Il gioco e la psicoterapia

Il gioco è di per sé il piacere, svago, creatività ecc. e proprio per questo, ogni volta che vogliamo segnare uno spartiacque fra lo scherzoso ed il serio pronunciamo frasi come “ora smettiamo di giocare e facciamo sul serio”.

La cultura della scienza “seria” è sempre stata bene attenta a non confondersi con il gioco determinando una cultura della serietà basata sul sacrificio e sulla pesantezza degli impegni. Ecco perchè, forse, il mondo della terapia ha voluto, in qualche modo, caricare il gioco di serietà e credibilità scientifica facendolo diventare terapeutico, ma rilegandolo al mondo dell’infanzia, come se la terapia per adulti fatta di giochi potesse rendere la scientificità della terapia poco credibile.

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Il gioco ha un potere immenso di ristrutturazione personale e facilita altresì il contatto sociale. Ha la stessa valenza di ripristino organico del sonno. Il gioco spontaneo è il pilota automatico della tranquillità esistenziale ed il pronto soccorso della felicità ferita dalle cose della vita. Nonostante tutte le riserve le scienze umane hanno dovuto sempre fare i conti con il gioco ed anche se potrà sembrare forse un po’ noioso mi sembra utile riportare le definizioni di vari studiosi sul tema del gioco.
F. Schiller(1759-1805);
La conciliazione tra vita e forma si raggiunge mediante il gioco. Esso consiste nell’arte di superare la necessità del mondo fisico ed accedere alla libertà creativa che plasma il mondo sensibile senza scopi meccanici. Grazie al gioco l’uomo si concilia con la natura. F. Froebel (1782-1852);
Il gioco non ha finalità esclusivamente estetiche, ma diviene mezzo educativo del bambino. Attraverso l’attività ludica il bambino costruisce l’edificio della sua vita. Nel gioco si liberano le attività motorie sensoriali linguistiche socializzanti. Nel gioco il bambino esplica la sua più alta laboriosità. K. Gross (1823-1895);
Adottando alcune osservazione di Darwin, Gross intende il gioco in prevalente funzione di sopravvivenza. L’utilità ludica stimola e perfeziona le doti necessarie all’età adulta. Il gioco è strettamente connesso all’imitazione. Le attività ludiche, apparentemente inutili, hanno invece una precisa funzione biologica.
S. Freud (1856-1939);
Nel gioco si manifestano i desideri ed i conflitti che l’individuo tenta di sublimare mediante la trasposizione fantastica. Il bimbo si serve di oggetti e situazioni presi dal mondo reale per creare un mondo tutto suo, nel quale può ripetere le esperienze piacevoli ordinando ed alterando gli eventi come meglio preferisce. L’arte è l’elaborazione ad occhi aperti del mondo onirico.
J. Dewey (1859-1952);
L’attività è condizione indispensabile per suscitare interesse. Nessun allievo sarà mai interessato ad un apprendimento se non a condizione di partecipare alla sua creazione. Ciò vale tanto per il gioco quanto per il lavoro.
M. Montessori (1870-1952);
Il
gioco libera il fanciullo dall’oppressione degli interventi intempestivi degli adulti. L’attività sensoriale si concilia nel gioco con l’attività pratica. Il materiale per il gioco è chiamato materiale di sviluppo per gli esercizi di vita.
J. Huizinga (1872-1945);
Il gioco è la manifestazione della socialità umana al suo grado più alto. Mediante il gioco l’uomo trascende il banale rapporto con la vita quotidiana, superando altresì la comunicazione banalizzante. Giocando, l’uomo contempera le inderogabili esigenze del suo stato con le attese della sua libera personalità creatrice. Le grandi attività originarie della specie umana si sono espresse in forma ludica.
E. Claparède (1873-1940);
Giocare significa svolgere una funzione preparatoria e di perfezionamento dell’individuo in vista di un’azione futura alla quale il bimbo dovrà disporsi.
R. Cousinet (1881-1973);
Le forme elementari di socializzazione si manifestano nel gioco, il quale si presta ad un’evoluzione verso tipi ludici di socializzazione matura.
Mentre il lavoro è una sintesi organica di atti volti alla realizzazione di uno scopo preciso, il gioco è, viceversa, espressione di un bisogno elementare di comunicazione.
M. Klein (1882-1960);
Il gioco pone in atto delle libere associazioni che vengono interpretate come rappresentazione simbolica dei contenuti inconsci; ciò postula nel bambino l’esistenza di un complesso vissuto affettivo pre-edipico. Il bimbo durante il gioco esteriorizza i propri conflitti interiori attraverso un intenso transfert sui giocattoli e sull’analista. S. Isaacs (1885-1948);
Nel gioco il bimbo esprime le potenzialità socializzanti già peraltro insite nel proprio mondo egoistico. Un bambino ha bisogno di un altro bambino e l’adopera per questa sua necessità personale. L’altro è un perno intorno a cui rotea la fantasia di chi conduce il gioco attivamente.
J. Piaget (1896-1980);
Il gioco infantile risente dell’evoluzione mentale del bambino. Di volta in volta il gioco assume il senso di un’assimilazione, di un accomodamento, di un adattamento. I giochi di esercizio sono prevalentemente sensomotori, volti a padroneggiare il corpo e gli oggetti, ad esplorare l’ambiente. I giochi simbolici hanno la funzione di far assimilare al bimbo la realtà piegandola ai propri desideri. Il gioco normativo segna il passaggio al momento della competizione e della socializzazione.

Dopo tante definizioni uno strano dubbio ci assale ed è quello che il gioco non possa essere definito, ma possa essere inquadrato solo attraverso metafore: “il gioco è come?.”. Una possibilità potrebbe essere che il gioco è come se fosse una caricatura della realtà in quanto è una finzione della realtà, non un’esperienza diretta ma un’esperienza simulata.
La credibilità della realtà del gioco si ricava dalle scelte credibili della sua via indiretta. Quindi, da una parte abbiamo la realtà con il suo rischio, dall’altra abbiamo l’irrealtà con il suo grottesco, ed in mezzo il gioco con condizioni di rischio limitate affrontate in situazioni controllate, cioè ludiche.

Il gioco come analogia e simulazione

Analogo, analogico è ciò che è simile, ma diverso, ciò che, da un particolare punto di vista cambia nelle parti accessorie, rimanendo identico nelle parti fondamentali.
Analogico il linguaggio simbolico, così come quello metaforico, che sfrondati i fatti dagli accessori sia razionali che temporali, li producono in micro descrizioni simili ma diverse, tutte però conservanti integre al massimo le caratteristiche fondamentali dei fatti stessi, almeno per un particolare scopo o punto di vista.
Analogia è un ricordo ed analogia è una traduzione , analogia è un sintomo ed analogia è un simbolo però il gioco, che è analogia, non è né l’una né l’altra di queste analogie.
Ciò perchè se noi diciamo che nell’analogia i fatti vengono resi diversi nella parte accessoria e identici nella parte principale ci dobbiamo chiedere il perchè una parte sia principale ed un’altra accessoria. Allora ci accorgiamo che il principale e l’accessorio sono relativi ad un qualcosa che sta succedendo in quel momento che si vuole trasmettere e non si riesce a trasmettere, ad un particolare punto di vista, ad uno scopo preciso che si ha bisogno di chiamare metaforico, simbolico, storico o meglio ancora analogico per poterlo capire e ricevere. ? come fosse una fiaba che esprime analogicamente sentimenti che direttamente incontrerebbero il rifiuto totale.
L’analogia nel gioco non esiste, in definitiva, a sé stante, ma solo nella tensione che si instaura tra l’analogico e la logica.
Un concetto duale perché include un rapporto tra dover essere ed essere, cioè tra realtà esprimibile e caricatura della realtà. Questo è forse un termine utile per definire le analogie nel gioco: una caricatura nella realtà, una esagerazione intenzionale.
Simulazione è un altro concetto basato su fattori incogniti. Esso è centrale per la comprensione del gioco e della sua declinazione psicologica. Simulare significa suggerire sentimenti di realtà e di veridicità nella situazione programmata e costruita artificialmente.
Possiamo vedere come l’elemento fondamentale di questo sentimento di realtà e quindi di ogni simulazione sia il senso del rapporto di un individuo col proprio mondo esterno. Ciò che è fuori di me, ha effetto su di me ed io ho effetto su quello che sta fuori di me: questo è segno che io sto adesso qui ed ora vivendo davvero una situazione reale. Il vissuto di realtà è quello in cui un individuo sente di essere dentro qualcosa che ha un’influenza su di lui e che lui viceversa influenza.
Ogni individuo “testa” questo sentimento di realtà lasciandosi influenzare ed influenzando: così si rinforza il sentimento di realtà. ? vero che, come Freud ha dimostrato nelle sue analisi della coazione a ripetere, il ricordo viene ripetuto infinite volte da coloro che hanno vissuti episodi traumatici sin tanto che per successive impercettibili modifiche esso non viene edulcorato, abbellito e reso con ciò una simulazione del passato. Si determina così un rinascere del sentimento di realtà che il trauma aveva alterato mediante una rottura dell’equilibrio e dell’influenza reciproca tra individuo e suo esterno.
Le metafore, così come la coazione a ripetere, sono distorsioni del passato perché fanno in modo che esso ci parli non per quello che è, ma per quello che noi oggi vogliamo che sia. In questo senso esse sono simulazioni perché ci danno un sentimento di realtà elevata rispetto a cose che reali non sono. Ma il sentimento di realtà corre il rischio di dissolversi per un minimo di delusione di aspettative o di requisiti: esso è un fatto prevalentemente emotivo e come tale si comporta e reagisce.
Possiamo affermare che una situazione simulata per basarsi su una nozione abbastanza stretta di realtà deve essere contraddistinta da due elementi costitutivi e cioè da:
1. Una vicinanza-distanza psicologica della situazione simulante rispetto alla situazione simulata.
2. Una limitatezza-ampiezza psicologica nello spazio e nel tempo.
E’ interessante notare come i bambini che giocano, simulando situazioni reali, allo scopo di prendere distanze da queste ultime, usano l’imperfetto. Per dire “tu fai la parte del dottore nel nostro gioco” dicono ” tu facevi il dottore” e così “tu mi visitavi” “tu facevi la regina e mettevi la corona”, ecc., in modo che l’uso dell’imperfetto aiuti la presa di una distanza ottimale capace di consentire la simulazione ludica ed un sentimento di realtà sul presente difficilmente realizzabile. I bambini usano l’imperfetto non il passato. Essi acquisiscono una distanza temporale minima.
E’ fin troppo evidente che la simulazione non sostituisce, e non può sostituire la realtà, ma è anche evidente che l’individuo che si difende dalla realtà non accetta tutto quello che può causargli un sentimento di perdita d’identità ed avrà bisogno di un fidanzamento con la realtà nuova prima di contrarre matrimonio cioè di accettare un suo nuovo equilibrio.

Il gioco come fidanzamento con la realtà

Erik H. Erikson spiega il gioco come una funzione dell’Io, un tentativo di sincronizzare i processi sociali e fisici della propria individualità. Un bisogno dell’Io di dominare le varie aree vitali del proprio corpo e del proprio ruolo sociale.
Ma quali aree vitali?
Soprattutto quelle in cui l’individuo incontra delle difficoltà dal punto di vista della personalità. L’autore infatti ritiene che il gioco, o meglio il fine del gioco, sia quello di soddisfare in forma allucinatoria l’esigenza del controllo anche se in una piccola porzione dell’esistenza. Proprio per questo ci sono due modi diversi di vivere il gioco in rapporto con il mondo operativo della realtà
lavorativa. Infatti si pensa che quando si gioca si è in vacanza dalla realtà o come più spesso si fa notare non si lavora.
Il primo modo riguarda gli ambienti puritani. Già in questi ambienti lo scherzo è stato confuso con il peccato, e il piacere veniva solo legittimato se coltivato nel campo del dovere.
Il secondo modo riguarda altri ambienti di tutt’altro pensiero. In questi ambienti, invece, si pensa all’uomo nella sua perfezione umana solo quando gioca.
Ecco perché possiamo affermare che il gioco, mentre divide le attività umane, allo stesso tempo sfugge ad una definizione.
La psicoanalisi, oltre a riconoscere al gioco la capacità di simulate tendenze che sono particolarmente pronte a manifestarsi ed i cui sentimenti corrispondenti sono particolarmente pronti a svegliarsi, aggiunse la teoria catartica secondo la quale il gioco svolge nell’essere in fase di sviluppo, una funzione precisa in quanto gli permette di sfogare emozioni trascorse e di trovare una compensazione immaginaria a frustrazioni passate.
Possiamo dire che così come la psicoanalisi comincia con il manifestarsi delle resistenze il gioco terapeutico inizia con il manifestarsi del transfert che si verifica nel fanciullo. Il trasnsfert segna il punto in cui un’emozione diviene tanto intensa da sconfiggere la giocosità e da scaricarsi immediatamente nel gioco e nel rapporto con il terapeuta.
La Klein è giunta a codificare una tecnica di psicoterapia per bambini basata sul gioco. Sostanzialmente la Klein non differenzia la psicoterapia degli adulti da quella dei bambini, in quanto ritiene che nei bambini può benissimo svilupparsi una nevrosi di transfert e che la situazione di transfert si verifica nei bambini nella misura in cui si impieghi un metodo equivalente a quello dell’analisi dell’adulto: cioè privo di atteggiamenti pedagogici ed inoltre che analizza a fondo gli impulsi negativi verso l’analista.
Però, le caratteristiche particolari della psicologia del bambino, indussero e permisero alla Klein di elaborare la tecnica dell’analisi del gioco. Infatti secondo l’autrice il bambino usa il gioco come un sogno, usandone lo stesso linguaggio a tal punto da poter essere compreso solo se trattato secondo la tecnica dell’interpretazione dei sogni.
La Klein indica, nella stesura della tecnica, che un singolo particolare di un gioco può assumere i più diversi significati che possono essere interpretati alla luce di altre correlazioni che chiariscono la situazione analitica generale della quale fanno parte.
Inoltre il gioco permette al bambino di esprimersi anche attraverso azioni le quali essendo più primitiva del pensiero e della parola costituiscono la parte prevalente del suo comportamento. Infatti, come scrive la Klein, il bambino può effettivamente riscoprire in maniera diretta talune esperienze e fissazioni che l’adulto sovente produce in analisi solamente sotto forma di ricostruzione.
Proprio perché il carattere primitivo dello psichismo infantile esige una tecnica analitica specificamente adatta la Klein ritenne opportuno di trovarla nell’analisi del gioco.
La tecnica dell’analisi del gioco permette di accedere alle esperienze più profondamente rimosse del bambino e alle relative fissazioni. Uno dei vantaggi sarà quello di consentire al bambino un migliore adattamento alla realtà.
L’analisi del gioco infatti analizza la situazione di transfert e le resistenze, elimina le amnesie infantili e le conseguenze della rimozione rivelano i ricordi relativi alla scena primaria. Ecco perchè l’analisi del gioco tende agli stessi risultati del metodo psicoanalitico degli adulti anche se un principio fondamentale della tecnica del gioco è che l’interpretazione debba essere al giusto grado di profondità in modo che possa raggiungere lo strato psichico che in quel momento è attivo.
Possiamo concludere indicando nel gioco valenze che possono accelerare i processi di presa di coscienza ritenendo che anche per gli adulti impegnati in percorsi terapeutici possono essere utilizzate tecniche basate sul gioco stesso.