La vita lunga delle donne

Marina Piazza

La vita lunga delle donne

Solferino, Milano 2019,

pp. 220, € 16.00

Claudia Alemani

Nel 1999 Marina Piazza pubblicò “Le ragazze di cin- quant’anni”. Si trattava di uno studio su una generazione di donne che avevano lottato per essere protagoniste della propria storia (il Sessantotto, le lotte sociali degli anni Settanta, il femminismo), per costruire per sé una vita diversa da quella delle generazioni che le avevano precedute, per essere libere di diventare ciò che avevano desiderato. Allora avevano cinquant’anni e vivevano un momento di passaggio tra una fase di vita tutta volta alla costruzione, a una fase forse meno convulsa (i figli adulti, un lavoro ormai costruito) che poteva però offrire opportunità inattese.

Sono passati vent’anni: in quale modo questa generazione di donne affronta ora la fase della vecchiaia? Questo il tema dell’ultimo lavoro di Marina Piaz- za che si sofferma su un altro momento di passaggio delle loro vite: quella sorta di terra di mezzo in cui le donne sono certo vecchie (aggettivo che si usa an- cora con qualche resistenza), ma ancora abbastanza autonome e indipendenti possono (devono?) immaginarsi nel loro futuro breve, e, ancora una volta, senza avere modelli a cui fare riferimento.

Le voci, raccolte durante i tanti incontri che l’autrice ha tenuto in parte a Mila- no e in parte a Lugano, compongono un io collettivo, una comunità che riflette insieme su di sé, che si confronta, che si confida senza pregiudizi, senza paura di essere giudicata. Per questo il testo, ben lungi dall’indicare comportamenti virtuosi da assumere per vivere bene la fase della vecchiaia, riesce a offrire però delle prospettive da cui si può provare (possiamo provare, noi che a questo momento siamo arrivate) ad abitare questo momento della vita. L’obiettivo è quello di addestrarci, insieme, a costruire quel- lo che Piazza definisce un invecchia- mento creativo, piuttosto che un invecchiamento attivo, che rimanda a sforzi un po’estenuanti nel tentativo di cancellare i segni del tempo e di dimostrarci vigorose. Perché gli stereotipi sono sempre in agguato. E se per lungo tempo alla vecchiaia femminile è stata associata l’idea di vittima delle avversità, poi quella di risorsa per la cura familiare, adesso si rischia una colpevolizzazione, quasi a dire che se non si frequentano le palestre, se non si corre ogni giorno, se non ci si sottopone a qualche ritocco, insomma se si invecchia e ci si ammala, la colpa è soltanto nostra.

A quali risorse possiamo ricorrere allora per inventare un nostro modo di invecchiare? A quelle di cui Marina Piazza fa uso per costruire il suo testo: all’intelligenza innanzitutto (quella capacità di scomporre il momento di passaggio, di proporre di guardare all’oggi con gli occhi dell’infanzia, di ritrovare le bambine che siamo state), all’ironia (la competenza di prendere qualche distanza dal quotidiano e di sorridere degli altri e delle altre, ma anche di sé), alla curiosità (quel desiderio di indagare, di confrontarsi, insomma di conoscere, di imparare, di inventare ancora).

Pregio del testo quello di non cancellare le differenze. La coralità è costruita appunto da voci diverse che si incontrano, si dividono, contrastano anche, ma come in un coro trovano una propria armonia, quasi a dare conto del fatto che molteplici sono i modi di invecchiare, così come diversi sono stati i romanzi delle vite.

“E forse, pur nella complessità e nelle differenze, un comune denominatore può essere intravisto ed è l’aspirazione a un ricongiungimento del sé a sé, un’in- versione dello sguardo sulla vita. Mentre nel pieno della vita si accetta la complessità della frammentazione, mi sembra di vedere in questa età la tensione a una ricomposizione di questi frammenti in un mosaico dotato di senso. Per niente scontata, per niente facile.” (p.195)

Una ricomposizione che ha bisogno di calma. Abbiamo il tempo per farla, accettando quel passo lento (forse simboleggiato dalla tartaruga della copertina) che l’età ci chiede, ma che non ci impedisce di andare ancora, di esplorare i limiti, ma anche di scoprire i vantaggi del nostro trasformarci.