Marionette di metallo (di Rebecca Conti)

Oggi come tutti i giorni, mi sono alzata dal letto con l’ammiccante desiderio di spegnere la sveglia, e prendere il treno un po’ più tardi per andare in Università. Dopo quel breve dialogo interiore quotidiano mi sono alzata, preparata e sono salita sul treno all’ora in cui avrei dovuto.
Aprire il nostro cellulare al giorno d’oggi significa essere catapultati in un mare di notizie, di pareri ed opinioni, spesso e volentieri non richieste.
Come tutti i giorni nell’ultimo mese, ecco che le prime pagine di informazione e qualche giornalista che seguo su instagram presentano il bollettino di guerra. Oggi sicuramente è cambiato qualcosa da ieri, ma a parte qualche inquietante movimento politico, il grande male è sempre lo stesso: morti, guerra, distruzione.
Conosciamo tutti lo schiacciante senso di impotenza, se non di viltà o inutilità che pesa sul nostro petto nel momento in cui decidiamo di chiudere instagram, di spegnere la televisione, di cambiare canale o e di chiudere la finestra sul mondo, perché tutte queste notizie sono semplicemente troppo per vivere una vita leggera in questa parte di mondo. Sappiamo che dopo qualche tempo le notizie diventano usuali, non ci stupiscono, la vera percezione di ciò che accade si fa sempre più lontano ed una guerra che prima sembrava il gradino più profondo, diventa una notizia simile ad un’abitudine.
Oggi questa sensazione era molto più pulsante degli altri giorni, mi bussava in quell’angolo così sensibile del nostro corpo, tra l’orecchio e la spalla, come per ricordarmi incessantemente la sua presenza.
Sono andata a pranzo da mia nonna che, con tutta la dolcezza delle nonne paesane, mi ha riempito di lasagna, verdura e dolci, con quell’aria sinceramente preoccupata che precede il “ti vedo sciupata, non sarai magra?”. Oggi la televisione parlava, le parole scorrevano come pioggia tra un piatto e l’altro mentre mia nonna mi ascoltava raccontare la mia giornata, soddisfatta.
Ad un certo punto mi ha guardata con uno sguardo saggio, e poi ha guardato la televisione. “Lo sai Rebecca, io sto bene, ma non posso smettere di guardare. Non ho altri impegni quindi tengo accesa la televisione tutto il giorno, che tristezza quello che succede”.
Ha preso la forchetta e il coltello e mettendone in piedi prima uno e poi l’altro ha detto “Io l’ho già vissuta la guerra sai, ma non capisco perché questi Putin e Netanyahu non si fanno la guerra tra di loro. In questo scontro i bambini non possono entrarci, i bambini non c’entrano”.

REBECCA CONTI