Le origini del comportamento aggressivo infantile

Perché, come e quando i bambini aggrediscono nella interpretazione teorica della psicoanalista Susan Isaacs. Proposta per una classificazione dei moventi degli episodi aggressivi.

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In molte occasioni gli episodi di aggressività infantile incontrano parecchie difficoltà di lettura da parte dell’adulto. Il modo più semplice di spiegare il comportamento aggressivo infantile è quello di farlo risalire alla emulazione di comportamenti aggressivi degli adulti. In realtà, molti bambini educati con dolcezza dagli adulti che si occupano di loro manifestano comportamenti aggressivi spontanei.
E’ facile dedurre, pertanto, che tutti i bambini sono in grado di manifestare la loro ostilità con forme ed intensità diverse, a seconda della storia personale di ciascuno, dei modelli comportamentali ed educativi proposti loro, dei sentimenti e delle fantasie più o meno inconsce. Una modalità di interpretazione dei comportamenti aggressivi infantili è offerta dalla letteratura psicoanalitica e, in particolare, da Melanie Klein, che nel volume The Psycho-Analysis of Children propone parecchie interessanti interpretazioni teoriche del comportamento infantile, desunte dalle osservazioni da lei direttamente condotte in sede analitica.
Susan Isaacs, psicoanalista infantile e studiosa, in particolar modo, del comportamento sociale dei bambini, in linea con l’approccio kleiniano, nel suo libro Lo sviluppo sociale dei bambini propone un’interessante classificazione dei comportamenti che possono essere definiti aggressivi, individuando alcune “situazioni tipo” in cui tali comportamenti si manifestano con più facilità e sottolineando la diversità dei “moventi” in grado di scatenare l’episodio aggressivo. Le osservazioni condotte dalla Isaacs si riferiscono all’esperienza della Malting House School, una scuola d’infanzia gestita dalla stessa Isaacs negli anni 1924-1927.
Le interpretazioni teoriche della Isaacs risultano di un certo interesse ancora oggi: possiamo ritrovare, infatti, elementi di attualità, soprattutto per quanto riguarda la manifestazione aggressiva del bambino in un contesto extra-domestico come il nido o la scuola d’infanzia.
L’analisi che qui propongo ha per oggetto la classificazione dei moventi degli episodi aggressivi proposti dalla Isaacs e la loro analisi semantica.
La suddivisione proposta è la seguente:
a. Movente del possesso
b. Movente del potere
c. Movente della rivalità
d. Sentimenti d’inferiorità, o di superiorità, o di ansietà generale.

Spesso le motivazioni della comparsa di un comportamento aggressivo non sono facilmente definibili, perché esse si mescolano, le une con le altre, trasformandosi nel corso del “conflitto”. E’ inoltre possibile una “sovrapposizione” tra gli episodi che, secondo la classificazione proposta, vengono spiegati facendo riferimento a più di uno dei moventi elencati. Esemplare, in questo senso, è il “terreno comune” individuato dalla Isaacs tra aggressività e colpa.
Scrive la psicoanalista: “Esistono pochi dubbi che gran parte dell”ostilità nei bambini sia dovuta ad una proiezione del senso di colpa”.1
Il
senso di colpa agisce come motore del comportamento aggressivo: più il bambino è spiazzato dalla vergogna, più aggredisce chi ha generato in lui tale sentimento. Spesso il senso di colpa è il risultato dell’attivazione di più moventi tra quelli sopraindicati, di cui ora proviamo ad approfondire i significati.
Il movente del possesso è originato dall’impellente desiderio infantile di possedere, in modo esclusivo, un oggetto, un’idea, un ruolo. Altra importante caratteristica di tale movente è l’assoluto rifiuto, da parte del bambino, di attendere il suo turno per il possesso di ciò che desidera: il tempo che lo separa dalla realizzazione del suo desiderio è un tempo infinito, un’eternità alla quale non intende arrendersi. Il movente del possesso è definibile come una delle risposte sociali possibili e non unicamente come uno degli istinti della natura umana o come una diretta reazione alla mancanza di oggetti fisici che possono essere utilizzati per scopi personali.
Il movente del potere prende origine dal desiderio del bambino di esercitare un potere, di fare agli altri “…ciò che egli sente è stato fatto a lui…” 2. Il bambino diviene aggressivo, in questi casi, per reagire a interferenze di altri, adulti e bambini: egli si oppone a tali ostacoli pretendendo per sé una posizione di supremo controllo sugli altri, attraverso un atto aggressivo, verbale o fisico. Il bambino i cui comportamenti aggressivi sono generati dal movente del potere ambisce all’acquisizione di quell’autorità di cui spesso si sente vittima.
Le situazioni di rivalità che è possibile osservare sono di due tipi: rivalità nei confronti degli altri bambini e rivalità nei confronti di un adulto. Nei primi anni di vita tutti i bambini vivono gli altri bambini come temibili e potenti rivali. Da un certo punto di vista – che definiremmo “relazionale” – tale vissuto testimonia la effettiva capacità di un bambino di inserirsi in un gruppo sociale: è come se il comportamento aggressivo verso gli altri bambini costituisse una sorta di “gioco sperimentale”, un tentativo di scoprire chi sono gli altri, una modalità di riconoscimento della loro esistenza sociale.
E’ comunque la rivalità per l’affetto degli adulti (e in particolar modo dei genitori) la prima e vera causa dell’ostilità infantile: è proprio la dipendenza del bambino piccolo (sotto i due anni) dall’amore degli adulti che gli fa vivere la presenza di un altro bambino come una minaccia terribile.
Ancora una volta possiamo registrare una sovrapposizione tra i moventi dell’aggressività: desiderio di possesso (dell’adulto amato) e rivalità (per il bambino che minaccia tale possesso) costituiscono l
‘eziologia del comportamento aggressivo. I bambini provano più facilmente dei sentimenti di amicizia verso i bambini più grandi che non sono avvertiti come intrusi la cui presenza suscita il timore dell’abbandono da parte dell’adulto amato.
Un’altra minaccia per il bambino è rappresentata dal reciproco amore dei genitori: egli vive il loro amore come un nemico che lo separa dal possesso totale e definitivo di quegli adulti che tanto ama. In questi casi il comportamento infantile è volto a determinare un contrasto tra gli adulti: i due genitori devono essere separati ad ogni costo e resi consapevoli dei bisogni e dell’esigenza di amore unico ed esclusivo provati dal bambino. Questa forte ambivalenza (amare e odiare contemporaneamente una stessa persona) pone il bambino in una situazione di tensione, dove spesso la via d’uscita è offerta dalla manifestazione di un comportamento ostile ed aggressivo che “allontana” temporaneamente uno degli adulti e “tranquillizza” il bambino, perché può continuare ad amare ed essere amato senza intrusioni limitanti.
L’ultimo dei moventi analizzati è riconducibile all’ansia infantile e ai sentimenti di inferiorità e superiorità provati dal bambino. Per quanto riguarda l’ansietà generale, essa si concretizza in una aggressività prevalentemente verbale e scherzosa: l’ansia viene alleviata attraverso degli attacchi aggressivi scherzosi, gli unici permessi dalla collettività e dagli adulti in particolare. L’aggressività generata dal movente dell’ansia non è riconducibile a nessun immediato o specifico comportamento degli altri, ma appare come l’effetto di una complessiva situazione di malessere e rivalità che agisce in maniera indiretta: parliamo pertanto di una ostilità non provocata, ma ugualmente manifestata. Ritroviamo lo stesso meccanismo di esplicitazione indiretta nell’analisi dei sentimenti d’inferiorità e superiorità: il bambino esprime il proprio sentirsi inferiore attraverso un’aggressiva affermazione di superiorità. Emblematica in questo senso è la tendenza del bambino a distruggere qualunque prodotto creativo degli altri bambini, a causa del proprio sentimento di inadeguatezza ed inefficienza, per il quale egli è convinto di non saper fare ciò che fanno gli altri. Ancora una volta non è un fatto circoscritto a generare l’ostilità, ma una condizione psicologica cronica preesistente all’attacco aggressivo, persistente anche successivamente a questo.
Dall’analisi fin qui esposta, appare chiaro che variano sia gli oggetti dell’ostilità infantile sia i moventi all’origine del comportamento aggressivo sia la tipologia dell’atto aggressivo. Le forme in cui si manifesta l’aggressività sono moltissime: morsi, sputi, calci, tirare di capelli, graffi, lanci di oggetti, danneggiamento dell’opera altrui, appropriazione, espressioni verbali di disprezzo, minacce e boicottaggi. Ovviamente , a seconda dell’età e del grado di maturazione cognitiva e linguistica, i bambini prediligono una o più delle manifestazioni aggressive elencate (ad esempio, il morsicare è più frequente tra i piccoli sotto i due anni, mentre lo sputo è più frequente tra i bimbi più grandi).
In conclusione, può risultare di un certo interesse individuare quali comportamenti debba avere e quali ruoli debba ricoprire l’adulto nella gestione del conflitto generato dai bambini. Spesso, infatti, l’adulto si chiede come e se intervenire, se punire o consolare, se avere un atteggiamento indifferente o permissivo. Pur tenendo presente che ogni bambino è diverso, unico e irripetibile, vale la pena di enucleare alcuni concetti educativi che la stessa Isaacs propone : “Un adulto che deve stare con dei bambini non può spogliarsi dell’autorità di cui gode con un atto della propria volontà, né creare delle condizioni così “libere” da annullare il suo prestigio di adulto”3. E’ evidente che l’attenzione è posta sul messaggio che viene dato al bambino: un mondo pieno di adulti che non sono in grado di controllare ciò che egli fa o non fa, non è un mondo di cui ci si possa fidare. E’ bene, pertanto, che ogni adulto accetti la funzione di super-io, ovvero di regolatore morale e controllore attivo, che gli è propria. L’assenza dell’adulto sul piano delle regole è vissuta dal bambino come un abbandono:”Se non mi dici cosa posso o non posso fare significa che non ti importa nulla di me”.
Le manifestazioni di ostilità, prepotenza e aggressività vanno pertanto affrontate e contenute dall’adulto, pur senza atteggiamenti repressivi; solo così il bambino si sentirà maggiormente protetto dai suoi stessi impulsi aggressivi e dall’ansietà che tali impulsi comportano. Il controllo esterno garantito dall’adulto tranquillizza il bambino e gli dà la possibilità di imparare a controllare la propria ostilità e di adattare i propri desideri alla realtà che lo circonda. Una realtà drammatica, che spesso delude, ma che, presto o tardi, diventerà per il bambino più gestibile e, dunque, più soddisfacente.

Note
1 Susan Isaacs, Lo sviluppo sociale dei bambini, La Nuova Italia, Firenze,1967, p.34. 2 Ib., p.317. 3 Ib., p.568.

Bibliografia Susan Isaacs, Lo sviluppo sociale dei bambini, La Nuova Italia, Firenze,1967
Melanie Klein, La psicoanalisi dei bambini, G.Martinelli & C., Firenze, 1988
Francoise Dolto, Come allevare un bambino felice e farne un adulto maturo, Mondadori, Milano,1992.
Masal Pas Bagdadi, Ti cuocio, ti mangio, ti brucio e poi ti faccio morire, Sansoni, Firenze, 1992
Silvia Vegetti Finzi, A piccoli passi, Mondadori, Milano, 1994
Anna Freud, Normalità e patologia del bambino, Feltrinelli, Milano 1984