Oltre il già saputo… (intervista a Maria Clelia Cardona)

Intervista a Maria Clelia Cardona, a cura di MARIA PIACENTE

Classicista di formazione, Maria Clelia Cardona ha una produzione letteraria molto ampia: romanzi; opere di narrativa; traduzioni e testi di critica letteraria; raccolte di poesia, molte delle quali tradotte in francese e inglese e presenti in varie antologie. Mario Luzi scrisse l’introduzione al suo primo libro di poesie (Il vino del congedo, 1994) e Giancarlo Pontiggia così ha definito l’ultima sua raccolta (I giorni della merla, 2018): «un libro di pensieri stellari, di meditazioni intime, di riflessioni civili». Cofondatrice della rivista di letteratura “Malavoglia” (1988-2000), tuttora collabora con la rivista “Leggendaria”.

 

Tu scrivi da tutta la vita … cosa significa per te scrivere?
Non lo so… è la prima risposta che mi viene in mente. Se penso al mio scrivere quando ero una bambina e poi un’adolescente, devo escludere un progetto e parlerei di un impulso un po’ misterioso, che forse nasce dall’abitudine a leggere, dal fascino di certi libri, ma che diviene un’esplorazione di sé, un viaggio in terre incognite… ma c’è anche la gioia di avere creato un “qualcosa” che prima non c’era e che ora viene offerto ai lettori. Da bambina amavo molto il teatro e mi piaceva il momento finale degli spettacoli, quando gli artisti si inchinano al pubblico. Anche la poesia è un omaggio e un regalo che si fa.

Cos’è per te la poesia?
Si scrive per portare alla luce zone incognite di noi, per uscire dai binari del risaputo, del già detto, di una quotidianità nostra e altrui priva di orizzonti. Per arricchirsi, anche, scoprendo in noi, negli altri, nella lingua, nel vivere, nel mondo, qualcosa di importante che c’era, ma senza che ne fossimo coscienti.

In questo mondo così pragmatico e tecnologico, così veloce, che posto ha la poesia?
La poesia esige il silenzio e la riflessione. Esige anche il ripensare, il correggere. L’attendere che la parola si fonda con l’andamento musicale che stiamo dando al nostro testo. Tutte cose abbastanza in contrasto con i tempi e i modi della tecnologia e della comunicazione mediatica. Però la poesia non può che essere figlia del suo tempo: è illusorio pensare che si possa tornare indietro, si deve invece fare i conti con la modernità che ci appartiene. Però la poesia può rappresentare una ricerca di interezza in un mondo che ci vuole omologati, dimezzati e obbedienti alle idee comuni.

La passione per la classicità è sempre stata per te una musa ispiratrice: cos’hanno da dire ancora oggi gli autori antichi?
Nei classici greci e latini troviamo un insegnamento fondamentale: possiamo (anzi, dobbiamo) leggere, ammirare, studiare e amare scrittori e opere del passato, ma non serve né a noi né ad altri imitare il già fatto. Quelle letture si depositeranno in noi, e poi se sarà possibile germoglieranno. Una eventuale ripresa potrà avvenire solo sotto una luce diversa, in un mondo cambiato.