Nuovo padre e nuovissima madre

Chi sono i genitori del bambino supernovo? Vivono nella mente dei bambini supernovi; a volte assomigliano un po’ ai genitori reali, a volte sono immagini che derivano dalle figure reali ed esprimono invece i desideri e le paure che il bambino ha sperimentato nei confronti e a causa degli stessi genitori.

Genitori psicoanalitici, perciò ampiamente deformati, quelli della memoria e dei conflitti, che dimorano negli strati profondi della mente, relegati negli anfratti della memoria, ma ancora vivacissimi, ricchi di affetti e di capacità decisionali. Sono quei genitori ai quali da cent’anni a questa parte gli psicoanalisti danno la caccia nelle pieghe dei discorsi dei loro pazienti, sospettando che dipenda da loro una vasta area di pensieri e affetti che i loro pazienti sperimentano.
Acquattati alle spalle dei loro pazienti adulti, gli psicoanalisti hanno assistito alla sfilata dei genitori anni Venti, Quaranta, Sessanta: ora sfilano i genitori degli anni Ottanta, registrati nella memoria dei pazienti appena assunti.
Io faccio lo psicoanalista di adolescenti e preadolescenti, quindi i genitori di cui faccio collezione sono quelli che i ragazzi che vengono in consultazione hanno conosciuto negli anni Ottanta: perciò genitori recenti, anzi nuovissimi.
Anch’essi, come i loro predecessori, sono stati messi in memoria e lì dimorano in attesa di subire le ultime e definitive manipolazioni che l’adolescente è costretto a dar loro. Vengono poi definitivamente fissati in un’immagine stabile, destinata a sussistere immutata per il resto dell’esistenza, poiché dei genitori, dopo l’adolescenza, si finisce per interessarsi relativamente poco, a meno di non essersi ammalati un po’ ed essere costretti a rimanere figli per sempre, condannati ad amare ed odiare solamente loro.
Cosa che il più delle volte non avviene, visto che l’adolescenza sancisce il definitivo tramonto dell?immane potere dei genitori, organizzando una nuova contrattualità, sulla base di un’importante ridistribuzione del potere fra questi ultimi e i figli.
Vorrei sottolineare alcune novità ricorrenti nelle immagini dei genitori che gli adolescenti mi hanno descritto nel corso degli ultimi anni.
I ragazzi lavorano sulle immagini dei genitori con grande accanimento; sono davvero interessati a mettere bene a fuoco le rappresentazioni dei genitori, sentono che è un compito ineludibile, che spetta a loro farlo, poiché la crescita comporta questo passaggio: l’imparare a descrivere i propri genitori, riconoscere le loro voci all’interno della propria mente, differenziare il proprio canto dalle loro nenie e seduzioni.
E gli adolescenti in crisi, nei mesi in cui bazzicano il loro psicologo, si dedicano a minuziosi ripassi di questa materia fondamentale della vita: si mettono in ascolto, sintonizzati sulle trasmissioni dal mondo interno, registrano i messaggi e cercano di tradurli in linguaggio corrente al loro psicologo, che offre qualche commento, generalmente intenzionato ad effettuare collegamenti fra le immagini di mamma o di papà recuperate dagli abissi della memoria e qualche malefatta recente dell’adolescente stesso, nella speranza che questi intuisca quanto ancora sia dominato dall’ansia della madre e dalla rabbia per la latitanza del padre.
Le rappresentazioni dei genitori che mi propongono in questi anni i laboriosi ragazzi sono davvero diverse da quelle che avevo imparato a riconoscere nelle pieghe dei discorsi dei miei pazienti adulti e nevrotici di un tempo. Ho dovuto, anzi, imparare a non utilizzare i miei stereotipi psicoanalitici sul fatidico conflitto edipico e mettermi in ascolto prudente del linguaggio di queste nuove immagini. Immagini davvero assai nuove, soprattutto capaci di suscitare nella mente profonda degli adolescenti sentimenti diversi da quelli catalogati dalla psicoanalisi come loro tipici affetti della prima e seconda infanzia nei confronti dei genitori.
Iniziamo dal padre di oggi. Innanzitutto ha dei contorni sfumati e ciò lo rende difficile da intercettare. La rappresentazione del padre, infatti, da un lato confina con quella della madre, che si sovrapone alla sua e congloba ampie zone del suo territorio. Dall’altra, confina malamente con gli ideali privati che il ragazzino si è costruito, proprio per compensare l’assenza del padre e crescere ugualmente basandosi su di un acrobatico bricolage sul valore delle norme. I padri hanno contorni incerti e sono dotati di linguaggi un po’ ambigui: se, infatti, sembrano molto incoraggianti e valorizzanti, tuttavia spesso si esprimono con note di subdola svalorizzazione del figlio. Ed è proprio di questo aspetto che vorrei sottolineare la novità e l’importanza dal punto di vista educativo.
La rappresentazione interna di un padre sprezzante è l’edizione aggiornata del padre castrante di antica memoria edipica. La castrazione paterna, se c’è ancora (e si verifica spesso) si serve del disprezzo, non della paura: è questa una novità interessante di cui è utile tenere conto.
Nella mente di alcuni sfortunatissimi adolescenti ho incontrato questa immagine di
padre: subdolamente sprezzante, ferocemente intenzionato a suscitare sentimenti di vergogna nel figlio per quello che è, che fa, o che non riesce ad essere e fare. Non si tratta affatto di padri assenti: l’assenza del padre è un’altra vicenda destinata a suscitare nei figli l’immagine di un superpadre ideale, molto più imbarazzante di qualsiasi padre reale. Il padre sprezzante è invece sufficientemente presente ed ha con i figli una relazione di particolare accanimento.
Se dovessi dare retta alla descrizione dei figli, direi che si tratta di uomini decisi a tutto, pur di ottenere l’approvazione dei figli e forse un po’ di più: l’applauso, l’ovazione, l’ammirazione. Sono padri esibizionisti, che ostentano la nuova ricchezza e i suoi emblemi, il potere sociale, la prestanza, l’abilità sportiva, le capacità seduttive, padri che fanno intravvedere altre donne come trofei, uomini belli e spregiudicati con i figli.
Non si tratta, cioè, di padri che simulano e ostentano funzioni paterne, ma se ne servono per incassare l’applauso dei figli, impegnati nelle loro apparizioni sulla scena a farsi notare e ottenere la loro razione di estasi filiale nei confronti del padre prodigio.
Qualcosa in loro fa sì che ritengano sano ed educativo indurre i figli ad ammirarli, nella convinzione che, se un bambino ammira il padre, è come se avesse un padre. Ma ciò non è vero, poiché al bambino non serve essere lo specchio narcisistico dell’uomo che dovrebbe fargli da padre, un piccolo oggetto sé comperato dal padre.
Non solo non serve al figlio essere costretto ad applaudire le esibizioni e le acrobazie sociali e sportive del nuovo padre, ma in molti casi m’è sembrato che ciò abbia effetti preoccupanti. I ragazzini, infatti, ne rimangono, per così dire, sconcertati e in definitiva ne desumono che il padre, il quale ama il proprio splendore, non può che disprezzare la loro misera ed infima capacità di stupirlo, visto che il padre esibizionista si annoia subito e dopo un breve istante di attenzione, torna presto ad essere lo splendido protagonista.
Cosa questa, che ovviamente viene recepita dal figlio come una decisa svalorizzazione dell’età dei figli, regno dell’impotenza.
Più del ragazzino-paziente – che progressivamente mette a fuoco il sentimento di diprezzo per il sé infantile, sperimentato ancora come retaggio della relazione della propria infanzia con l?esibizionismo paterno -, mi ritrovo più spesso ad essere contrariato personalmente da questa immagine di padre immaturo, narcisisticamente molto fragile, seduttivo e incapace di comprendere il bisognio dei figli di rispecchiarsi in lui.
Il figlio, infatti, non avverte solo rabbia nei confronti del padre seduttivo e bamboleggiante, ma sperimenta anche una certa compassione, una nuova forma di pietas filiale nei confronti del padre debole, schiavo del proprio lavoro e dei miti del benessere.
In un certo senso, si vendica delle difficoltà incontrate a farsi semplicemente notare, a farsi intravvedere, oltre che come spettattore, anche come aspirante protagonista della propria piccola vita di alunno delle elementari e di baby- soggetto sociale con i propri amici e mille difficoltà da affrontare senza padre, dal momento che il padre narcisisticamente fragile non può essere convocato, se non nelle grandi occasioni dei successi ottenuti per attirare la sua attenzione, nella speranza, però, di non mortificarlo troppo.
Durante l’adolescenza sono forse più le figlie femmine che si liberano sarcasticamente e con elevate dosi di disprezzo dal padre esibizionista, prendendolo in giro sia nella costruzione dei valori di riferimento della propria identità di genere sia nella relazione reale che spesso diviene altamente conflittuale, a causa delle reazioni rabbiose del padre ferito narcisisticamente dalla radicale disistima della figlia, una volta spettatrice estasiata dalle sue performances.
Il figlio maschio è generalmente più triste che arrabbiato e per motivi legati aIl’affinita di genere coglie anche l’aspetto di fragilità e solitudine del padre, cercando di imparare a trattarlo, perdonandogli la sua incapacità di essere attento e partecipe.
Alcuni adolescenti ospitano nella loro mente un padre sprezzante ed esibizionista, schiavo del proprio lavoro e dei suoi miti. Capita che alcuni si trasformino in giocolieri e acrobati di strada, assieme a dei coetanei e a parecchi cani, tutti molto sporchi, vivendo in ambienti assai degradati, ma decisi a guadagnare qualche soldo e un po’ di attenzione, esibendosi dinnanzi ai passanti come mimi statuari ed immobili per ore, o mangiafuoco, o capaci di far girare nell’aria palle e altri oggetti per delle ore e dopo strenui allenamenti.
Costoro non sono certo mai venuti a parlare con me, ma sono venuti i loro padri, trasecolati da una decisione tanto imprevista e così lontana dal loro bisogno di essere riconosciuti come modello ideale di riferimento. Discutendo insieme non siamo arrivati molto lontano dall’ipotesi che la scelta dei figli di fare i giocolieri di strada avesse qualche assonanza con un bisogno profondo di farsi notare dagli adulti e vivere nel loro sguardo di ritorno. Se il padre vuole che tornino a casa, o almeno nei suoi paraggi, deve chiedersi cosa potebbe fare per sostituire il pubblico che il figlio cerca nelle strade e smetterla di chiedere al figlio di fargli a sua volta da pubblico.
Naturalmente, non voglio certo sostenere che il padre sprezzante sia una novità assoluta. La figura di Erode ha anche questo aspetto, confermando che la tendenza degli adulti a cercare il consenso più che l’educazione dei cuccioli è antica.
Ho però l’impressione che l’interpretazione della paternità sia divenuta un rompicapo per molti uomini e che la tentazione di offrire ai figli un modello enfatico e retorico non tanto di padre quanto di uomo adulto, potente e capace, sia una tentazione comprensibile per uomini che hanno poco tempo e soprattutto scarse attitudini ad interpretare in modo più responsabile ed evoluto la paternità.
Il padre debole è una realtà educativa diffusa: si tratta di imparare a riconoscerne il linguaggio e gli effetti. Se il padre sceglie di non farsi obbedire per paura e neppure per amore, può essere tentato di farsi obbedire per estasi ed ammirazione, cioè sciegliendo la strada della seduzione e degli incantesimi narcisisitici e creando un clima di complicità per contrastare il sentimento di realtà e la percezione del limite: in pratica sovvertendo Ie tradizionali funzioni del padre e proponendo l’onnipotenza come modello.
Quando parliamo di fragilità narcisistica dei nostri allievi e dei ragazzi che dobbiamo aiutare a crescere attraverso progetti educativi, dobbiamo, a mio avviso, chiederci quale ruolo attribuiamo al padre debole, seduttore, bisognoso del consenso, che gira per casa e strizza l’occhio al figlio, facendogli intendere una complicità foriera di molto successo.
Quando, invece, sopraggiungono l’insuccesso scolastico e le mille traversie della crescita, cosa dice il padre seduttore al figlio se non: “Che delusione, vergognati”, suggellando così il trionfo della propria debolezza narcisistica e l’incapacità di rispecchiare teneramente il figlio nella sua originalità fatta di piccolezza e confusione, oltre che di capacità nascenti, assai bisognose di padri teneri e affettuosi, che non hanno nulla a che vedere con i padri deboli.
Il padre debole, a mio avviso, ha fatto il suo debutto come interpretazione diffusa della paternità a metà degli anni Ottanta, proprio quando sono nati i ragazzini che ora vengono in consultazione da me e intasano gli spazi d’ascolto aperti nelle scuole.
Il padre debole ha sostituito il padre assente che non poteva più esistere e aveva capito di essere convocato dalla madre del figlio stesso a tornare urgentemente sulla scena educativa, a causa di molteplici motivi che rendevano la latitanza del padre assolutamente scandalosa e quindi sconsigliabile, soprattutto per gli uomini che vivono in contesti sociale medio-alti, ove i nuovi modelli di genitorialità sono prescritti con elevato fervore.
Il padre debole è l’uomo che non ce l’ha fatta ad assumere le vesti del nuovo padre, quello affettuoso ed empatico, coinvolto nella relazione affettiva ed educativa con i figli, forse l’interpretazione più interessante e sempre più in via di affermazione nei prossimi anni. Il padre debole è un sottoprodotto del padre assente, rappresenta un parziale ritorno del padre sulla scena della relazione con i figli, ma la sua scarsa convinzione e l?essere a sua volta figlio di un sistema educativo che stenta a creare futuri padri, lo induce a tentare di presentarsi più come uomo adulto, che come padre, dando origine, quindi, a una certa confusione. E ciò non solo nel figlio, ma anche nella madre, che stenta a capire se il padre faccia il padre o il fratello maggiore.
Eccoci così giunti alla madre, la nuovissima madre. La definisco così perché tutte le ricerche sulla nuova interpretazione del ruolo materno concordano nel sottolineare le innovazioni che si sono introdotte nell’esercizio di un ruolo avvezzo ad antiche e sontuose interpretazioni. La “grande madre”
mediterranea in parte è un’invenzione consolatoria, in parte è realmente esistita.
Mi limito a fare qualche cenno, così come ho tentato di fare a proposito della rappresentazione del padre debole, sulla rappresentazione della “madre forte”. Essa alberga saldamente in molti preadolescenti ed adolescenti, che nel corso delle consultazioni psicologiche ne parlano con ambigua devozione.
L’aspetto interessante della rappresentazione della madre forte riguarda la qualità delle ingiunzioni che rivolge al figlio ed anche alla figlia dalla profondità delle loro menti, ove è registrata la sua voce incalzante fin dagli albori della loro formazione. E’ una voce facilmente intercettabile e i suoi contorni sono facilmente definibili, a differenza di quelli del padre.
I grandi temi che la madre forte rivendica come propri sono l’autonornia fondata sulla responsabilizzazione, la socializzazione con i coetanei, la manutenzione dell’ambiente. I figli adolescenti che affrontano il processo di separazione dall’area materna sono costretti a dare risposte adeguate alle richieste che la madre interna fa loro in modo sempre più vigoroso, in base al livello di sviluppo raggiunto ed alla qualità di resposabilità che ora possono assumersi.
La rappresentazione interna della madre forte promuove lo sviluppo di abilità e competenze, buone capacità di autocontenimento e una forte spinta a conquistare visibilità sociale nel mondo dei coetanei. E’ soprattutto questo aspetto che mi pare interessante sottolineare dal punto di vista delle caratteristiche del bambino supernovo; un aspetto che conduce a conseguenze significative e che promuove interessanti problematiche educative.
I ragazzi con cui lavoro sono sicuramente caratterizzati da un forte desiderio di relazioni con i coetanei, che ha assunto caratteristiche nuove rispetto alle generazioni precedenti. Preadolescenti maschi e femmine hanno costruito o stanno costruendo una microsocietà di coetanei, nella quale sono investiti aspettative e desideri molto intensi. In moltissimi casi sono certo che i ragazzi arrivino ad appartenere molto di più alla loro famiglia sociale, cioè al gruppo degli amici e dei coetanei, che alla loro famiglia naturale. Nella maggior parte dei casi hanno due famiglie, quella naturale e quella sociale e traggono sostegno affettivo e stimoli educativi da ambedue. Mentre però la famiglia naturale è ritenuta acquisita e viene poco curata, la famiglia sociale ottiene moltissimo e costringe a grandi sottomissioni e all’assunzione di una rigida etica masochistica che li impegna a dare tutto al proprio gruppo, nel contesto di un atteggiamento quasi “tossicofilico”, di ambivalente dipendenza. Nella mente dei preadolescenti attuali la rappresentazione del gruppo di amici occupa un posto di elevata importanza affettiva e valoriale ed intrattiene con le rappresentazioni dei genitori un complicato rapporto.
Ho l’impressione che fra gruppo di amici e ingiunzioni della madre forte ci sia una profonda e segreta correlazione. In molti casi mi è sembrato che i figli realizzassero l’aspettativa materna gettandosi a capofitto nella socializzazione con i coetanei ed individuando nel gruppo un soggetto psicologico capace di erogare affetto e sostegno durante la crescita. La madre forte fa da “regista” di questo processo, indicando la direzione da prendere, quella della socializzazione precoce, verso la costruzione di una famiglia sociale che sia in grado, durante la crescita, di sostenere, di proteggere, consolare e condividere le speranze ed i timori.
All’origine della rincorsa verso il gruppo dei coetanei c’è un suggerimento della madre forte, garante della bellezza dell’avere amici fraterni con i quali giocare, studiare e condividere la crescita. I ragazzi vivono questo suggerimento, valido a tutte le età, come un’espressione della forma materna, allo stesso modo in cui vivono come espressione di debolezza i timori e le gelosie della madre stessa nei confronti del gruppo di amici e del fascino prepotente da questo esercitato.
La madre forte non ha paura degli amici del figlio: teme, semmai, che il figlio non sia capace di costruire vincoli con i figli delle altre famiglie e rimanga solo nella casa semivuota ad annoiarsi ed intristirsi.
Questa è senz’altro un’interessante novità nell’interpretazione del ruolo materno, poiché ero abituato ad ascoltare da parte degli adolescenti rappresentazoni della madre interna che la caratterizzavano come “la più accanita nemica dell?amico del cuore e del gruppo sedizioso degli amici contagiosi”.
Invece, ora sento parlare con foga della madre forte che chiede ragione al figlio dei motivi per i quali non sia ancora riuscito ad infiltrarsi in qualche gruppo di coetanei o a costruire una coppietta eterosessuale, sicuramente meno invocata del gruppo, ma, in casi estremi, ugualmente positiva.
La madre forte, quindi, si caratterizza agli occhi del figlio per la modesta quantità di dipendenza richiesta, cioè per la capacità di intrattenere con lui una relazione ricca di affetti ed anche di conflitti in spazi e tempi limitati, domandando, invece, molto a se stessa e anche al figlio in termini di capacità di trovare fonti di soddisfazione e contenimento affettivo, anche in altri spazi diversi da quello domestico.
D’altra parte, la madre forte propone se stessa come modello di capacità di ridurre la dipendenza dalla nicchia affettiva, potendo così i figli prendere lei stessa come modello. La madre forte spinge verso la ricerca di affetti esterni, meno interessati di quelli familiari. In questo modo fra madre forte e gruppo degli amici si stabiliscono profonde correlazioni destinate ad avere conseguenze di vario tipo.
Il bambino supernovo non e più comprensibile solo nella dimensione di figlio della propria madre: per capirlo è necessario conoscere l’importanza che ha per lui la relazione con la sua famiglia sociale, dalla quale profondamente dipende e che lo influenza potentemente.
I segreti del nuovo bambino sono molto meno edipici di quelli di un tempo e molto più legati al desiderio di fidanzarsi e sposarsi non più con la mamma o il papà, ma con la compagna o il compagno di banco. Le maestre conoscono bene l’intesità e la diffusione di questi amori infantili; come nella classe sia vivace il tramestio di coppiette che si formano e si disfano nel corso della mattinata.
La madre forte contempla dal proprio scranno la formazione precoce delle coppiette e non è affatto contrariata; direi che è semmai compiaciuta dalla precocità del figlio e dalla sua capacità di chiedere e ottenere affetto da altre fonti. Il successo sociale dei figli è molto ambito e sponsorizzato da questo tipo di madri: per questo vengono ritenute forti dai figli, perché sono come dei bravissimi allenatori che incitano alla vittoria, dando il buon esempio.
Sappiamo che in prospettiva siamo convocati a fornire una risposta ai problemi che lungo questa via si vengono inevitabilmente ad innescare, primo fra tutti quello della dipendenza dal gruppo degli adolescenti attuali, per i quali è necessario tentare di capire come si possa fare ad aiutarli a negarsi al gruppo, quando questo propone loro comportamenti dissennati che individualmente nessuno compirebbe. Ma questo è un altro scenario.
Vorrei invece concludere questa parabola sul “padre debole” e la “madre forte” con alcune brevissime considerazioni.
Esprimendomi da psicoanalista di adolescenti in crisi, che cerca di utilizzare gli spunti provenienti dal proprio lavoro clinico come una delle risorse da spendere nei progetti di prevenzione del disagio minorile nelle scuole, credo che il bambino supernovo debba imparare a godere e a sfruttare gli aspetti positivi della fragile intepretazione del ruolo paterno che gli adulti maschi riescono ad offrirgli. Gli aspetti sprezzanti e competitivi nei suoi confronti possono essere esorcizzati in vario modo, ma soprattutto valorizzando al massimo le risorse messe a disposizione dalla fragilità del padre, che ha bisogno dell’approvazione dei figli. Questa collocazione del padre non è certo un monumento alla coerenza educativa e sicuramente pone un mare di problemi ai figli stessi, ma non è solo distruttiva: certamente non lo è di più di altre intepretazioni polemiche e autoritarie del ruolo di padre. In fondo, il “padre prodigio” desta anche tenerezza e la tenerzza è sempre migliore della durezza insegnata dai padri di un tempo.
Quanto alla madre forte, è chiaro come la sua presenza ponga qualche problema ai figli, soprattutto a quelli di indole un po’ pigra e poco socievoli. Ma questo tipo di madre è sicuramente più maneggevole della grande madre simbiotica e vischiosa: la sua componente espulsiva contribuisce potentemente a rendere il bambino supernovo un bambino molto socievole, a volte anche troppo.

* il testo corrisponde alla relazione presentata dal professor Charmet in occasione del convegno “Il bambino supernovo”, tenutosi a Castiglioncello (Li) l’8/9/10 maggio 1998 e organizzato insieme al Coordinamento Genitori Democratici. Lo stesso testo sarà pubblicato all’interno degli atti del convegno, a cura del Coordinamento Genitori Democratici, che ne ha gentilmente
concesso la pubblicazione anche su Pedagogika.it.