Desiderio infinito e infinita Memoria (27 gennaio 2024)
Di Paola Navotti
Da oltre vent’anni, la Giornata della Memoria ci esorta a non dimenticare, a ricordare quanto subìto dal popolo ebraico e da tante minoranze affinché niente di simile accada più: a nessun popolo e a nessun essere umano. Il perché non si debba dimenticare sembra quasi un’ovvietà, ma cosa esistenzialmente significhi ri-cordare, risentire nel cuore quanto accaduto, non è affatto scontato. La forza, l’incisività delle parole dipende da noi: pur nel nostro piccolo – pur non avendo accesso a nessuna stanza dei bottoni – noi possiamo dare il nostro contributo anche solo iniziando a prendere consapevolezza delle parole che usiamo e della loro storia, di quell’origine in cui c’è come un estratto di significato.
Un ricordo vago e di breve durata (hypomnesis) è quella reminiscenza che per Platone (Cfr. Fedro, 275 a5) aveva bisogno della scrittura. Ma per la memoria (mneme), cioè per un ricordo che dura per sempre perché è impresso nel cuore – oltre che scritto sulla carta – la scrittura non basta. Siccome ciò che non muore è prerogativa del divino, i Greci divinizzarono la memoria nella dea Mnemosyne, madre delle Muse… custode della conoscenza e, così, in grado di ispirare i poeti. Mnemosyne – la dea Memoria – fu chiamata dai Latini Monêta! Colei che (dal verbo monere) ammoniva, avvertiva, suggeriva, esortava sia a non ripetere gli errori del passato, sia a non dimenticare ciò che era stato fattore di grandezza. Pur con tutta un’altra storia da raccontare, il termine italiano “moneta”, denaro, porta indubbiamente la traccia linguistica di mneme, suggerendo chiaramente che la memoria è una ricchezza. La più grande. È quel «segnalibro nel libro dell’Umanità» – scrisse Primo Levi in Se questo è un uomo – che permette di risentire nel cuore il peso di ciò che è accaduto e non poterne più prescindere.
«Io voglio veder cogli occhi miei il cerbiatto riposarsi a fianco del leone», confidava Ivan Karamazov attraverso la penna di Dostoevskij. Chi non lo vuole? Non dimenticare, far memoria di questo desiderio può essere l’avvio di un’altra storia da raccontare.