Scelti per voi (Adulti)
A cura di EMILIA CANATO
Irene Biemmi, Barbara Mapelli
Pedagogia di genere. Educare ed educarsi a vivere in un mondo sessuato
Mondadori Education, Milano 2023, pp. 210, € 22
Educare a una lettura della realtà che sappia usare, come strumento fondativo, e dunque imprescindibile, quella che si definisce ottica di genere: questo, in estrema sintesi, lo scopo del testo di Irene Biemmi e Barbara Mapelli. Se lo scopo è, seppure banalmente, sintetizzabile in poche parole, non altrettanto facile dare conto del ventaglio di possibilità che l’uso di tale strumento offre alle persone che di educazione si occupano. Il volume propone tre parti. Una prima parte è dedicata a delineare «i significati che il termine genere ha assunto nel tempo e i motivi per cui [le autrici hanno] scelto di adottare questa prospettiva». Questa sezione del testo consente di leggere o rileggere le articolazioni di un dibattito che a lungo ha percorso – e ancora percorre – i movimenti femministi, non solo nel nostro Paese. Il linguaggio piano, ma estremamente attento, la ricostruzione precisa senza forzature né pedanteria restituiscono significati e senso del dibattito in una prospettiva educativa. Si intende con ciò una posizione duplice: sia di auto-formazione per coloro che svolgono una funzione educativa, sia di confronto con le giovani generazioni, a partire da una storia che lega «le riflessioni presenti in questo testo al divenire nel tempo di movimenti, politiche, culture sociali e sviluppi di saperi». Precisamente l’ottica di genere, quando assunta come metodo interpretativo, consente dunque di guardare alle tante e rapide trasformazioni del presente senza urgenze valutative, ma con attenzione e rispetto per accompagnare una costruzione identitaria che è necessariamente in continua evoluzione. Una costruzione identitaria, di nuovo di noi stessi e noi stesse e di coloro con i quali si stabilisce una relazione educativa, che possa essere in grado di affrancarsi da stereotipi o percorsi obbligati anche, o soprattutto, in riferimento agli orientamenti sessuali e alle identità di genere. Educare ad accettare, a non avere paura delle differenze (ad esempio delle cosiddette minoranze sessuali, come delle persone che provengono da culture altre) e a comprendere che una coesistenza è possibile, anzi può costituire una ricchezza, è un compito educativo che deve in primo luogo spettare a insegnanti, educatori ed educatrici. La seconda parte del testo approfondisce alcuni temi, a cui non si è potuto che fare brevi cenni nelle trattazioni della prima parte, temi che sono stati al centro delle riflessioni dei movimenti femministi, proprio perché riguardano la destrutturazione di una presunta universalità del sapere. Innanzitutto, il tema del linguaggio: come porre attenzione all’uso di un linguaggio che sia rispettoso della presenza di tutte le persone cui fa riferimento e perché sia importante valorizzare e non cancellare nelle parole che rispecchiano e al contempo danno corpo alle singole soggettività. Poi il tema della cura: che cosa significa realmente cura e come essa si ponga come fondamento non soltanto per la sopravvivenza di soggetti considerati deboli, quanto piuttosto della vita in tutte le sue dimensioni, compresa quella del pianeta su cui viviamo. In questa sezione trovano spazio anche temi più strettamente legati alla professione docente: una disamina sulla professione docente nel nostro Paese (e le motivazioni di un certo ritardo nell’adeguamento alle trasformazioni del presente), sulla necessità di elaborare percorsi per un orientamento biografico piuttosto che strettamente professionale (e dunque sull’importanza di educare alle scelte anche come contrasto alle disuguaglianze di genere). La terza parte del testo offre alcune indicazioni/percorsi di letture – per l’infanzia e l’adolescenza – che si discostano nettamente da modelli consueti e che possono offrire a bambini, bambine e adolescenti spazio di immaginazione per una più ampia libertà del proprio divenire. Un testo ricchissimo, come già si è detto, sia per la gamma dei temi proposti alla riflessione, sia per le proposte educative concrete che vi si possono trovare, sia per le bibliografie che corredano ogni capitolo. Il linguaggio utilizzato e i cenni storici relativi ai vari temi, sempre curati e precisi, evidenziano l’estrema solidità del lavoro di ricerca compiuto dalle autrici. Un manuale, certo, ma anche un testo che si offre all’attenzione di tutti e tutte coloro che alle tematiche di genere prestano interesse.
Claudia Alemani
Sara Poma
Il coraggio verrà
HarperCollins Italia, Milano 2023, pp. 286, € 18,50.
Nel 2020 Sara Poma è in cerca di una storia, che getti uno sguardo nuovo sul Novecento vissuto da sua nonna e da lei raccontato in un podcast, uno sguardo più radicale ed alternativo, per rivisitare quel passato e dare un senso più compiuto al presente personale e collettivo: «Sapevo solo che avrei voluto raccontare la storia di una persona omossessuale contemporanea di mia nonna. Capire cosa significava scoprirsi gay in un’epoca così lontana». Dopo settimane di ricerca, Poma si imbatte in un articolo del quotidiano “L’Alto Adige” sulla morte, avvenuta nel 2018, di una donna ottantatreenne in una casa di riposo a Bolzano. Ecco che Maria Silvia Spolato le si presenta: la prima donna in Italia ad aver dichiarato apertamente la propria omosessualità durante una manifestazione femminista a Roma nel 1972. Quel gesto, in una società che, sebbene fosse già stata investita dal vento del cambiamento sessantottino, era ancora profondamente omofoba e piena di pregiudizi e stereotipi, sarà così dirompente da scatenare una serie di conseguenze devastanti nella vita di Maria Silvia. Sara Poma cerca di riportare alla luce, attraverso documenti, foto, articoli, scritti originali, colloqui con le persone che l’hanno conosciuta, la sua storia ormai sepolta da anni di silenzio. Ma non è facile ricostruire il puzzle della sua vita, perché le poche tracce esistenti, spesso si confondono, si contraddicono, si perdono per anni e poi ricompaiono. Ognuno la ricorda in modo diverso, spesso le testimonianze sono vaghe, imprecise, piene di “forse”, ma su una cosa tutti concordano: «Maria Silvia era un fuoco fatuo, appariva, bruciava e appena ti voltavi l’avevi già persa». Era inafferrabile, sfuggente, diversa. Sappiamo che nasce e cresce a Padova in una famiglia borghese, ama la montagna, i numeri e la musica, si laurea in matematica ed insegna in un Istituto Tecnico. Dopo il suo coming out però Maria Silvia perde tutto, il lavoro, la famiglia e forse anche il suo primo amore. Ma nulla le impedisce di continuare la sua battaglia di libertà ed emancipazione. Sempre in movimento, con il suo cane John John e il suo maggiolone nero, che a tratti diventa la sua casa, viaggia in Italia ed in Europa, portando avanti con entusiasmo e determinazione il suo impegno di attivista del movimento omosessuale, spinta dal desiderio di dare voce a un mondo, che in Italia all’epoca quasi non esisteva. Legge, si documenta, scrive articoli, libri, poesie. Poi, intorno al ‘76, poco più che trentenne, nel suo equilibrio già precario, forse qualcosa si spezza e Maria Silvia inizia a scomparire dal mondo. Senza soldi, senza una casa, senza sostegni concreti scivola lentamente nell’oblio e diventa una clochard. Vaga per le strade, si chiude negli angoli a leggere e scrivere, dorme sui treni, si perde dentro se stessa portando con sè un borsone pieno di libri e riviste, unico bagaglio e ancora di salvezza. Approderà negli anni 90 a Bolzano nella casa di riposo, duramente provata nel fisico e nella mente senza però perdere mai quel lampo di vivace curiosità e irrequietezza, che da sempre ha caratterizzato il suo sguardo. Sarebbe riduttivo considerare questo libro una semplice biografia, perché Poma, cercando i segni dell’esistenza di Maria Silvia, ripercorre anche la propria vita, in un continuo confronto e cambio di prospettiva, intrecciando un fitto dialogo tra se stessa e la giovane attivista, sino a proiettare la sua vita nella propria e a specchiarsi in lei. Scavando nei vuoti e nei silenzi prova anche a dare voce ai momenti mancanti della biografia di Maria Silvia immaginando per lei luoghi, situazioni, letture, pensieri, emozioni ispirati alle proprie esperienze personali, creando un legame di continuità tra due storie così diverse e distanti nel tempo, ma così vicine nella loro umanità. Il risultato è un piccolo miracolo, un flusso dove realtà e finzione si intrecciano mentre l’autrice narra e si racconta, alla ricerca di se stessa in una vita altrui. «Il coraggio verrà», ha scritto Maria Silvia in una sua poesia e lei quel coraggio l’ha trovato, le è costato un prezzo altissimo, ma ha spianato la strada alle generazioni successive consegnando loro la speranza che un mondo migliore forse è possibile.
Carla Franciosi
Daniele Novara
Nessuno si educa da solo Una vita da pedagogista
Edizioni Sonda, Milano, 2023, pp. 192, € 19,00.
Chi già conosce Daniele Novara (pedagogista, counselor, formatore, fondatore nel 1989 del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti e docente del Master in Formazione interculturale presso l’Università Cattolica di Milano), leggendo questo libro ripercorre l’evolversi delle sue idee rispetto al senso dell’educare; chi non lo conosce si fa una chiara visione di quelli che sono i più importanti cardini di una educazione maieutica, definizione della quale lo stesso Novara si sente debitore a Danilo Dolci, «l’educatore della domanda», il sostenitore della maieutica, ovvero della «capacità di tirar fuori, di porre le persone nella condizione di allargare la propria sfera di apprendimento». Nello scritto introduttivo al testo, Cambiare se stessi e la realtà, l’autore, affermando che, contrariamente al resto d’Europa, in Italia «quella pedagogica non è una professione né ben definita né tantomeno ben riconosciuta», parla della propria professione come prassi di collaborazione e condivisione e si rivolge così ai lettori: «Attraverso queste pagine intendo coinvolgervi in un percorso, in un pezzo di strada da fare assieme con tanti nuovi inizi e qualche sogno da coltivare». Il libro è strutturato in quattro parti. Nella prima parte, dal titolo Da grande farò il pedagogista, Novara parla dei momenti essenziali della propria vita personale e professionale e del lavoro fatto su di sé, affermando che «se non si lavora su se stessi, si rischia di riproporre sempre l’identico copione, invece di prepararsi a qualcosa di inedito e di migliore». Nella seconda parte, Liberare la scuola, affronta quello che può essere considerato il limite maggiore di un metodo che presuppone la passività di chi apprende: la prassi della lezione frontale. A prescindere dagli studi sulla tenuta dell’attenzione, che non può essere mantenuta per l’abituale durata delle spiegazioni dalla cattedra, Novara mette in luce l’aspetto dell’apprendere attraverso il fare («Imparare richiede un procedimento applicativo, un’elaborazione attiva dei contenuti da apprendere»; «l’insegnante non è il trasmettitore di contenuti, ma colui che sa far lavorare gli alunni e organizzare il loro apprendimento») e riprende i concetti del metodo maieutico, che dovrebbe essere metodo principe nella scuola («…la domanda generativa… sa motivare lo sviluppo della conoscenza sulla base della costruzione di percorsi che partono proprio dalle domande, e quindi ribalta il modello tradizionale di scuola»). Nella terza parte, Imparare a vivere, l’autore tratta il tema del conflitto, essenzialmente come educazione alla vita sociale, come educazione alla pace. Partendo dalla netta distinzione fra i termini “guerra” e “conflitto”, spesso indifferentemente usati per descrivere fenomeni in sé ben diversi («In guerra ci si ammazza, il bambino quando litiga non vuole eliminare il suo compagno»), pone il saper stare nel conflitto come esperienza d’apprendimento fondamentale, come «opportunità di autoregolazione evolutiva» e presenta chiaramente sia le premesse teoriche di una educazione al conflitto sia le attività applicative con bambini e ragazzi. Convinto sostenitore della nonviolenza, Novara afferma che «più bambini e ragazzi imparano a litigare bene, più avremo persone contro la guerra». Nella quarta parte, Incontri, rende infine omaggio a quelli che definisce come propri maestri, psicologi e pedagogisti che hanno messo le basi per un nuovo modo di accostare l’altro, «figure anticonformiste che si sono spese non solo come educatori ma anche come sognatori di una società diversa, più vicina ai bisogni dei bambini, delle bambine e di tutti noi». Descrive la vicinanza con Mario Lodi, per il modello di scuola basato sulla cooperazione; con Danilo Dolci, per l’azione pedagogica centrata sulla maieutica; con Paulo Freire, per la visione della didattica come opportunità di trasformazione sociale; con Don Milani, per la concezione dell’apprendimento come coscientizzazione; con Maria Montessori, per il metodo che «asseconda le naturali tendenze infantili e umane ad assorbire l’esperienza e a trasformarla in nuove capacità».
Margherita Mainini