Editoriale – OLTRE LO SGUARDO

Care lettrici e cari lettori,
l’ultimo nostro numero di Pedagogika aveva a tema il Welfare culturale ovvero il benessere sociale come “luogo” di salute pubblica. Luoghi e non luoghi custoditi dalle nostre comunità, capaci di coinvolgere fattivamente i singoli soggetti propositori e fruitori della cultura con l’obiettivo di far tornare a vivere eccellenze storiche che il nostro ricco Paese possiede lungo tutto lo stivale.
Abbiamo scritto di come è ormai, a buon diritto, diffusa l’idea secondo la quale le arti e la bellezza provochino in chi le frequenta soddisfacimento: un benessere profondo che coinvolge non solo il soggetto che ne esperisce l’emozione ma che coinvolge anche coloro che gli stanno accanto o che si relazionano con lui o con lei. Questo accade proprio perché le arti, tutte, in generale l’espressione artistica, discostandosi da quelli che sono i processi e le regole del linguaggio verbale, sono in grado di esprimere simultaneamente molti aspetti complessi, indicibili attraverso l’espressione verbale.
È proprio per questo che il titolo del breve editoriale dello scorso numero: Noi, che avremmo voluto parlare della poesia come cura del mondo anticipava quel che in questo Dossier troverete come viatico per comprendere meglio, secondo noi, quel che accade e, soprattutto, ci accade nell’ampliare il nostro sguardo sul mondo attraverso il dispositivo del linguaggio poetico: è stata introdotta una nuova rubrica dedicata proprio alla Poesia che troverete nella Sezione Cultura. Vogliamo tenere questo sguardo sul mondo come filo rosso conduttore dei nostri numeri assumendo la Poesia come una delle arti che racconta e mette a fuoco la realtà nelle sue innumerevoli sfaccettature.
La Poesia può “parlare con tutti” proprio tutti perché può raccontare l’indicibile.
In un incontro che abbiamo tenuto in un carcere italiano, durante un bel pomeriggio primaverile, abbiamo potuto parlare e poetare con i detenuti, leggendo insieme poesie nostre e loro, scoprendo così che molti di loro erano poeti o si stavano cimentando con la Poesia.
L’ascolto delle declamazioni delle poesie era sì l’ascolto delle singole parole ma, in particolare, era farsi percorrere tutti insieme da sentimenti ed emozioni fortissimi nei quali riconoscerci vicendevolmente attraverso le nostre umane fragilità; una narrazione poetica indivisibile e indistinguibile nelle sue varie forme e contenuti proprio in virtù della particolare articolazione discorsiva: un intreccio tra metrica e musicalità, produttore di significati e significanti indissolubilmente legati fra loro e per questo unici.
Ciascuno e ciascuna ha potuto così fare esperienza della realtà attraverso il rimando pulsionale che l’insieme delle parole produce con l’intima certezza di essere stato capito fino in fondo.
Allora la Poesia, come la bellezza, può aiutare a salvare il mondo?
Cosa può fare la poesia per limitare la violenza nel mondo?
Nell’affrontare questo Dossier su violenza e società, abbiamo messo a tema alcune questioni.
Oggi, da più parti, è possibile assistere a una recrudescenza della violenza nella società, all’abbassamento dell’età dei protagonisti di episodi violenti, soprattutto dopo il fenomeno della pandemia. E, tra l’atteggiamento sminuente di chi asserisce che la violenza giovanile sia sempre stata presente in società e l’allarmismo di tipo giornalistico, c’è comunque una certa leggerezza nella decifrazione mentre manca la voce dei professionisti per un’interpretazione pedagogica con la sospensione del giudizio. La dimensione esteriore, infatti, “colpisce” ma non spiega cosa c’è “dietro”. Come possiamo creare una cultura pedagogica che tenga conto anche di questa dimensione dei fenomeni di violenza? Più specificatamente, l’adolescenza è il momento in cui può accadere che gli adulti di riferimento, famiglia e scuola in primis, facciano un passo indietro proprio quando sarebbe necessaria maggiore presenza educativa. Dobbiamo anche tenere conto che in alcune situazioni ci sono dinamiche aggressive nelle famiglie stesse e negli stessi contesti educativi. E, del resto, succede che cambino i ruoli “storici” e il campo rimanga libero senza guide. Molto spesso gli adulti, spaventati, non prendono posizione in modo responsabile e proattivo; a volte cadono in stereotipi, tacciando per violenza quella che sarebbe meglio definire cattiva educazione o inciviltà; l’adulto si sorprende non in grado di relazionarsi con giovani che mettono in atto determinati atteggiamenti. Occorre quindi interrogare la correlazione tra violenza e educazione.
Come riportare in primo piano l’importanza del ruolo dell’adulto come testimone e mediatore, all’interno di un processo educativo di co-costruzione di significati, per trasformare in culturale ciò che di violento accade?
Come operare in questa prospettiva una riqualificazione dei luoghi e degli ambienti di vita che assurga a processo di rigenerazione della socialità laddove essa sembra appiattirsi sulla dimensione tecnologica dei mezzi di comunicazione, soprattutto digitali?
La violenza non è solo dei giovani e gli adulti non possono e non debbono sottrarsi al loro ruolo di testimonianza. È la società ad essere violenta e il disagio contemporaneo è di tutti, non solo dei giovani. La violenza permea i luoghi, fisici e virtuali, e siamo noi adulti ad avere la responsabilità di fornire ai ragazzi un esempio-testimonianza di vita lontana dai comportamenti violenti, lontano da quel soddisfacimento compulsivo che pare caratterizzare ora la nostra società.
In una recente intervista, tratta dal libro curato da Claudio Bencivegna e Alessandro Uselli, Adolescenti e Comunità terapeutiche. Tra trasformazioni e nuove forme di malessere, fatta a Massimo Recalcati, noto psicoanalista con alle spalle decine di pubblicazioni sul disagio dell’adolescenza e sulla famiglia, Uselli interroga il suo interlocutore sul tema della testimonianza da parte di noi adulti:
“Il dono più prezioso, Lei scrive, è la testimonianza, ovvero la trasmissibilità dei valori. Il lavoro comunitario, al di là degli aspetti più specificatamente terapeutici, può avere anche questo valore per gli adolescenti, ovvero di possibilità di tramandare un senso generale e una Legge?”
Massimo Recalcati risponde in chiave lacaniana: “Il senso della Legge, che non è una cosa diversa dal senso del desiderio, non si trasmette tenendo dei discorsi sulla Legge. L’efficacia di una trasmissione è sempre legata al modo in cui essa s’incarna. Voglio dire che se c’è stata trasmissione di un sapere, del senso della Legge e del desiderio, ci deve essere stata testimonianza. Cristianamente è l’incarnazione del Verbo che rende il Verbo stesso credibile […]”.
Si desume quanto è prezioso e insostituibile il lavoro degli adulti, siano essi genitori, parenti, insegnanti operatori di comunità, tutti coloro che stanno intorno all’adolescente o al giovane adulto che sta crescendo e che nel differenziarsi dall’Altro, per potersi riconoscere ha comunque bisogno di sostegno, fiducia, desiderio, amore!
Si tratta di amore, di sapere, nel volgere il proprio sguardo oltre la siepe, che lì ci sia qualcosa che ci aspetta, che aspetta, per incarnarsi, solo noi. Ma, ce la possiamo fare?