La fabbrica delle parole (etica ed educazione)
Di PAOLA NAVOTTI
L’etica è ricerca di quelle norme di comportamento che portano ad un bene comune. Deriva da ethos, termine greco che cela diversi significati: non solo consuetudine, comportamento condiviso, ma anche temperamento e, addirittura, dimora.
Tale ricchezza etimologica suggerisce la profondità del significato di questa parola: esattamente come una casa, l’etica è ciò che, più di tutto, segna il modo di essere e di agire di un uomo. Esattamente come una casa, l’etica suggerisce norme finalizzate al benessere di chi vive insieme. Come ognuno sente il bisogno di una casa, così ognuno sente il bisogno di un’etica, di uno stile di vita improntato alla ricerca del bene.
Ma allo stesso tempo ognuno sente il bisogno di uscire di casa… di condividere con altri, e anche di verificare, i beni sperimentati nella propria dimora. Ognuno si accorge che «la felicità isolata non esiste»[1]. Ognuno si accorge di aver bisogno di curare ed essere curato.
Ognuno si accorge cioè di aver bisogno di educazione, metodico conferimento e apprendimento di principi intellettuali e morali che rendono la vita… più vita.
L’etimologia latina rimanda a e-ducere: tirare fuori, far venire alla luce qualcosa che è nascosto e, da qui, tirar su, allevare. Che cosa deve essere portato alla luce e allevato, curato, se non ciò che è buono? Educare significa dunque coltivare e far fiorire il bene, il talento presente in ognuno di noi e negli altri. E di questa cura si riconosce di aver bisogno. Come fece Dante con Virgilio: «Poeta che mi guidi, guarda la mia virtù s’ell’è possente, prima ch’a l’alto passo tu mi fidi»[2].
Come un seme attecchisce in una terra adeguatamente dissodata e vangata, così l’educazione può accadere solo seguendo un maestro. E così l’etica non rimane solo una teoria.