VITA SCOLASTICA E RITI DI PASSAGGIO

Di DAFNE GUIDA
(Presidente Cooperativa Stripes)

Anche per parlare di riti di passaggio nella vita scolastica è necessario esplicitare un ricorrente principio generale, riguardante la nostra società: in occidente si sostiene l’idea della continuità dell’identità individuale al di là dei cambiamenti che avvengono nel ciclo della vita, mentre nelle cosiddette società tradizionali, caratterizzate da un quadro sociale stabile, si ritiene che per far posto ad un nuovo ruolo si debba agire uno strappo definitivo da quello precedente. Questo fa sì che in tali società i riti di passaggio (per esempio il passaggio dall’infanzia all’età adulta), spesso difficili e fisicamente dolorosi, dove colui che è sottoposto al rito deve dimostrare di essere capace di gettarsi il vecchio “io” alle spalle per acquisire una nuova identità ed un nuovo ruolo all’interno dell’organismo sociale cui appartiene,  vengano ad assumere un’importanza fondamentale; da noi, invece, nell’epoca in cui stiamo vivendo, i riti di passaggio sembrano, almeno apparentemente, scomparsi ma loro tracce evidenti possono essere ritrovate nelle fiabe, nei miti e nei racconti popolari ogni volta che l’eroe deve superare prove pericolose e complicate allo scopo di evidenziare le qualità di coraggio, astuzia, intelligenza e così via, indispensabili per ben competere con gli altri nella vita adulta.

Da quanto detto consegue che se vogliamo rintracciare riti di passaggio contemporanei nella nostra società bisogna farlo andando a cercare momenti ed eventi meno laceranti e definitivi, sia nella loro forma che nel loro significato, rispetto a quanto accade nelle società tradizionali, nel rispetto di quella continuità dell’identità individuale all’interno della quale vengono racchiusi anche i concetti di sviluppo ed evoluzione come condizioni della vita di ogni individuo.

Pensare alla continuità in un’ottica educativa significa pensare all’educazione del bambino come ad un processo dinamico e complesso che risente dell’interazione tra le diverse agenzie formative, dalla famiglia al nido, alla scuola dell’infanzia, all’elementare e agli ordini scolastici successivi.

In quest’ottica e trattando di vita scolastica, riti di passaggio legati a momenti ed eventi particolari, che siano comprensibili, significativi, efficaci e stimolanti per bambini e ragazzi, nonchè decifrabili e rassicuranti per i genitori, hanno la funzione principale di favorire il raccordo di diversi percorsi educativi, piuttosto che quella di segnare salti, fratture e cambiamenti totali e definitivi. Organizzare situazioni che sostengano la transizione è un atto che contribuisce a creare un clima di accoglienza per i bambini e le famiglie.

I riti di passaggio nella vita scolastica hanno quindi lo scopo di sottolineare che c’è un momento in cui avviene un cambiamento, che siamo giunti ad una tappa fondamentale all’interno di un percorso evolutivo che rimane sostanzialmente unitario nella costruzione dell’identità individuale.

Ma allora, pur nella constatazione di questa unitarietà individuale di fondo, cos’è che cambia di così importante da dover essere considerato un passaggio da ritualizzare?

Lungi dal tentare di dare una risposta esaustiva a questa domanda, possiamo cercare di “giustificare” la ritualizzazione di alcuni momenti cercando di capire la natura, l’ordine di cambiamenti che avvengono in certi ambiti individuali, definibili, in termini di psicologia sociale dei gruppi, come cambiamenti di ruolo e cambiamenti di status. Qualsiasi gruppo umano tende ad organizzarsi in una complessa struttura di classificazioni che formalizzano i legami tra gli individui, tra il singolo e la società per garantire la coesione interna e la continuità su cui si basa la sopravvivenza di una società. Secondo R. Brown (1) la specificazione del ruolo particolare che un individuo ricopre all’interno di un gruppo (che può essere anche l’intera società) dipende direttamente dalle peculiari aspettative che vengono associate al ruolo stesso; gli elementi fondamentali dai quali invece si può ricavare il livello dello status di un individuo sono la tendenza a dare inizio ad idee ed attività che vengono continuate dal resto del gruppo e un certo prestigio consensuale, una valutazione o classificazione positiva da parte degli altri nel gruppo.

Proviamo adesso ad utilizzare questi concetti nell’analisi dei significati di due momenti fondamentali della vita scolastica, l’ingresso di bambini e bambine nella scuola primaria e gli esami, per cercare di capire quanto e come essi vengano interpretati e vissuti quali momenti di passaggio e di cambiamento e quale sia la “necessità sociale” di ritualizzarli.

 

“…Gli stivali della mamma si allontanano mentre mi giro a cercare quello che la maestra ha detto essere il mio posto. Una bimba con le trecce più lunghe che abbia mai visto mi fa segno di sedermi accanto a lei; è così organizzata, ha un astuccio enorme e un sacco di gomme colorate. Il mio banco è accanto alla finestra… guardo fuori e vedo tanti genitori che si attardano sul marciapiede della scuola. Trattengo le lacrime che copiose vogliono svignarsela dai miei occhi e penso ai tanti bambini che oggi diventano grandi… io sono senz’altro la più piccola di tutti loro. O, per lo meno, mi sento così”(2).

 

Nel lavoro di pedagogista che svolgo in ambito scolastico mi è spesso capitato di parlare con i bambini  delle emozioni che hanno accompagnato i primi giorni di scuola e con i genitori delle piccole rivoluzioni che l’ingresso del loro bimbo a scuola ha scatenato nell’intero nucleo famigliare.

Il bambino che va a scuola per la prima volta è un bambino che “debutta” in società. Oggi tali debutti sono numerosi e precoci (basti pensare alla vita comunitaria dell’asilo nido) ma la scuola elementare rappresenta un cambiamento drastico, importante, per il ribaltamento sostanziale della propria routine quotidiana, per i limiti imposti alla propria espressione corporea (viene richiesto infatti di occupare un posto, un banco per diverse ore). Cambiano inoltre i codici comunicativi che si caratterizzano in termini normativi e non più esclusivamente affettivi: gli insegnanti formulano via via consegne sempre più dirette ed esigono prestazioni “sociali” palesando tratti di quel comportamento valutativo che, unito ad altre importanti dimensioni, costituisce l’assetto professionale del docente. L’atteggiamento ed il comportamento dei genitori è importante nel determinare la qualità dell’impatto che il bambino avrà con la scuola.

Accade, in occasione dell’ingresso a scuola una significativa interruzione della continuità precedente e una conseguente fatica di trovare il nuovo adattamento a una situazione di vita che è cambiata. La ricerca di tale nuovo equilibrio, è assimilabile a quella condizione di sospensione e di stallo descritta da Van Gennep e identificata come “rito di margine”. In realtà il percorso evolutivo unitario e continuo “si raccorda” attraverso i riti interpretabili non come faticosi luoghi di transizione ma come delicati supporti al cambiamento.

Nel momento in cui si verifica un cambiamento formale, istituzionale, di ruolo, come accade ad un bambino o ad una bambina che diventano “alunno” o “alunna”, si modificano anche le aspettative della società (nelle sue articolazioni: la famiglia, la scuola stessa, le altre istituzioni,etc.) nei loro confronti, sulla base del nuovo ruolo che essi vengono ad assumere. Così, anche se fino ad allora i piccoli avevano frequentato la scuola dell’infanzia, è con il loro ingresso nella scuola primaria che ci si comincia ad aspettare da loro e si pretendono atteggiamenti nuovi: l’impegno, la costanza, l’attenzione nello “studio”, il rispetto preciso dei tempi e dell’organizzazione scolastica, il presidio e l’efficienza della strumentazione tecnica personale (la”cartella”, l’astuccio, i quaderni, i libri, il diario) e così via. Tali competenze procedurali e metodologiche segnano il loro esordio in questo periodo e dovrebbero caratterizzare tutta la vita scolastica dell’alunno.

Dal punto di vista della valutazione dello status è incontestabile che questo “debutto in società” coincida con un elevamento dello stesso: aumenta il credito che adulti e bambini più piccoli, rispetto al periodo precedente, danno ai discorsi e alle congetture degli alunni in erba e, solitamente, questi si ritrovano all’interno di una rete più fitta di interazioni verbali, non fosse altro che per parlare di esperienze scolastiche che adesso possono essere condivise.

 

Per far sì che l’impatto con il “nuovo” possa rivelarsi il più “soffice” e il meno traumatico possibile e che le nuove condizioni di status e di ruolo dei bambini diano effettivamente i frutti positivi descritti, si adottano rituali finalizzati a favorire il distacco e il cambiamento. Tra i riti più moderni introdotti nella scuola al fine di facilitare l’ingresso nella scuola primaria dei bambini provenienti da quella dell’infanzia ci sono le “feste di accoglienza”; tali eventi, che di solito hanno luogo nella tarda primavera, vengono generalmente organizzati in modo tale che gli alunni delle elementari ricoprano il ruolo di tutor nei confronti dei cosiddetti “remigini”, ossia dei bambini che nel successivo anno scolastico frequenteranno la I° elementare. In una situazione definibile anche in termini di peer-education i più grandi presentano la scuola, la sua organizzazione ed i suoi contenuti ai più piccoli, li accompagnano per i sentieri di questa nuova realtà, rispondono alle loro domande, cercando di creare, prima di tutto, un clima relazionale capace di fugare negli interlocutori ansie, timori e paure. Le feste di accoglienza hanno anche lo scopo di rassicurare i genitori che, forse ancora più dei loro figli, hanno bisogno di abbassare il livello di ansia generato da tutte le domande che naturalmente sorgono di fronte ai nuovi impegni e alle nuove performances richieste ai loro figli.

 

Dal clima festoso e collettivo del rito d’ingresso alla scuola primaria si può passare ad un altro rito di passaggio, quello “solenne”, ansiogeno e individuale dell’esame.

…mio padre non aveva poi sbagliato a dir che un laureato conta più di un cantante.. .” (da F. Guccini, L’avvelenata)

E’ in aula, proprio nell’esperienza solitaria dell’esame, che il giovane compie l’importante passaggio da una valutazione affettiva-familiare, a quella, più oggettiva, della società, che la scuola appunto dovrebbe rappresentare.

La paura dell’insuccesso incombe e l’ansia domina. In genere chi ha già superato l’esame, da tanto o da poco tempo, se cerca di aumentare il livello di impegno e di concentrazione, nonché di ansia, dell’esaminando descrive l’esperienza come una prova veramente difficile, dalla quale si esce positivamente solo se si è bravi e preparati oppure fortunati e/o scaltri; e può succedere anche che ci sia chi quell’esame non l’ha mai fatto ma è prodigo comunque di consigli e di suggerimenti che notoriamente non si negano a nessuno. Difficilmente si crea intorno all’esame un’atmosfera distesa, per non dire di festa, se non dopo che esso è stato superato positivamente: qui allora inizia il racconto e spesso anche la sua mitizzazione. Prima, però, c’è in ballo qualcosa di molto importante, ossia l’attesa per le proprie performances e l’esito largamente incontrollabile con conseguente innalzamento o abbassamento del livello di autostima.

Uno dei significati più generali dell’esame come rito di passaggio è che esso segna l’uscita dalla condizione protetta e felice dell’infanzia in direzione dell’universo sconosciuto e potenzialmente pericoloso della maturità: ovvero l’abbandono di uno stato di minorità a favore dell’autonomia adulta .

Il superamento dell’esame significa aver dimostrato l’acquisizione di determinate conoscenze, competenze e abilità e ciò, in termini di ruolo, comporta un innalzamento delle aspettative  della società .Colui che si sottopone al rito della valutazione con esito positivo modifica pertanto la propria condizione acquistando il prestigio e il consenso tipici e distintivi del nuovo status.

 

 

 

 

 

 

 

Note bibliografiche :

  • Brown, Psicologia sociale dei gruppi, Il Mulino, Bologna 1990
  • Brano tratto da Laboratorio autobiografico a scuola, Landriano 2004

 

bibliografia

 

A.Van Gennep,. I riti di passaggio Boringhieri 1992

 

M.Croce, A.Gnemmi (a cura di), Peer education, Franco Angeli, Milano 2003

 

A.Marcoli, Passaggi di vita Mondadori, Milano 2003

 

R.C.Pianta, La relazione bambino-insegnante Cortina, Milano 2001