Ho imparato!
Di LAURA BELTRAMI
(Pedagogista, formatrice e counselor, membro dello staff del Centro psicologico per l’educazione e la gestione dei conflitti)
Sono una pedagogista e ho la fortuna di frequentare le classi delle nostre scuole. Quando entro in aula cerco di osservare dove sono approdata, come sono disposti gli arredi, dove stanno gli insegnanti, quali sono gli scambi tra compagni… Mi sintonizzo col “meteo”, cerco di capire che tempo fa e immagino quali previsioni mi attendono. A volte ci prendo, altre mi lascio stupire o travolgere, imparo sempre qualcosa di nuovo.
Lo scorso inverno sono entrata in una classe terza di una scuola secondaria di primo grado, era un cambio dell’ora e mi sono fermata a chiacchierare con i ragazzini seduti in prima fila, tanto per rompere il ghiaccio. Uno interagiva di più, mi faceva qualche domanda: «Chi sei? Perché sei qui? Quante volte ci vedremo?», l’altro era più sulle sue, mi guardava da sotto la visiera del cappellino, ma sbirciava e ascoltava tutto quanto. Poco più tardi, dopo le presentazioni di rito e la definizione del “patto di lavoro”, gli ho rivolto parola chiedendo se fosse d’accordo. Il compagno l’ha anticipato e mi ha detto: «No, lui no, lui è DSA», gli ha messo una mano sulla spalla e lui si è rimesso in assetto, ha eseguito: testa sul banco, cappellino ben calzato. Prima che scomparisse dietro a questo gesto gli ho detto: «Non centra nulla, intanto puoi dirmi come ti chiami e poi sono certa che possiamo lavorare bene insieme».
Quella mattina ho toccato con mano quanto le etichette rischiano di arrivare prima delle persone, prima dei nomi, dei sorrisi, delle possibilità di conoscersi e sperimentarsi, quanto rischino di dispensare senza pensare a cosa questo significhi, in aula, ma soprattutto fuori.
La questione è seria e complicata. Cosa ne penserebbe Montessori? Se e in che modo il suo Metodo può essere una possibilità e un aiuto concreto?
La risposta è nella premessa del suo sguardo rispetto ai bambini e alla loro crescita.
All’inizio della sua carriera la giovane dottoressa Maria Montessori fa visita agli istituti per bambini considerati inadatti per la scuola, “idioti”. Li osserva, ma più li frequenta e più mette a fuoco che il problema è per loro soprattutto di natura pedagogica e non tanto clinica. Ritiene sia utile differenziare le diagnosi per differenziare la proposta. Handicap, malattia mentale, disturbi di vario genere, all’epoca erano trattati tutto allo stesso modo: persone da nascondere e senza possibilità di recupero. Inizia così a lavorare con gruppi di bambini che imparano a leggere e scrivere come gli altri, non solo, superano gli esami della scuola pubblica, spesso meglio dei compagni considerati normodotati. Perché? Montessori pensa che la scuola pubblica forse non riesce a intercettare e coltivare le capacità dei più piccoli di imparare. Spenderà tutta la vita per definire e diffondere la sua visione pedagogica e didattica della crescita dei bambini.
Per Montessori tutti i bambini hanno bisogni speciali perché tutti sono unici, ma nella loro unicità sono ugualmente bambini con gli stessi bisogni di crescita, di apprendimento, la stessa necessità di essere visti, rispettati, accompagnati. Per Montessori, quindi, non c’è differenza tra Carlo che è disortografico, Beatrice dislessica o Roberto plusdotato.
Nelle scuole Montessori ognuno ha il proprio punto di partenza per lavorare. Questo è un dato di contesto, un inizio, non un dato da comparare ai compagni, alla media, alle tabelle. L’immaturità dei bambini non viene giudicata, segnalata, corretta. Ognuno può stare nel proprio ritmo puntando sempre al miglioramento, alla crescita. Il Natale della prima elementare non diventa spartiacque che inizia a segnalare il ticchettio di un ritardo se un bambino non legge, o non scrive. Come è possibile?
Il lavoro è molto individualizzato, l’insegnante osserva il bambino e le sue potenzialità, ne intercetta l’interesse, capisce cosa può sostenere, valorizza quanto c’è e lavora per raggiungere nuovi traguardi.
Il tempo non è un problema: se mi serve più tempo per acquisire un apprendimento posso permettermelo. Non esistono standard rispetto ai tempi, non solo per i DSA, ma per tutti. Se ho bisogno di lavorare ancora su un materiale della classe precedente alla mia vado a prenderlo, resto a disposizione, nessuno mi giudica se lo uso ancora. Non vivrò la frustrazione di non essere come gli altri, perché il confronto con gli altri non si gioca in termini di standard. Ognuno ha il suo modo e il suo tempo e va rispettato, che si parta da 0/5/10 o 100, che si possa arrivare a 5/10 o 100. Questo vale tantissimo per tutti, ma ancor di più per chi ha circuiti di lavoro meno efficienti che possono migliorare nella ripetizione e con l’allenamento.
Altro grande vantaggio delle scuole Montessori è l’uso dei materiali. La loro funzionalità è stata da subito confermata empiricamente, ma le neuroscienze hanno fatto un passo in più: ci hanno restituito come tali materiali siano assolutamente sintonizzati con il modo di imparare dei più piccoli.
Niente verbosità ed eccesso di lezioni frontali, ma “astrazioni materializzate”: concetti che sono racchiusi nel materiale e si possono toccare, vedere, tenere in mano. Dall’esercizio dei sensi si passa all’astrazione.
La scuola tiene insieme mano e cervello, corpo e mente. Per imparare bisogna fare, incessantemente, instancabilmente. «La logica distingue tra attività fisiche e mentali e afferma che per il lavoro mentale è necessario starsene seduti e immobili in una classe, mentre per il lavoro fisico non si richiede la partecipazione della mente e così si taglia il bambino in due. Quando pensa non gli si permette di usare le mani: ma la natura dimostra che il bambino non può pensare senza le mani […] Il movimento e la mente si accompagnano a vicenda: eppure molti pensano che sia impossibile condurre una scuola dove i bambini studiano e contemporaneamente si muovono, camminando tutt’attorno».[1]
Nelle scuole Montessori quindi i bambini usano le mani per imparare e possono muoversi, lavorare a terra, al banco, in giardino osservando una pianta che fiorisce, non devono chiedere di andare in bagno, ma possono farlo e basta. Il loro bisogno di movimento viene rispettato e i bambini sanno che si rispettano anche gli altri, la loro concentrazione, la scoperta; che è necessario avere cura del materiale perché servirà ad altri o a me stesso domani; che gli ambienti sono casa da custodire.
Il materiale ha un altro grandissimo vantaggio: è autocorrettivo cioè “funziona” se usato nel modo “corretto”. I bambini capiscono da soli se hanno fatto giusto o no senza bisogno dell’adulto. Rispetto a questo c’è un aneddoto molto esplicativo. Un giorno una donna, facendo visita a una Casa dei bambini (le scuole d’infanzia montessoriane), chiese a un piccolo: «Chi ti ha insegnato a leggere?», lui rispose: «Insegnato? Nessuno mi ha insegnato. Ho imparato!».
Questa differenza sembra banale ma non lo è, perché quel piccolo alunno non ha solo imparato a leggere, ma ha sperimentato quanto può essere capace di fare. Imparare significa non solo incamerare una nozione più o meno utile e spendibile, ma anche acquisire fiducia nelle proprie capacità personali. Nelle scuole Montessori giorno dopo giorno i bambini toccano con mano che ce la fanno; che con impegno, sostegno, costanza e gli strumenti giusti, i risultati arrivano. Si tessono trame di fiducia in sé: quella volta ci sono riuscito, posso imparare, imparare è divertente, sono capace anche io, domani ci posso riprovare e riuscire, per la prima volta o di nuovo.
Montessori ha ben in mente che il giudizio non è mai utile in un processo di apprendimento, soprattutto se arriva da un grande; così come non ha senso che un bambino scelga, si comporti o impari per far piacere alla mamma, alla maestra, al preside.
Come si sa, nel metodo Montessori i voti non sono uno strumento: per non correre il rischio che lo strumento diventi il fine dell’apprendimento (studio per il voto) e che i bambini si identifichino con un numero, bello o brutto che sia. I bambini e le bambine sono molto, molto di più e lo sappiamo bene quando glielo diciamo a 15 anni davanti ad un 3 in matematica che li lascia senza fiato e con gli occhi pieni di lacrime. Fin da piccoli possiamo lavorare perché un voto dica cosa sei riuscito a fare e cosa no, cosa devi migliorare, cosa ti manca e che questo sia un obiettivo di lavoro e non una strada sbarrata che ti paralizza perché non vali abbastanza.
Si tratta di un lungo e delicato processo di autodefinizione all’interno di una cornice rispettosa e tutelante il cui focus è il potenziale.
Montessori ripete spesso che il bambino è padre dell’uomo: sa che tra i banchi di scuola si gioca il futuro delle nuove generazioni e che, prendendosi cura dei piccoli, si contribuisce a creare uomini e donne autonomi e liberi.
Lo sguardo degli insegnanti Montessori è prospettico, volto al potenziale: un potenziale magari un po’ nascosto, a volte zoppicante o con dei limiti, ma pur sempre un potenziale. La logica di lavoro predilige quindi l’allenamento all’esonero. Mi sarà data ad esempio la possibilità di provare a scrivere in corsivo anche se per me è difficile: lo farò senza che nessuno mi giudichi se non ci riesco, senza fretta o un rigido tempo di esecuzione per non ritardare la classe, senza nessun compagno che guarderà il mio foglio ridendo e confrontandolo al suo, con la gradualità che mi è necessaria (un foglio adatto, poche parole, qualche riga e così via).
Tutti questi aspetti a mio avviso sono determinanti con bambini BES, DSA, con difficoltà varie nello studio, a concentrarsi, stare seduti e così via. Non mi sento di dire che in assoluto sia la proposta ottimale per tutti, benché pensi che alcuni requisiti siano necessari, ad esempio la possibilità di muoversi negli spazi, di convivere con altri pari che si alzano, prendono materiali, entrano, escono dall’aula. Viceversa, ciò non significa mai confusione e l’ordine è sempre garantito. In ogni caso ogni genitore potrà valutare la situazione che riguarda il proprio bambino, ma – a prescindere dalle particolarità delle patologie – sono certa che la cura, il rispetto e la tutela dei bambini non dipenda dalla singola insegnante, dalla classe o dal team di lavoro, ma sia un costitutivo del Metodo. Un Metodo che guarda sempre al bicchiere mezzo pieno, che instancabilmente lavora per e con gli alunni intercettando al meglio il loro potenziale.
Laura Beltrami, Lorella Boccalini, Il metodo Montessori per tutti, Rizzoli BUR 2017.
Daniele Novara, Laura Beltrami, L’intelligenza delle mani, Rizzoli BUR, 2023.
[1] Maria Montessori, Educazione per un mondo nuovo, Garzanti, Milano, 1991, pagg. 113-114.