Musica
A cura di GOFFREDO VILLA
THE SMASHING PUMPKINS
Atum: Act One
Autoproduzione, 2022
Circa due anni fa, dopo aver pubblicato Cyr (2020), gli Smashing Pumpkins avevano dichiarato l’intenzione di voler realizzare una raccolta che fungesse da seguito a Mellon Collie and the Infinite Sadness (1995) e Machina/The Machines of God (2000). Atum: A Rock Opera in Three Acts presenterà una trilogia di album, ciascuno contenente 11 tracce, per un totale di 33 brani. Il primo episodio si intitola appunto Atum: Act One, mentre la seconda e la terza parte verranno rilasciate rispettivamente il 31 gennaio e il 23 aprile 2023. Un lavoro ambizioso quello di Billy Corgan e soci, giunti così al loro dodicesimo disco, che mostra le caratteristiche per essere reputato un concept album. I testi raccontano le storie di Shiny, il cui protagonista deriva da Zero e Glass, due figure provenienti dalle opere considerate il prologo di Atum. Ha dichiarato Corgan: «Nel ’95 c’era Zero. Nel 00s c’era Glass. Ora c’è Shiny. È una sorta di mutazione psicologica di un personaggio nell’arco di un tempo molto lungo. Il suo è un mondo un po’ reale e un po’ fantastico. L’ho sempre visto così. E sicuramente c’è molta autobiografia dentro. Ma anche aspetti che volevo semplicemente esplorare e che non hanno nulla a che fare con me». Ad aprire la raccolta troviamo Atum, una intro strumentale composta da synth eterei e chitarre graffianti che catapulta in un’atmosfera cupa ma solenne. Butterfly Suitedondola in una ninna nanna con un soave pianoforte per poi riavvivarsi in un frammento più ritmato, nonostante spezzoni progressive ne interrompano il naturale flusso. In The Good in Goodbye la rimbombante batteria di Jimmy Chamberlin e chitarre ruvide e ruggenti conferiscono una certa grinta che però si perde in un ritornello troppo spento e monotono. La vena melodica di Embracer funziona abbastanza bene: un dream pop accompagnato da una buona componente corale (caratterizzata dall’ospite Katie Cole) pervade lo spazio di dolcezza e raffinatezza. Le vibrazioni della drum machine e le pennellate dei sintetizzatori colorano With Ado I Do con sfumature anni ‘80, in una traccia abbastanza anonima che si chiude bruscamente. La percezione non cambia in Hooligan, nonostante il ritorno a batteria e chitarre ed un ritornello maggiormente energico. Steps in Time sembra voler rompere gli indugi precedentemente comparsi sul percorso, più decisa e risoluta ma comunque ripetitiva e poco incisiva. In Where Rain Must Fall le tastiere sostengono una ballata sintetica scarna e piatta, mentre Beyond the Vale trasla tratti heavy metal in un cadenzato contesto elettronico. In Hooray! un ritmo ossessivamente e falsamente allegro causa un’immediata irritazione per un brano di cui si poteva abbondantemente fare a meno; The Gold Mask non compensa e rimane inconsistente, ma perlomeno dimostra un andamento coerente per tutta la sua durata. Per quanto un’opera debba essere valutata nella sua interezza, risulta arduo anche al più ottimista dei fan sperare che i prossimi atti siano tanto meglio di quanto appena sentito in Atum: Act One. Mancanza di originalità e creatività, eccessivo e scellerato utilizzo dei sintetizzatori, tracce poco coinvolgenti e senza personalità, difficoltà nell’ascolto: questi sono solo alcuni dei difetti riscontrati in questo primo capitolo. Ciò che forse delude maggiormente è sentire quanto lo stile della band statunitense si sia allontanato da quello dei fasti di un tempo. Nemmeno il ritorno del chitarrista James Iha nel gruppo, avvenuto nel 2018, ha cambiato le carte in tavola: non ci si è mossi né indietro, tornando al vecchio sound di successo, né avanti, evolvendosi in qualcosa di nuovo, che fosse anche logico e coerente. Da una parte è anche giusto considerare che gli Smashing Pumpkins, nel loro periodo d’oro, si erano fatti portavoci di una generazione di giovani manifestando e mettendo in musica sentimenti come rabbia e volontà di ribellione, malinconia e tristezza: oggi, più vecchi e più maturi, sembrano voler seguire altre strade, cambiando il loro contesto di provenienza. Dall’altra parte un’opera come quella proposta da Corgan e compagni sembrava ideata per essere qualcosa di importante, ben strutturato ed elaborato. Billy Corgan, compositore fantasioso e prolifico, continua a pensarla in questo modo: «Quando decidi di fare un’opera musicale in tre parti composta da 33 canzoni ci devi credere veramente! C’è un sacco di gente che oggi crede che less is more, beh io remo nella direzione opposta: more is more!». Dopo le 20 tracce di Cyr, il complesso di Chicago opta infatti per qualcosa di più corposo ma almeno organizzato e articolato. L’idea di suddividere l’intera opera in tre sotto-parti risulta comunque positiva, in quanto permette all’ascoltatore di poter digerire più facilmente la pesantezza della maggior parte dei brani componenti Atum: Act One
FABIO MACAGNINO
Sangu
Sveva edizioni, 2022
Fabio Macagnino nasce a Hilden (Germania) e si trasferisce in Calabria all’età di 15 anni. Nel 1994 con il gruppo Folia partecipa al festival “Arezzo Wave” e nel 1997 vince le selezioni per la regione Calabria. L’anno dopo si esibisce in Italia e all’estero come attore e percussionista con L?Arlesiana Chorus Ensamble e il Piccolo Teatro Umano. Dopo la parentesi del progetto TaranKhàn (2000), accompagna Eugenio Bennato in concerti in Germania, Francia e Belgio. Rispettivamente nel 2007 e 2008, prende parte a KarakoloFool e Scialaruga, progetti che prevedono l’uscita di un album e vari tour live. Dal 2013 esegue diversi concerti da solista e nel 2014 pubblica il libro By the Jasmine Coast, il racconto di un viaggio fatto di musica, immagini e parole che disegnano lo scenario della Costa dei Gelsomini. Nel 2015 fonda la Macagnino Jasmine Coast Band e partecipa a svariate manifestazioni tra cui “Calafrika Music Festival”, “SUONI – Festival Etno Jazz”, “Dea Fest”, “Palariza” e “Roccella Jazz Festival”. A fine 2017 esce Candalìa, disco in cui l’italiano si mescola con il dialetto calabrese, svolta determinante per la carriera del cantautore. A seguire, arrivano poi Cosmopolitana Mama(2019) e la raccolta di singoli intitolata Pomodori Calabresi (2022). Se con Cosmopolitana Mama e Candalìa si intravedeva un lato più tenero, dolce ed elegante, con un richiamo maggiormente internazionale, con Sangu, ultima opera dell’artista, l’attrazione verso la propria terra diventa più forte, avvicinandolo ulteriormente ai suoni della tarantella pura ed all’uso unico del dialetto come lingua per i testi. «Sangu porta alle estreme conseguenze un percorso musicale che ruota intorno alla musica popolare della Locride», dichiara Macagnino. Ed è proprio in quest’area della città metropolitana di Reggio Calabria, sul versante ionico della Calabria, che l’ascoltatore si ritrova proiettato ad ogni brano grazie a suoni e parole originari del territorio. «È un album sanguigno, a tratti animalesco e punk», aggiunge lui. Eu Non Perdunu è il primo battagliero passo del percorso, come spiega l’autore: «Questa scelta per rimarcare il fatto che, a volte, per superare traumi, conflitti o ferite, vale più lo sdegno e il saper disprezzare onestamente la perfidia, la vigliaccheria di chi sia stato responsabile di un’offesa». Continua lui: «Il brano ha anche un tratto leggero e ballabile e fa riferimento alla presa di coscienza, liberatoria, di voler fondare la propria vita su principi che con tale cattiveria e vigliaccheria non abbiano nulla a che vedere». Cani Lordu accusa gli amici che diventano nemici, in una sferzante ed inesauribile ballata. In Fortuna un delicato arpeggio acustico incornicia un intimo dialogo tra la buona sorte e l’innamorato che la richiama a sé per risollevare un amore tribolato («Stava passando pe’ ‘na riva i mari / Vitti la me’ fortuna chi chjiangia»). Un giovane apprendista chiede ad un vecchio maestro di insegnargli come suonare il tamburello in Tarantella Locca. Con Figurati Tuun veloce gioco di parole schernisce e prende di mira due tipi di persone: da una parte abbiamo quegli intellettuali che millantano una conoscenza totale, vantandosene e annichilendo qualsiasi altro giudizio ritenuto non pertinente; dall’altra troviamo chi si esprime su ogni argomento tramite luoghi comuni o concetti non avvalorati sentiti in giro. Ndri Ndrarappresenta un grido liberatorio e primitivo: la Calabria e la ‘Ndrangheta devono essere sempre tenute separate perché la prima non vuole condividere niente con la seconda. La serenata Janestra Mi Fici si libra in volo tra atmosfere romantiche e sognanti; Catarinè ironizza sul problema dei mezzi di trasporti nella Locride, sullo sfondo di una storia d’amore tra due giovani fidanzati del posto; Gnignaru ci tiene a sottolineare come le sue stesse parole non abbiano alcun senso. La raccolta termina con Si Fussi Amuri che, con intima malinconia, raffigura la tristezza dell’impossibilità ad amare anche grazie alle parole conclusive di Daniel Cundari, declamate dal poeta stesso. Quando si parla di musica popolare si giunge sempre ad un bivio: rispettare troppo il passato e rimanerne ancorato e vincolato, oppure rivoluzionare completamente le vecchie regole, dando un connotato contemporaneo a qualcosa che ha radici profonde e antiche. Qui si crea invece una terza via, concettualmente in mezzo a queste due: Sangu rivisita la tradizione in chiave moderna e la rivitalizza, non sconvolgendo né sonorità, né dialetto. Dal punto di vista musicale, si possono apprezzare come strumenti quali lira calabrese, mandola e pipita vengano uniti a quelli elettrici, consentendo al suono di diventare più corposo e consistente. La duplice provenienza di Macagnino gli permette di guardare alla tradizione in modo distaccato, senza quel timore reverenziale e quella sacralità che bloccano molte persone nate e cresciute nel territorio, e di poter rileggere ed elevare la musica popolare in un contesto più ampio, internazionale e moderno. Questa doppia anima genera anche una visione discordante riguardo la vita: dai temi trattati nei brani, infatti, si intuisce spesso un misto tra indignazione e satira sociale, che in qualche modo ci permette di immergerci nel panorama sociale tracciato dall’autore raffigurante le molteplici sfaccettature della sua terra.