Rigenerazioni urbane e tutela

Di ANTONELLA RANALDI
Dirigente architetto del Ministero della cultura, è stata Soprintendente archeologia, belle arti e paesaggio a Milano dal 2015 al 2022, ora a Firenze.

 

Mi occupo di tutela, parola, la tutela, che letta in una rivista di pedagogia e di educazione, come appunto Pedagogika, suona subito come tutela dei minori e delle persone in difficoltà, ovvero, rivolta a chi per varie ragioni si trovi ad avere bisogno di protezione. La tutela si esercita da parte delle istituzioni civili a difesa dei diritti di categorie più deboli e in situazioni di rischio, che siano queste persone o cose, con strumenti legali e giuridici e prima ancora normativi. Da Soprintendente archeologia, belle arti e paesaggio fino a poco tempo fa a Milano e ora a Firenze, la tutela di cui mi occupo è rivolta alle cose, a determinate cose riconosciute di interesse culturale, che siano monumenti, brani di paesaggio, alberi, ville, fontane, da preservare per garantirne la trasmissione alle future generazione, attraverso azioni preventive o dirette. Il primo obiettivo è la conservazione della materialità e fisicità della cosa tutelata; se questa viene meno cessa la tutela e si compie un reato punibile penalmente. Non importa che quelle cose siano di proprietà pubblica o privata, dal momento in cui sono riconosciute di interesse, esse entrano a far parte di un grande e in crescita patrimonio collettivo tutelato dalla Costituzione nel formidabile art. 9 che, appunto, attribuisce alla Repubblica il compito primario di tutelare il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione: da proteggere, difendere, trasmettere. Potrà sembrare supponente ma ciò è alla base dell’esercizio di funzioni e della missione che svolgo. Non secondario aspetto, rivolto più al presente, è assicurare e promuovere la conoscenza e il godimento collettivo di quelle cose tutelate, riconosciute beni di valore che nel loro insieme costituiscono il patrimonio culturale della nazione. È il caso di una tutela rivolta alle cose, non alle persone, ma i principi e gli strumenti sono simili. La domanda è se tali tutele hanno effetti sulle persone, sul vivere comune. Da taluni le tutele o vincoli, nel gergo corrente, sono visti come opprimenti. Da altri, come elitari e dispendiosi, anche un ostacolo allo sviluppo moderno. L’ampliamento dell’art. 9 alla tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi è una novità recente frutto della consapevolezza dei rischi sempre più evidenti che subisce l’ambiente, già malato. Frutto quindi di una cultura marcatamente ecologista. L’ambiente in cui viviamo ci condiziona; la storia da dove veniamo contribuisce a fare di noi individui con proprie radici e identità culturali; la bellezza, l’armonia ci fa sentire uomini nobili e fortunati e anche orgogliosi. Gli effetti sociali e collettivi sono ben tangibili a mio parere e dovrebbero rientrare a pieno nel dialogo con antropologi, psicologi, educatori. Ho accolto quindi molto volentieri l’invito a partecipare a questo numero sulla rigenerazione urbana. I recenti tumulti che hanno agitato la Francia visti nei media con i tanti giovanissimi che hanno incendiato le strade e le città francesi, hanno portato la rivista di architettura Domus ad interrogarsi, come già aveva fatto in passato, sulle responsabilità dell’architettura. Le banlieues parigine hanno reso fisica la marginalizzazione e la segregazione delle persone relegate a vivere lì e che ora rivendicano diritti e si sentono altro rispetto alla città. Sono state causa quindi, non ultima tra le altre, di disagi che sono sfociati nei tumulti a cui abbiamo assistito. Ma anche i centri delle città d’arte invase da turisti e interessate sempre più dal mercato redditizio del turismo,relegano i residenti rimasti, resilienti a questa invasione, a vivere male in città bellissime che perdono la loro anima. Penso a Firenze. I primi che ne risentono sono bambini e anziani. Categorie anch’esse protette da tutelare nei loro diritti. Le piazze storiche sono straordinari punti di aggregazione e scambio. Tradizionalmente lì si svolgevano i mercati. Proprio nelle piazze e negli spazi comuni si tolgono panchine e sedute per evitare che lì si siedano gli emarginati e si creino problemi di ordine pubblico. Anche il verde è necessario a compensare la pietrificazione dei centri urbani. Serve a respirare e trovare rifugio dalla calura sempre più opprimente d’estate in città. La cura delle cose di tutti – gli spazi pubblici, le città e il nostro patrimonio di cose d’arte e di architettura – è un valore da insegnare, come educare alla bellezza.

Un progetto che mi è particolarmente caro e voglio ricordare è PAN Parco Amphitheatrum Naturae, illustrato in questo numero da Attilio Stocchi. Riguarda la sistemazione, ampliamento valorizzazione del Parco dell’Anfiteatro di Milano. L’anfiteatro romano venne distrutto in età precoce. Si trovava appena fuori le mura nella direzione di corso di Porta Ticinese, nel suburbio a sud ovest. Poi occupato dagli orti del monastero di Santa Maria della Vittoria. L’intervento in corso ha raddoppiato l’estensione del parco, annettendo ad esso aree limitrofe abbandonate e degradate. È prossimo alle colonne di San Lorenzo e si connetterà al Parco delle basiliche, in un percorso nel verde tra emergenze archeologiche, storico artistiche e monumentali, su 10 ettari di superfice, dall’Anfiteatro, a San Lorenzo, a Sant’Eustorgio.

Come si combatte l’alienazione strisciante e invadente nelle periferie? Condividere al meglio e con tutti la bellezza che fa da protagonista nelle città italiane, piccole o grandi, è una nostra missione. Non ne siamo stati gli autori, è una bellezza che abbiamo ricevuto in eredità dal passato. Preservarla, accrescerla, renderla di godimento collettivo è il nostro compito. Ma tale consapevolezza funziona se condivisa tra coloro che ci vivono, se percepita, apprezzata e amata. L’emarginazione è più forte nelle città. Gli spazi o gli edifici in disuso o abbandonati, anche storici, sono moltissimi. Si offrono come alternativa al nuovo e al consumo di suolo. Sono temi politici e di mercato e poi progettuali. Spesso mi trovo a esaminare progetti di questo tipo, tra rigenerazione, riqualificazione, recupero di luoghi degradati perché non più utilizzati. Mi confronto allora intorno al tavolo con gli architetti incaricati nel ricercare soluzioni compatibili con la storicità e sostenibili nelle funzioni. Alcuni esempi, le cascine abbandonate e destinate ad usi comuni e sociali – anche abitativi per mamme sole, donne vittime di violenze – o ad uso sanitario, per anziani, concesse a cooperative per permetterne il riuso. Ce ne sono molte nella cintura intorno a Milano. Oltre alle cascine altri luoghi, come gli antichi complessi monastici abbandonati, dalla storia plurisecolare, come Viboldone e Mirasole, le antiche abazie degli Umiliati. La seconda, Mirasole, è stata destinata da alcuni anni anche alla prima accoglienza di profughi, al lavoro e alla formazione. Si tratta di edifici rurali e non, annessi produttivi, fabbriche di archeologia industriale, caserme, ville padronali e annessi, spesso veri e propri borghi semidiruti da recuperare, pena la loro perdita definitiva. Qui la difficoltà maggiore è trovare funzioni che possono essere lì impiantate e la volontà e i mezzi per farlo. Penso al fabbisogno in crescita di scuole di formazione professionale, di agraria, giardinaggio, biblioteche, studentati, rispetto ai soliti musei più elitari. La vasta area dell’ex Macello di Milano è interessata dal progetto Reinventig cities, con una pluralità di funzioni e una parte riservata all’housing sociale. L’intervento ridisegnerà un settore della città ampio 15 ettari a sud del passante ferroviario di Porta Vittoria, quindi strutturalmente strategico per la posizione e la direzione lungo l’asse est verso Segrate, l’Idroscalo e l’aeroporto di Linate. Un altro intervento riguarderà il recupero a studentato dell’ex istituto Marchiondi, un riformatorio abbandonato da decenni, costruito nel 1952 su progetto dell’arch. Vittoriano Viganò dedicato al recupero dei ragazzi difficili, costruito a Baggio nella periferia milanese. Un esempio dell’architettura brutalista, tutelato dalla Soprintendenza e più volte occupato abusivamente. È stata anche tutelata di recente (nel 2019) la grande area verde di Piazza d’Armi vicina agli ex magazzini militari di Baggio nella periferia nord-ovest di Milano. In questo caso la tutela – voluta dalle associazioni legate al territorio – prevede il mantenimento a verde e il divieto di edificazione di un’area di ben 31 ettari, strategica nelle sue connessioni con il Parco delle Cave, il Parco di Trenno e Bosco in città, una corona di verde tra edificato e tangenziale ovest. A Milano i parchi e i possedimenti fondiari agricoli penetrano nella città costruita e si combinano alla rete idrica dei fossi e dei canali, ad interrompere l’inurbamento intensivo della città metropolitana. Spiccano gli estesi possedimenti agricoli della Ca’ Granda, con uno sguardo alle finalità sociali e ecologiche dell’agricoltura in città. Infine, gli antichi centri dei numerosissimi comuni dell’area metropolitana milanese sono realtà vivaci da guardare come modelli abitativi identitari, alternativi alle periferie.