La ragazza del convenience store

Murata Sayaka

La ragazza del convenience store

Edizioni e/o, Milano 2018,

pp. 168, € 15.00

Carla Franciosi

Autentico caso letterario in Giappone, vincitore del prestigioso premio Agutagawa, questo breve romanzo si impone all’attenzione di chi legge soprattutto per la leggerezza, velata di ironia, e la lucida semplicità con cui l’autrice ci accompagna in un mondo surreale, a tratti grottesco, a tratti dolce e disincantato, spesso spiazzante. È il mondo del convenience store (konbini in giapponese) e di una donna, Keiko, che a questo luogo ha deciso di consacrare la propria vita.

I konbini, vera e propria istituzione nel Giappone odierno, sono piccoli, efficientissimi supermercati, diffusi capillarmente, aperti giorno e notte, sette giorni su sette. Dietro la facciata di efficienza e cortesia celano però l’in- quietante realtà di un lavoro vessatorio, poco qualificato, scarsamente retribuito e da tutti considerato come una soluzione transitoria o di ripiego.

Da tutti, ma non da Keiko Furukura, che lavora nello stesso convenience store da diciotto anni, da quando, studentessa, rimase affascinata da “quello spazio così luminoso e trasparente da sembrare un acquario” e decise di farsi assumere e di “rinascere” come commessa di un konbini: “In quell’istante, per la prima volta nella vita, assaporai la sensazione di aver trovato il mio posto nel mondo. Sono nata, finalmente! Pensai entusiasta. Quello fu il primo giorno della mia nuova vita come “normale” componente degli ingranaggi della società.”

Già, perché Keiko è in cerca di normalità fin dall’infanzia, da quando le sue reazioni contrarie al sentire comune e la sua incapacità di capire e interiorizzare le regole del vivere sociale, che involontariamente finiva sempre per infrangere, la rendevano “strana e diversa” agli occhi degli altri. Per sopravvivere ha imparato a mimetizzarsi, imitando le altre persone, stando in silenzio e in disparte, cercando di rendersi il più possibile invisibile.

Ora, ormai trentaseienne, vive una vita solitaria, senza ambizioni, priva di affetti sinceri e di relazioni significative. L’unica sua passione è il lavoro al konbini. In quel manuale rigido di regole alienanti, che obbligano i/le dipendenti a parlare, muoversi, sorridere ed agire secondo un preciso elenco di istruzioni, ha trovato quel che da sempre cercava, ed è diventata una commessa modello, accettata e apprezzata, finalmente parte di un gruppo. Keiko vive e respira nel konbini, lei è una “Konbini Ningen”, come recita il titolo originale che significa letteralmente “persona konbini”. Per lei questo luogo è ossigeno, è casa, è il suo mondo, la sua ancora di salvezza, la sua serenità.

Nel mondo esterno, però, i genitori, la sorella, le amiche, le colleghe continuano a considerarla una persona da “guarire”, come se le sue scelte di vita, diverse da quelle dettate dalla società (lavoro, carriera, matrimonio, figli), fossero sintomo di una malattia contagiosa. Ma Keiko non se ne cura, anzi, a suo modo, rivendica con orgoglio la sua sudata “anormalità” e continua la sua vita con la “musica del konbini” che l’accompagna senza sosta anche quando non è al lavoro.

Finchè non incontra Shiraka, un nuovo collega, più strambo di lei, in cerca di moglie, convinto che l’umanità non sia mai realmente cambiata dai tempi del- la preistoria; un individuo inaffidabile, opportunista e profittatore, che mette in crisi le certezze del suo rassicurante microcosmo.

Keiko vacilla, comincia a porsi domande e le sue riflessioni così spontanee ed ingenue da risultare quasi disorientanti, puntano il riflettore sugli aspetti inquietanti di un conformismo sociale, totale e omologante, tipico del Giappone, ma forse non solo, che inevitabilmente porta all’esclusione di chiunque non si adegui ai modelli tradizionalmente imposti. Così sospesa sul filo invisibile tra “normalità” e “anomalia”, riuscirà Keiko a resistere alle pressioni sociali mantenendo la sua anomala unicità, o cederà al richiamo di quella “normalità” che non le appartiene, ma la riconcilierebbe col mondo? Lo scoprirete in un finale in- calzante e coinvolgente, che fa di Keiko una vera eroina del nostro tempo.

Una critica sottile, ma sferzante da par- te dell’autrice, che, sottraendosi alle convenzioni sociali, a quarant’anni, vive ancora in famiglia e da giovane ha lavorato in un konbini: ognuno ha il di- ritto di essere “normale” a modo suo!