Minima moralia pedagogi(k)a
Di RAFFAELE MANTEGAZZA
Professore associato di Pedagogia generale e sociale, Università degli Studi di Milano-Bicocca.
L’uomo è un animale che si pone la domanda di senso. Il che significa che non si domanda solo che cosa sa o può fare, ma anche perché dovrebbe farlo. E grazie alla fantasia e all’immaginazione riesce anche, almeno in parte, a prevedere le conseguenze nascoste nelle nostre azioni. Ma tutto ciò è ancora vero? E soprattutto: lo è in campo educativo?
Abbiamo cercato di riassumere in alcuni quadretti di vita quotidiana alcuni comportamenti poco etici (tutti presi da casi reali senza alcuna modifica), che poi cercheremo di contrastare enunciando qualche formula (in senso kantiano) di possibili nuovi imperativi etici in campo pedagogico.
- Papà devo andare all’allenamento di pallacanestro, mi porti in macchina?
- Ma la palestra è dietro casa, potresti andare a piedi o in bici.
- Sì, ma mi stanco. E poi non vuoi far vedere a tutti la tua macchina nuova?
- Va bene, preparati che la tolgo dal garage.
Agisci in modo che la tua azione possa essere universalizzata. Ovvero: domandati cosa accadrebbe se tutti si comportassero come te. In questo modo si potrà capire: che nessuna azione è inutile; che non siamo impotenti, come spesso ci capita di pensare quando ci troviamo di fronte ai grandi dilemmi etici; soprattutto apprezzeremo il fatto che l’etica è fatta di piccole scelte quotidiane, la cui sommatoria può davvero operare grandi trasformazioni. Come recita un famoso slogan: pensa globalmente e agisci localmente, ovvero fai in modo che la tua azione possa eventualmente essere generalizzata senza danni per gli altri, il mondo, l’ambiente.
- Mamma voglio andare a vedere il film di Disney.
- No, dobbiamo andare alla fiera dell’Artigianato.
- Ma tutti i miei amici l’hanno visto.
- Non è una buona ragione per andarci. Loro ci sono andati, tu farai altro.
- Ma io alla fiera dell’Artigianato mi annoio
- Non fa niente, io devo andarci. La mamma di Paola ha comprato un bel mobiletto, la signora del III piano ha trovato una scrivania. Ieri al lavoro tutte le mie colleghe mi hanno detto che ci sono state.
Agisci in modo che la tua azione sia autonomamente fondata. L’adulto ovviamente non è una persona totalmente libera da forme di dipendenza, ma è colui che riesce a fare in modo che nessuna dipendenza sia totale. Il tossicodipendente purtroppo dipende esclusivamente dalla droga. La persona realmente libera dipende dall’umore del partner, dal tempo atmosferico, dai problemi sul lavoro, ma mantiene una sua identità autonoma che cerca di rimanere coerente anche al variare delle situazioni e degli eventi.
- Mamma, non ho voglia di giocare con Paolo, mi sta antipatico e poi non vuole mai giocare ai giochi che piacciono a me.
- Smettila di fare lo sciocco. Lo sai dove lavora il papà di Paolo?
- Lavora nella mia azienda e l’anno prossimo sarà il mio capo. Anzi, cerchiamo di organizzare una bella pizzata con Paolo, i suoi genitori e la sorellina per la prossima settimana.
Considera sempre l’altro come fine, mai come mezzo. E’ curioso come spesso ce la prendiamo con i ragazzi perché chiedono qualcosa di materiale quanto – come società adulta – anche noi abbiamo dato un prezzo a tutto. E non si tratta solamente di un prezzo in soldi, ma in avanzamenti di carriera, favori considerati come dovuti, relazioni puramente strumentali. La gratuità dell’amicizia e dell’amore sono sempre più a rischio in un mondo nel quale, come si dice con malcelato cinismo, “nessuno fa niente per niente”. Ma una società basata sulle relazioni strumentali arriva fatalmente a considerare ogni persona come un mezzo e ogni fine come subordinato al proprio successo personale, costi quel che costi in termini di sfruttamento dell’altro. Considerare l’altro come fine significa entrare nelle sue gioie e nelle sue speranze, fare qualcosa davvero per il bene dell’altra persona: senza rinunciare alle proprie gratificazioni, ma senza piegare l’altro a mero strumento per ottenerne sempre di maggiori.
- Papà, come si sta bene qui in montagna. E poi quanta neve. Giochiamo a palle di neve?
- Sì, guarda com’è grande e dura questa che ho fatto io. Adesso lanciala oltre il parapetto in quel burrone.
Agisci solo quando puoi prevedere o comunque immaginare una considerevole parte delle conseguenze delle tue azioni. Dove finirà quella palla di neve? Non è affar mio. E se desse origine a una valanga? Io non c’entro, l’ho solo lanciata. L’etica richiede fantasia, la capacità cioè di inseguire la propria azione fino alle sue ultime conseguenze, almeno quelle che possiamo umanamente concepire. Nessuna azione è neutra e soprattutto nessun gesto si esaurisce in se stesso o nelle conseguenze immediate; la catena che si diparte da una nostra azione è responsabilità nostra, e (quando è possibile) è forse preferibile non agire, piuttosto che mettere in moto un meccanismo del quale poi si perderà il controllo.
- Papà ma perché non ti piacciono gli zingari?
- Perché sono tutti ladri.
- Ma non è vero, sai che alcuni ragazzi nella mia scuola sono rom e sono bravissimi ragazzi.
- Beh, aspetta che crescano. E poi sono sporchi.
- I genitori che vengono a scuola a prendere i ragazzi non mi sembrano sporchi.
- Beh, alcuni rapiscono i bambini.
- Ma papà, la mia maestra mi ha detto che questa cosa non è vera.
- Oh, insomma, a me gli zingari non piacciono e basta, e tu cerca di stare ben lontano da quei bambini.
Sappi sempre argomentare in modo razionale le motivazioni della tua scelta. Al di là del razzismo insito in questa posizione del padre, quello che colpisce in questo dialogo è l’assoluta incapacità (o mancanza di volontà) di argomentare le proprie posizioni. Anche perché una affermazione come “gli zingari sono tutti ladri” non è argomentabile, non essendo a rigore una opinione, ma una vera e propria falsità logica. Insegnare ai ragazzi ad argomentare è importante ma occorre ovviamente che siano prima di tutto gli adulti a saperlo fare e a mettersi alla prova nel rapporto quotidiano con i giovani e i giovanissimi. La frase finale “a me gli zingari non piacciono e basta”, oltre ad essere violenta, dimostra assenza di pensiero, mancanza del coraggio consistente nella fatica della riflessione.
- Mamma, non puoi parcheggiare qui. E’ il parcheggio giallo, per i disabili.
- Dai, è solo per 5 minuti, tanto non c’è il vigile.
- Ma scusa perché non andiamo nel parcheggio dietro la chiesa che è sempre libero?
- Sì… sono 500 metri, poi le porti tu le borse della spesa fin là.
- E se arriva un disabile?
- Ma cosa vuoi che arrivi un disabile proprio adesso. Anzi, tu resta in macchina e se vedi arrivare un vigile suona due volte il clacson.
Cerca di fare della tua vita quotidiana un modello e un esempio della società che desideri. L’adulto che si ritiene perfetto è qualcuno da cui fuggire a gambe levate, perché come minimo è una persona che non vuole vedere i propri difetti. Ma anche nascondersi dietro la scusa del “siamo tutti imperfetti” per coprire i propri errori, soprattutto dal punto di vista morale è un comportamento inaccettabile. L’adulto dovrebbe casomai presentarsi come modello di imperfezione, ovvero come una persona che commette errori ma sa imparare da essi, non ripeterli e soprattutto chiedere scusa ed essere pronto a riparare ai danni causati. Ma in questo dialogo c’è di più: se si continua a pensare che le norme debbano essere obbedite solamente per paura della punizione, è del tutto ovvio che l’etica (qualunque etica) perda i suoi fondamenti e lasci spazio al diritto del più furbo, che è spaventoso almeno quanto la legge del più forte.
- Papà ho mal di denti, non voglio andare a scuola.
- Ma è vero o lo dici perché hai la verifica di italiano?
- No, è vero, mi fa male. Vuoi vedere?
- Sì, in effetti è un po’ gonfio, forse hai un ascesso. Ma non penso che sia così grave da non andare a scuola.
- Ma mi fa tanto male.
- E’ impossibile che ti faccia così male. E poi se questo fosse il male peggiore che sentirai nella vita, ringrazia il cielo.
Cerca di comprendere sempre il punto di vista dell’altro. Fa davvero male il dente al ragazzo? O sta cercando una scusa per non andare a scuola per paura di qualche verifica? Anche se fosse vero il secondo caso, occorrerebbe capire per quale motivo le verifiche debbano mettere ansia e timore al punto da inventare scuse per saltarle (quando invece il calciatore vuole tirare il calcio di rigore al 90° minuto proprio per la sottile emozione che lo prende quando immagina di poterlo anche sbagliare). Ma se il ragazzo avesse davvero mal di denti? Qui entra in campo la fiducia dell’adulto nel ragazzo, ovvero quel vero e proprio atto di fede che consiste nel credere a ciò che l’altro mi comunica e manifestargli chiaramente questa fiducia, anche rischiando di essere ingannati. Si tratta di una posizione che non sfocia nell’ingenuità perché, prima di avere fiducia in una persona, devo perlomeno avere creato una relazione significativa con lei; ma occorre anche partire dal dato di fatto che noi non sapremo mai veramente cosa prova l’altro, e nemmeno se ci sta mentendo, e se lo sta facendo consapevolmente o meno. Piuttosto che cercare sempre la verità nell’altro, occorre allora realizzare una verità nella relazione che, se si caratterizza come autentica, permette di riprendere e recuperare positivamente anche le eventuali bugie.
- Mamma, oggi a catechismo abbiamo studiato la parabola del buon samaritano.
- Ah, e ti è piaciuta?
- Sì, poi abbiamo fatto una esercitazione. Dovevamo dire chi era il nostro prossimo.
- E tu cosa hai risposto?
- Ho risposto che il mio prossimo è un ragazzino nero che vive in Zaire.
- Che scemenza. Il tuo prossimo sono le persone che sono più vicine a te; per questo si chiamano “prossimo”: io, il papà, tua sorella. Al massimo tua zia.
Cerca sempre nell’altro ciò che lo rende differente da te. ogni volta che si procede all’inserimento in una classe di un bambino o bambina provenienti da un’altra cultura, si sente qualche genitore uscirsene con frasi quali: “Ma non potete metterlo in un’altra sezione? Così i nostri restano indietro”. Sfugge a queste persone il fatto che è possibile crescere solo tra differenti, e che i i bambini stranieri forniscono una straordinaria opportunità di confronto (prima di tutto linguistico) ai cosiddetti “nostri” (quanto squallore in una sola parola); ma comunque sia, il principio etico e giuridico del diritto allo studio dovrebbe prevalere anche su questa considerazione. Aprirsi realmente all’altro significa essere pronti a modificare il proprio mondo, mettere in discussione l’acquisito, cercare di capire che non esiste solo un modo “giusto” di agire e di comportarsi, ma che l’unica verità è nel confronto e nel dialogo.
L’ispirazione per questo articolo viene dall’episodio “L’educazione sentimentale” del film “I nuovi mostri”, nel quale uno straordinario Ugo Tognazzi interpreta un padre che educa il figlio al cinismo e all’imbroglio, e ne ricava una violenza che colpisce lui prima di ogni altro. E’ però possibile un’educazione sentimentale all’etica della solidarietà? E’ possibile che l’etica possa tornare ad emozionare i ragazzi e le ragazze, i bambini e le bambine?