Alla ricerca della felicità (spunti di psicologia)

Di REBECCA CONTI

Nel suo recente romanzo “Profondo come il mare, leggero come il cielo”, Gianluca Gotto racconta che, durante un viaggio a Bangkok, si è trovato solo ad affrontare uno dei momenti più bui della sua vita. Il nostro protagonista disegna una storia colma di incontri inaspettati, di esperienze ed insegnamenti generosi, che gradualmente ma radicalmente hanno cambiato la sua visione del mondo e della felicità. In particolare la cultura buddista e il suo modo di intendere i concetti di bene, serenità, felicità. È noto che, secondo il sapere buddhista, la felicità coincida con la serenità, con l’assenza dei desideri, e con la consapevolezza della temporaneità delle cose. Meno noto, soprattutto nel mondo occidentale, è la valutazione che la tradizione buddista dà al male e la definizione che viene attribuita al pensiero e al suo modo di agire. La saggezza buddhista – con tale termine ci si riferisce in particolare al buddhismo cosiddetto “zen”, tipico dei paesi asiatici – come uno dei princìpi cardine fondativi della propria condotta ha questo: vivere la vita invece di pensare alla vita. Il tempo speso unicamente a pensare, ancor più se l’oggetto del pensiero è negativo ed inquinato da dinamiche disfunzionali per il nostro benessere, rende la mente ferma perché piena. Ciò impedisce di accogliere quel che di nuovo la vita ci offre, poiché la mente si ritrova tragicamente limitata a difendere ciò che contiene. Una mente leggera, dinamica, e che non si impegna troppo in pensieri ricorsivi e ridondanti, porta con sé la possibilità di non pensare alla vita, ma semplicemente di averne esperienza, viverla; e non far trascorrere un’esistenza dettata dall’indecisione del pensiero. Secondo il buddhismo, dunque, c’è un tempo per il pensare ed uno per l’agire: la sofferenza psichica deriva proprio dal rifugiarsi in aspettative e pensieri che si alimentano a vicenda e che non sono accompagnati da un giusto equilibrio con l’agìto.

A prescindere dalle inclinazioni personali e di quanto ognuno si senta più o meno vicino alla spiritualità orientale, si può notare come le idee ed i precetti del buddismo zen abbiano molto a che vedere con alcuni approcci del sapere occidentale e accademico odierno.  La psicologia del benessere e la psicologia positiva in particolare, si sono occupate dei grandi temi dell’esistenza umana proponendo risposte simili, tanto da presentare anche delle vere e proprie aree di sovrapposizione.

La psicologia positiva fonda alcune delle sue radici più profonde sulla psicologia umanistica di Rogers, che con la sua “Terapia centrata sul cliente”, attribuiva fondamentale importanza alle capacità e potenzialità del soggetto di autorealizzarsi ed affermarsi nella società. Tale capacità, che lo psicologo statunitense chiamava “tendenza attualizzante”, rappresenta una spinta vitale per gli individui e il suo “ascolto” e garantisce l’ottenimento di felicità e realizzazione. In questo senso il processo di crescita deriva dal perseguimento della propria tendenza attualizzante, e tale percorso è incoraggiato dal terapeuta attraverso i principi di congruenza, empatia e accettazione incondizionata. Proprio la sospensione del giudizio e l’accettazione all’interno della relazione terapeutica, fungono da modello per il paziente spronandolo così ad assumere atteggiamenti simili con se stesso e favorendo la crescita e il cambiamento. L’accettazione e il non-giudizio rappresenta un nucleo centrale del sentire buddista, in quanto unica via per acquisire profondi stati di consapevolezza.

La psicologia positiva si è anche occupata del grande tema del LIFE DESIGN: come aiutare le persone a cambiare la propria vita verso una direzione desiderata? Quali sono, da un punto di vista psicologico, i meccanismi capaci di innestare virtuosi circoli di crescita?. Quello che in psicologia si chiama, flourishing (traducibile con prosperità, funzionamento ottimale, slancio vitale), è raggiungibile attraverso un processo di progettazione prima e di messa in atto poi, di azioni e comportamenti che, grazie all’osservazione delle nostre condotte, sono in grado di farci provare emozioni positive. Oltre che attraverso un’azione di “auto-riflessione” (e di osservazione), il più grande strumento che l’uomo possiede per acquisire informazioni sulla realtà e su quello che può giovargli è l’esperienza stessa. Una serie di “esperienze prototipo” ci permettono di sapere cosa in futuro potrà renderci felici, e cosa no, indirizzando il nostro comportamento futuro in una direzione più “calibrata” rispetto alla precedente. L’approccio del life design mira ad insinuare una crepa nella rigidità di pensiero e nel il circolo vizioso del cosiddetto overthinking, spesso caratterizzato da pronunciate tendenze al perfezionismo. Per conoscere è necessario esplorare e per esplorare ed imparare è necessario vivere e riflettere sul nostro vissuto. La staticità talvolta assume le forme di un gigante di pietra che ci tiene incollati a quello che non funziona; dimenticandoci che, come gli alberi, le nostre radici non possono che essere ben salde al terreno, ma alle nostre foglie è permesso volare.


Bibliografia

Bill Burnett, Dave Evans. Design Your Life, come fare della tua vita un progetto meraviglioso (2016).
Gianluca Gotto. Profondo come il mare, leggero come il cielo (2023).
Thorne, B., & Sanders, P. (2012), Carl rogers, Sage.