I significati sociali ed educativi del cibo

Uno studio psicoanalitico e antropologico di Erik Erikson sui Sioux e gli Yurok.

L’oralità nelle tribù indiane dei sioux e degli yurok: il confronto tra due modelli educativi.
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Il cibo è qualcosa di assolutamente necessario per il genere umano. Tale concetto di “assoluto necessario” ci spinge a riflettere sul significato che ognuno di noi attribuisce al cibo: quali dinamiche sociali, quali paure individuali, quali istinti si muovono intorno al concetto di cibo? Il cibo è il primo reale bisogno fisiologico del bambino a partire dal quale e intorno al quale si costituiranno l’insieme di relazioni affettive; esso rappresenta il primo oggetto di desiderio e, nello stesso tempo, la base dello sviluppo affettivo e relazionale. Nutrirsi è solo in parte un automatismo innato; in realtà il bambino impara attraverso l’esperienza come, quanto e in quali momenti soddisfare il desiderio di cibo.
In ogni cultura si sono sviluppate una serie di pratiche ed abitudini connesse di volta in volta alle modalità di allattamento, ai rituali di svezzamento, alla ricerca del cibo, alla raccolta e alla conservazione dello stesso; in ogni sistema sociale, quindi, il cibo in quanto garanzia di sopravvivenza ha indirettamente generato una “cultura della nutrizione” alla quale viene educato il neonato.
Una società che mancasse di coltivare al suo interno tali pratiche e costumi non potrebbe sopravvivere a lungo: per questo motivo gli antropologi parlano anche di “funzione sociale” insita nelle abitudini relative alla cura e all’allevamento del bambino. Come sappiamo il bambino nasce senza difese e deve la propria sopravvivenza al fatto di essere protetto, alimentato, curato e stimolato da una persona più grande e forte che può provvedere in modo continuativo ai suoi bisogni. E’ l’adulto che garantisce la sopravvivenza del nuovo nato facendo continuamente riferimento alle pratiche in uso nel sistema sociale di appartenenza. Il cibo è dunque luogo culturale per eccellenza e solo attraverso lo studio delle modalità di alimentazione in contesti di allevamento diversi da quelli che siamo soliti vedere riusciremo a cogliere l’importanza e il valore assunti dal cibo inteso come materia prima che offre nutrimento sia al corpo che alla mente dell’individuo. Lo studio effettuato da Erik Erikson(1) su due tribù di indiani d’America considera l’influenza dei modelli culturali sulle pratiche e le abitudini connesse all’alimentazione e, nello stesso tempo, si connota come un’ analisi di matrice psicoanalitica sulla nascita dei primi comportamenti sociali. Il metodo psicoanalitico utilizzato da Erikson assurge al ruolo di “metodo storico” di indagine.
Scrive Erikson: “La psicoanalisi è secondo me essenzialmente un metodo storico. Anche quando i dati su cui si sofferma sono di ordine clinico, è in funzione di una esperienza passata che essa li interpreta(…). In pari tempo essa [la psicoanalisi] illumina il fatto che la storia dell’umanità è un gigantesco metabolismo fatto di cicli di vita individuali” (2).
Nel costrutto teorico di Erikson ritroviamo la suddivisione freudiana nelle tre fasi (orale, anale e fallica) dello sviluppo sessuale infantile ed il concetto di fissazione ad uno stadio che impedisce la realizzazione di una sessualità equilibrata ed armonica. Le informazioni raccolte da Erikson sulle pratiche e sulle abitudini legate all’alimentazione nei primi anni di vita sono state commentate effettuando continui collegamenti con lo schema creato dall’autore stesso e detto “pregenitale”, che costituisce l’approfondimento delle teorie freudiane sullo sviluppo sessuale infantile. All’interno di questo schema, per quanto riguarda l’oralità, l’esame condotto da Erikson sui moduli comportamentali tipici nei primi mesi di vita rivela che il bambino non segue esclusivamente ?modi? di natura introiettiva, ovvero egli non si appoggia solo al “modo incorporativo”, ma attiva anche dei “modi”, definiti da Erikson “ausiliari”, che saranno dominanti in epoche successive, ovvero il modo “eliminativo” (ruttare e sbavare), il modo “ritentivo” (stringimento delle labbra) e il modo “intrusivo” (serrarsi al capezzolo come per penetrare nel seno) (3).
Erikson, pertanto, data nel primissimo periodo della vita del bambino la comparsa della modalità sociale del “ricevere ed accettare ciò che viene dato”; la condizione ideale, secondo Erikson, “implicita nella disposizione del bambino ad accogliere ciò che gli viene dato, è costituita dall’armonia del suo rapporto con una madre che gli permetta di sviluppare e coordinare i mezzi che egli ha a disposizione per ricevere e,contemporaneamente, di sviluppare e coordinare la propria capacità di offrire” (4). l’armonia di cui parla Erikson viene raggiunta dalla diade madre – bambino in particolar modo durante l’allattamento al seno. Essa determina un piacere libidinale molto intenso per il bambino e, nello stesso tempo, un senso di rilassamento per la madre. Quando dovesse mancare questa armonia il rapporto tra madre e figlio degenererà: la madre cercherà
di forzare il nutrimento attraverso operazioni che non sono più in sincronia con i tempi del piccolo, mentre quest ultimo si sforzerà, attraverso una “attività sconnessa”, di consolarsi con altri mezzi, spesso attraverso la suzione del pollice. Il reciproco “regolamento” di cui ci parla Erikson è una condizione ideale e, proprio per questo, difficile da protrarre una volta realizzata, a causa delle inevitabili frustrazioni a cui il piccolo è sottoposto, prima tra tutte lo svezzamento. Tale evento segna nella vita di ciascun individuo il momento di una “perdita radicale” di qualcosa di assolutamente buono e necessario, l’oggetto d’amore scompare e, se tale privazione non è compensata in modo adeguato dai comportamenti materni, può provocare danni alla salute psichica del bambino.
Inoltre, l’ira del bambino è provocata in questo periodo anche dal dolore causato dalla dentizione, dolore che costringe il bambino a mordere più forte il seno materno provocando dolore alla madre che si sottrae: l’ira è rivolta dunque contro i propri denti che crescendo provocano dolore al bambino stesso e alla madre; contro la madre, che finisce per sottrarre il seno per paura del dolore (o almeno è così che il bambino interpreta la scomparsa del seno) e contro la propria impotenza. Durante l’allattamento il bambino ha imparato a nutrire fiducia, provando la prima esperienza del “male e del castigo”, acquisisce il sentimento della sfiducia; la fiducia raggiunta durante l’allattamento, così come la sfiducia conseguita durante lo svezzamento, sono sentimenti che, trasformandosi durante epoche successive rispettivamente in speranza e in rassegnazione, accompagneranno l’individuo per tutta la vita.
Gli indiani d’America, negli anni in cui Erikson condusse la sua ricerca (1949-1950) costituivano una minoranza molto composita. I bambini indiani vivevano la grande contraddizione di far parte di tale minoranza e si sentivano sottoposti a due diverse leggi: quella bianca e quella indiana. Lo scopo “ufficiale” della ricerca doveva essere quello di scoprire cosa rendesse tanto apatici e passivi i bambini indiani coinvolti in un impegnativo esperimento federale nello stato del Dakota del sud, che consisteva nel tentativo di offrire una “educazione” ai piccoli nativi. Nel tentativo di identificare quali motivazioni potessero esserci alla base di tanta indifferenza da parte dei bambini, Erikson e i suoi collaboratori avviarono un’ indagine che mirasse ad esplorare quale rapporto esistesse tra l’infanzia e le strutture della società indiana. Il punto di partenza fu l’analisi delle vecchie abitudini legate all’educazione dei bambini.
Dal momento che per avere informazioni su tematiche quali il parto e l’allevamento dei figli le donne erano senza dubbio più idonee degli uomini, Erikson dovette conquistarsi la loro fiducia prima di riuscire ad ottenere le informazioni che desiderava. Superate le iniziali resistenze le donne della tribù divennero le principali informatrici dello studioso.
Le donne sioux erano convinte che il miglior benvenuto che la comunità potesse dare al nuovo nato consistesse non nella prima secrezione acquosa prodotta dal seno materno (il colostro considerato veleno) ma nel succo di erbe e bacche preparato da amici e parenti e servita al bambino in una morbida vescica di bufalo che fungesse da biberon.
Il motivo di questo comportamento è da ricercarsi nella convinzione che il bambino non avrebbe potuto nutrire fiducia in un mondo che si fosse presentato a lui sotto la forma di una secrezione acquosa: infatti per incentivare il senso di fiducia del bambino nel mondo e nella vita egli veniva allattato, quando il latte materno era divenuto “puro”, ogni volta che lo desiderava. Il periodo di allattamento durava solitamente tre anni e le madri sioux non avevano ancora elaborato, all’epoca dell’indagine, nessun preciso metodo per lo svezzamento: molti bambini, anche grandi, continuavano a nutrirsi al seno dopo aver imparato a non mordere il capezzolo. Spesso i bambini mordevano e per questo venivano picchiati sulla testa dalle loro madri: le urla di reazione dei bambini venivano interpretate dalle madri come indicative del fatto che il carattere dei loro figli si stesse ?temprando?. Erikson propone un interessante parallelo tra l’oralità dei bambini sioux e gli ideali etici della tribù: riferisce infatti che “Si ha subito l’impressione che la generosità esaltata dalla cultura indiana, affondasse le proprie radici nel privilegio di godere dell’allattamento e nella sicurezza derivante da un allattamento illimitato” (5).
Erikson sembra inoltre convinto che la stessa ferocia del popolo sioux potesse essere interpretabile come l’espressione della soppressa tendenza a mordere, tipica della infanzia e spietatamente repressa. I valori della generosità e della forza, tipici dei sioux, sono interpretabili secondo lo studioso, come prodotti dell’educazione infantile. Insomma, generosità e ferocia sono i tratti caratteristici del popolo sioux ed entrambi sembrano essere parte di un modello comportamentale acquisito nei primi mesi di vita e legato quindi allo stadio orale. l’oralità del bambino sioux, dunque, sembra essere terreno dal quale prenderanno vita almeno due importanti comportamenti sociali: un atteggiamento non possessivo verso la proprietà privata e la facile predisposizione alla lotta e al sadismo nei confronti del nemico. Erikson ampliò la sua ricerca antropologica e psicoanaalitica attraverso l’esame di un altro popolo indiano, gli yurok, un popolo di pescatori. Anche in questo caso egli andò alla ricerca di dati sulle antiche abitudini legate all’infanzia e scoprì alcuni interessanti tabù orali che caratterizzavano la nascita e i primi mesi di vita del bambino e i comportamenti dei neo-genitori: “Durante il parto la madre deve tenere la bocca chiusa. La madre e il padre non mangiano carne di cervo né salmone fino a che l’ombelico del bambino non sia cicatrizzato. Gli yurok ritengono che la trasgressione di questi tabù provochi convulsioni al bambino. Per dieci giorni il neonato non è posto al seno e gli viene data una zuppa di noce in una sottile conchiglia” (6).
Diversamente dai sioux, lo svezzamento veniva realizzato attraverso l’utilizzo di una particolare metodologia: intorno al sesto mese (nell’epoca della dentizione) il latte veniva sostituito con altri alimenti solidi ( carne di cervo e salmone). Il bambino attraverso delle frustrazioni indotte dalle madri, quali uno svezzamento precoce e spesso violento, veniva incentivato, secondo la visione degli yurok, ad accelerare il processo di autonomia. Il bambino yurok doveva diventare un buon pescatore e, per questo motivo, non doveva mai sentirsi troppo a suo agio e tranquillo, bensì doveva mostrarsi sempre all’erta e sempre pronto ad irretire la preda.
La ferocia che doveva fare di un sioux un buon cacciator era incentivata dal tipo di educazione alimentare impartita, nello stesso modo in cui la prudenza e l’atteggiamento di preghiera erano comportamenti incentivati dall’educazione alimentare degli yurok. l’elemento mistico era senza dubbio molto forte nella tribù degli yurok, basti pensare che “Una delle caratteristiche del vero yurok è quella di gridare nella preghiera per meglio influire sui dispensatori del cibo raggiungendoli nel loro mondo invisibile; parole come ‘vedo un salmone’ dette tra le lacrime e la convinzione di una autoallucinazione guideranno a lui, così almeno crede lo yurok, un salmone” (7).
Nel sistema sociale degli yurok esisteva dunque una forte concentrazione sulle fonti del cibo; il bambino doveva raggiungere l’autocontrollo durante il momento del pasto astenendosi dal mangiare troppo velocemente, posando il cucchiaio sul piatto mentre masticava il cibo, chiedendo sempre il permesso di avere gli alimenti ed essendo perfino esortato a pensare al momento in cui sarebbe divenuto ricco. Questi comportamenti definiti da Erikson come indicatori di un “puritanesimo orale” erano rituali che rendevano senza dubbio molto drammatici i momenti della nutrizione: possibile causa di tali forme di masochismo orale era, secondo Erikson, il precoce e violento svezzamento subito; la privazione del seno materno e di adeguati comportamenti compensatori avrebbero portato gli yurok a drammatizzare il bisogno “nostalgico di ingerire”. La precauzione è, pertanto, il concetto fondamentale al quale tutti gli yurok mostravano di sottoporsi: una prudente condotta assicurava il nutrimento e non esponeva a rischi inutili.
In conclusione, i sioux sviluppavano il loro coraggio verso gli animali, intesi come nemici, come reazione alla soppressa tendenza a mordere il seno materno; essi, una volta controllata la voglia di mordere avrebbero goduto del seno per lungo tempo acquisendo così la tipica generosità degli indiani. Gli yurok, invece, sviluppavano la loro prudenza come reazione alla privazione del seno materno che avveniva all’epoca della dentizione: la perdita del seno materno in quell’epoca corrisponde infatti alla “possibilità che dall’oceano non arrivino salmoni” (8).
La privazione del seno precocemente subita generava negli yurok un’avidità orale che veniva controllata in modo esasperato da cerimoniali intransigenti; le grida rituali e le preghiere
rivolte ai dispensatori di cibo erano, secondo Erikson, dei mezzi utilizzati dagli yurok per drammatizzare in modo istituzionalizzato un atteggiamento che risale all’infanzia. In entrambi i popoli, pertanto, rileviamo un ruolo molto forte della cultura e della storia che determinano i modelli comportamentali dei nuovi nati; in modo particolare la cultura finisce per influenzare il comportamento del bambino attraverso il modo in cui gli adulti della comunità sociale fanno fronte ai suoi bisogni.
I sioux “regalavano” ai loro figli momenti di soddisfacimento alimentare ed emotivo permettendo loro di alimentarsi direttamente dal seno materno fino ai tre anni; la possibilità di godere di tale privilegio rendeva i bambini più inclini alla generosità, i bambini, dunque, imparando a ricevere imparavano nello stesso tempo a donare. Gli yurok allontanavano i loro figli dal seno molto presto e li spingevano a rendersi autonomi e responsabili anche attraverso metodi violenti; frutto di tale atteggiamento è la tipica avidità dello yurok, orientato esclusivamente verso se stesso, egli non conosce generosità: non avendo imparato a ricevere difficilmente imparerà a dare.

Note bibliografiche
1 Infanzia e società, 1950 Armando
2 (Erikson, 1959, pag.10)
3 Erikson, 1950, pag.66
4 (Erikson, 1950, pag 68)
5 (Erikson, 1950, pag.128)
6 (Erikson 1950, pag.163)
7 (Erikson, 950, pag.165)
8 (Erikson, 1950, pag.169)