintesi, il modo in cui il bambino trascorre il tempo e le attività che si distribuiscono nella giornata occupano uno spazio inversamente importante a seconda della condizione economica medio bassa o medio alta della famiglia e della madre. L’analisi dei dati emersi dalle interviste unita alle caratteristiche socioeconomiche e demografiche della famiglia a cui i bambini appartengono – e in particolar modo la condizione occupativa o non occupativa della madre ed il suo livello di istruzione – orientano la scelta della soluzione di cura e il tipo di stimolazioni e occasioni che il bambino riceve. Inoltre, le differenti soluzioni di cura connotano diversamente il tempo dei bambini: in altre parole le caratteristiche socioeconomiche della famiglia e della madre si traducono in stili educativi diversi adottati nei confronti dei bambini. Quindi già in questa prima età si evidenziano percorsi di crescita differenti e potenzialmente discriminanti.
I bisogni delle famiglie
La maggior parte dei genitori (57%) si è dichiarata soddisfatta dei servizi presenti sul territorio mentre i restanti chiedono servizi più flessibili (10%) o una nuova struttura (33%). E’ indicativo che il 55% ed il 90% delle famiglie hanno affermato di non essere a conoscenza rispettivamente di Giocabimbi e di Artebimbo. Inoltre, i genitori hanno descritto ed elencato delle caratteristiche in base alle quali dovrebbe essere strutturato un nuovo servizio che si ritrovano nei servizi già esistenti. Si rileva quindi una discrepanza tra l’effettiva presenza dei servizi per la prima infanzia e le informazioni che ne hanno i cittadini. Sembra plausibile affermare che la responsabilità della mancanza di informazione riguardo
i servizi educativi sia da attribuire prevalentemente ai genitori poiché il Comune di Garbagnate distribuisce periodicamente a tutte le famiglie con bambini piccoli un opuscolo informativo che presenta i servizi e le modalità per accedervi. Inoltre, è emerso un forte bisogno di sostegno alla genitorialità. La mancanza di supporti sociali si evidenzia già nel periodo di attesa del bambino: le famiglie che entrano in contatto con i servizi sperimentano un rapporto di professionalità e competenza per quanto riguarda la gestione medica dell’attesa e della nascita ma avvertono l’assenza di un supporto alla coppia sia prima sia dopo l’arrivo del bambino. Le parole delle madri indicano che i primi tempi con il neonato sono stati problematicamente vuoti di un vero aiuto sia molto spesso per mancanza di reti informali sia perché le informazioni ricevute erano poche e spesso contraddittorie, ed hanno generato ancora più ansia e senso di inadeguatezza nei genitori.
Si può concludere che il Comune di Garbagnate Milanese ha un’organizzazione efficiente e offre servizi vari e diversificati ai genitori: il 15% dei bambini frequenta l’asilo nido – a fronte di una media nazionale del 6% – mentre Giocabimbi e Artebimbo accolgono l’8% dei bambini. Complessivamente il 23% dei più piccoli frequenta un servizio educativo per questa prima età. Tuttavia se, come ha dimostrato la prospettiva interattivo-cognitivista (Schaffer, 1977; Kaye, 1982), le capacità umane evolvono nelle relazioni interpersonali e vengono facilitate in modo significativo dal più ampio contesto sociale ed istituzionale in cui l’individuo in età evolutiva è inserito (Bronfenbrenner, 1979) non si può certo affermare che i bambini per cui è stata adottata una soluzione di cura privata abbiano una vita di relazioni articolate e ricche di occasioni educative.