Menomale che la robotica educativa esiste…

Di PAOLA NAVOTTI

«Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi». Così, già sessantacinque anni fa, scriveva Italo Calvino nelle sue

Collezioni di sabbia e il suo monito ancora oggi è prezioso, perché suggerisce un cambio di prospettiva conoscitiva e, inevitabilmente, perfino di mentalità.

Per esempio… quante volte, davanti all’abilità dei nostri figli nell’usare la tecnologia digitale, ci è capitato di sentirci inadeguati! Tant’è, ma non possiamo né dobbiamo tirarci indietro. Ciò che i nostri figli maggiormente si aspettano da noi non è che capiamo tutto quello che loro fanno, ma che ci interessiamo a tutto il loro mondo. Mondo nel quale lo spazio tecnologico occupa indubbiamente una gran parte. Perché? La risposta non può limitarsi all’inevitabile progresso strumentale e alle conseguenti abitudini che ne conseguono, ma può e deve toccare un punto più radicale, più significativo per la vita di ciascuno di noi: le tecnologie sono una grande opportunità perché sono funzionali sia a coltivare quegli interessi che ognuno ha nella propria vita, sia a realizzare perfino obiettivi civici. Proprio per questa ragione, la tecnologia in senso lato ha un potenziale educativo da non sottovalutare e che si rende tangibile nella cosiddetta “robotica educativa”: imparare a progettare e realizzare un robot, educa infatti ad un percorso conoscitivo più facile e più efficace. Più facile perché si “vede” e si “tocca” come è fatto uno strumento tecnologico; più efficace perché, capendo lo scopo dei singoli strumenti, è più immediato capirne il funzionamento d’insieme.

In un articolo pubblicato su Pedagogika.it (in prima pubblicazione su Huffington Post), così efficacemente sintetizza Igor Guida – direttore scientifico di Stripes Digitus Lab: «L’idea è che imparare concetti della fisica, della matematica e più in generale della tecnologia, non debba necessariamente essere noioso e difficile, ma possa invece essere un’avventura entusiasmante. Diventa così possibile accendere luci, leggere dei valori da termometri, collegare sensori di qualunque tipo e poter operare con l’elettronica anche per chi è totalmente a digiuno di competenze tecniche specifiche».

Menomale che la robotica esiste, verrebbe dunque da commentare pensando alla realizzazione dei peacemaker, o ai robot addominali impiantati per la cura del diabete, solo per fare due macro-esempi. Pensando a quei luoghi, come Stripes Digitus Lab, dove tecnologia e pedagogia entrano in connessione per insegnare come far agire, per un bene, degli strumenti inanimati, verrebbe infine da aggiungere: menomale anche che esiste una robotica educativa…

Paola Navotti
(caporedattrice di Pedagogika.it)


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