SOLO 8 MESI ALL’ESTATE…

Di PAOLA NAVOTTI

Il 21 giugno, giorno del solstizio d’estate, ricorre dal 2014 anche la Giornata mondiale dello yoga: quel complesso di tecniche ascetiche, comuni a varie forme di induismo e buddismo, con le quali si cerca di realizzare la liberazione dai condizionamenti fisici e psichici, per portare l’essere umano ad un assoluto benessere spirituale. Secondo la tradizione indù, proprio il 21 giugno Shiva – l’asceta perfetto, divinità simbolo del dominio sui sensi e sulla mente – avrebbe iniziato a trasmettere i propri insegnamenti. E così, da quel giorno in cui già la natura splende in tutti i suoi germogli ormai fioriti, anche gli esseri umani avrebbero cominciato a rinascere. Il simbolo dello yoga è il fiore di loto, che in estate – non a caso – produce spettacolari infiorescenze molto simili a ninfee.

La storia di questo fiore nasce in Egitto, è antichissima e molto interessante da riscoprire.

Ancora ai nostri giorni, lungo il basso corso del Nilo, capita di vedere le acque coperte da un tappeto di grandi foglie di loto. Su queste distese verdi occhieggiano tanti fiori di colore bianco o blu, che si aprono al mattino – quando la luce diventa più intensa – e si richiudono alla sera, quando il sole tramonta. Fin dal principio dell’età faraonica, questa proprietà del loto attirò l’attenzione degli abitanti dell’Egitto, i quali attribuirono al fiore un ruolo speciale nelle varie cosmogonie e credenze religiose che venivano sviluppandosi. Secondo uno dei miti più diffusi fra quelli inerenti alla creazione, l’universo avrebbe avuto origine quando il dio Aton, che impersonava il sole, uscì dal bocciolo di un loto dischiusosi sulla superficie immobile delle acque primordiali e cominciò a dare vita alle cose. Sulla base di questa credenza si riteneva pure che il sole al mattino si levasse da un bocciolo di loto – quando i petali di questo si aprivano – e che alla sera tramontasse coricandosi nel medesimo bocciolo, che si richiudeva su di esso. Per le connessioni che aveva con la creazione e soprattutto per il suo legame con il sole, che nasce, tramonta e sorge nuovamente, il loto divenne così un simbolo di rinascita. Non è un caso che siano pervenute varie raffigurazioni di defunti che sporgono con la testa da un fiore di loto, così come si pensava che facesse il sole quando si levava.

Il rapporto col sole e il valore simbolico erano una prerogativa di entrambe le varietà di loto che crescevano allora in Egitto: quello bianco (Nymphaea lotus) e quello blu (Nymphaea cerulea).

Negli ornamenti e nelle raffigurazioni troviamo l’uno e l’altro tipo, ma quello blu è più frequente: forse gli era attribuita una maggiore sacralità, visto che il bocciolo, da cui esce il creatore Aton, è pressoché sempre rappresentato con petali blu. Un fiore così diffuso e così apprezzato per il suo valore simbolico e per la sua bellezza ispirò anche artigiani ed architetti che, sul modello del fiore, realizzarono le proprie creazioni: molti templi egiziani, per esempio, sono caratterizzati da colonne lotiformi il cui fusto fascicolato riproduce proprio un fascio di piante di loto, mentre il capitello ha la forma di fiori in bocciolo accostati l’uno all’altro.

Purtroppo, oggi il loto ha una diffusione più ridotta: quello bianco cresce ancora nelle acque del Basso Egitto; quello blu in alcuni settori del Delta; mentre quello rosa, arrivato dall’Oriente nel VI o nel V sec. a.C., è scomparso ormai da tempo. Ma ciò che dispiace di più è che tale fiore abbia non solo perso i suoi antichi significati simbolici, ma addirittura sia considerato una pianta infestante, tanto da essere rimosso dai canali con le draghe. Eppure, una traccia del suo glorioso passato è rimasta nel nome con cui la lingua araba indica il loto: arusa-el-nil letteralmente significa “fidanzata del Nilo”. In ciò, che non può evidentemente essere una coincidenza, leggiamo un suggerimento prezioso, quasi un monito: mai dimenticarsi da dove veniamo e chi ci ha preceduto.