FIORI DELL’ALTRO MONDO
Di PAOLA NAVOTTI
La ricorrenza del 2 novembre, giorno dedicato a ricordare tutti i defunti, non passa mai inosservato. Ogni anno fa affiorare ricordi e nostalgie, così come riflessioni sul proprio destino e su quello degli altri. La morte, in effetti, è la più grande contraddizione della vita e, quando accade – in tutti i modi in cui può accadere, non solo i più tragici, ma anche quelli più naturali – rimanda alle domande ultime della vita, a quei perché che gridano nel cuore dell’essere umano fin dalla tenerissima età. Così, quando ci rechiamo al cimitero, i fiori che deponiamo sui sepolcri non sono soltanto un omaggio, un tributo, un segno di affetto e di rimpianto; ma sono anche espressione del bisogno esistenziale di capire: perché si nasce e si muore, perché si soffre, perché – e per chi soprattutto – si vive. È sempre stato così, fin dai primordi. In una grotta ai piedi dei monti Zagros in Mesopotamia, 80.000 anni fa alcuni individui appartenenti alla specie Homo sapiens seppellivano i loro congiunti deponendo dei fiori accanto alle salme. I fiori rappresentano il bisogno che caratterizza la nostra specie: bisogno di salvezza e di risposte. Di capire e di essere amati, in effetti, non possiamo fare a meno e proprio da qui deriva il nostro grado di creatività. Come per gli antichi, così per noi oggi i fiori rappresentano la formidabile sintesi del sentimento sulla nostra vita: sempre in salita, nel senso di sempre tesa a un bene, ad una bellezza che spieghi e conforti.
Non può che essere per questo che l’essere umano, unico fra tutti i viventi, fin dal suo primo apparire è stato attratto dai fiori. Tanto da farne decorazioni per ogni circostanza dell’esistenza. In questi giorni che precedono il 2 novembre, il fiore che maggiormente campeggia sulle bancarelle dei mercati è la rosa, il più classico dei pegni affettivi. Per questo abbiamo sentito il desiderio di scoprirne la storia. L’offerta della rosa rientrava nella ritualità del mondo greco: nel simposio di Senofane, dove «è un dovere per uomini sereni innalzare prima di tutto un inno alla divinità» viene allestito un altare «da ogni sua parte ricoperto di fiori» (Senofane, B11); ed Euripide fa dire alla bella Elena «Io stavo raccogliendo freschi petali di rosa nel mio peplo, per portarli ad Atena, alla dea dal trono di bronzo, quando Hermes mi rapì…» (Eur. Hel. 244-245). Siamo in un mondo nel quale la natura è fortemente protagonista; i santuari nascono intorno alle sorgenti o nei boschi, e gli dèi intrecciano le loro storie con piante e fiori. La rosa degli antichi greci doveva essere la rosa canina, originaria della Persia e giunta in Grecia attraverso l’Asia Minore e la Tracia; un arbusto sempreverde, con brevi rami spinosi, fiori di media grandezza a petali semplici, bianchi o rosati, solitari o riuniti in piccoli gruppi, e piccoli frutti rossi, tondeggianti. L’olio di rose (rhodinon) è già citato nell’Iliade (XXIII, 186-7), quando Afrodite lo usa per preservare dal disfacimento il cadavere di Ettore. Ed è l’isola di Rodi ad avviare, dalla fine dell’VIII secolo a.C., una fiorente produzione di rhodinon, tanto che la rosa figurerà sulle monete della città di Rodi, coniate in seguito al sinecismo del 408/7 a.C.
E la dea della rosa era per i Greci Afrodite, dea della bellezza e della passione amorosa, dalle splendide vesti profumate con i fiori di ogni stagione, tra i quali la bella rosa sbocciata, dalla dolce fragranza; così la dea è ricordata nei Kypria, attribuiti a un poeta cipriota di fine VII/inizio VI sec. a.C.
Bellezza, passione amorosa, dolce fragranza, ma anche fragilità, debolezza, vulnerabilità: tutto questo sta in un fiore. Tutto questo sta anche nella vita e, proprio di fronte a chi l’ha terminata, si riaccende, si rifà più consapevole, più bruciante. Dunque sì, il 2 novembre è giorno importante per chi vive ancora in questo mondo.