Gli armadi pieni di Junk. E i nostri…?
Di REBECCA CONTI
Se vi trovate a scrollare su e giù tra i cataloghi delle piattaforme streaming, indecisi su cosa guardare questa sera, vi consiglio di fare un salto su Youtube. Willita ha rilasciato l’anno scorso una mini docuserie di 6 episodi dedicati al tema della moda sostenibile: ogni puntata racconta un aspetto dell’impatto che la filiera della moda ha sulle persone e sull’ambiente.
La serie è stata realizzata in collaborazione con Matteo Ward, amministratore delegato e co-fondatore di WRAD, benefit corporation e studio di design dedicato all’ innovazione sostenibile e al cambiamento sociale.
Matteo Ward studia economia internazionale alla Bocconi e continua i suoi studi in Business Sustainability Managementall’Università di Cambridge. Dopo la laurea, lavora per sei anni in Abercrombie and Fitch, dove intraprende una brillante carriera di successo. Presto, come se si trattasse di una rivelazione improvvisa, il mondo del fashion gli mostra l’altra faccia della medaglia; e il giovane imprenditore realizza che la moda non è solo una questione di lusso, ricchezza e stile.
La moda ha un prezzo e questo prezzo, soprattutto quando si parla di fast fashion, è pagato da persone, uomini e donne che vivono in ecosistemi e in paesaggi che vengono lentamente degradati e consumati dalle richieste di produzione intensiva dei brand occidentali.
Negli episodi, Matteo si reca con la sua troupe in Cina, Ghana, Bangladesh ed altri paesi, passando addirittura per il Veneto e intervistando in prima persona rappresentanti delle comunità che raccontano l’influenza che l’azienda della moda ha sulla vita quotidiana dei locali.
Associazioni di volontariato e di impresa sociale raccontano come, nel piccolo della loro realtà, stiano cercando di contrastare i cambiamenti negativi che la moda ha nei loro territori, con lo scopo di generare consapevolezza e veicolare il messaggio che il cambiamento è ancora possibile e tutti noi ne abbiamo un ruolo attivo.
Ogni episodio termina con la possibilità di firmare una petizione per la causa locale e con una serie di indicazioni pratiche: una lista di accorgimenti che tutti possiamo mettere in atto per contribuire ad aggiungere un tassello positivo verso il cambiamento. Comprare vestiti di seconda mano; controllare sull’etichetta i materiali da cui il prodotto è composto e con cui è stato lavorato; decidere di possedere meno vestiti ma di qualità migliore; noleggiare i vestiti in prestito; scambiare i vestiti con gli amici per le occasioni importanti. E ancora, essere informati delle necessità di alcuni paesi e donar loro solo vestiti realmente riutilizzabili. Siamo tutti coinvolti nel consumo, ma consumare consapevolmente è una questione di tutti. Junk-armadi pieni ci spiega con passione e precisione come questa rivoluzione sia possibile.